Sul CORRIERE della SERA di oggi, 17/06/2007 a pag.1-30, Antonio Ferrari cerca di interpretare quanto avviene nella società palestinese ma con scarsi risultati. Elenca quanto è avvenuto, ma il passato pesa, dopo aver sempre visto in Arafat il " liberatore" dei palestinesi, è dura capire il significato della guerra Hamas-Fatah. Ecco il suo editoriale:
È ormai diventato uno slogan irridente: tre Stati per due popoli. Irridente perché su un minuscolo lembo di terra, poco più grande di una regione italiana, dovrebbero convivere lo Stato di Israele e due Stati palestinesi.
Con la minuscola Gaza, trasformata dagli integralisti in Hamaslandia o Hamastan; e la più robusta Cisgiordania, che con una ruvida operazione di «pulizia politica» vuol confermarsi non soltanto la patria dell'Olp e del laico Fatah, ma l'unica guida legittima del popolo palestinese.
C'è ancora qualcuno, a Ramallah come nella Striscia, che con molta ipocrisia qualifica il sanguinoso scontro fratricida come una superabile «divergenza di opinioni», ma la realtà è evidente, e lo strappo tra i fratelli sarà assai difficile da ricucire. Forse il danno è ormai irreparabile.
L'odio che ha scatenato la guerra di Gaza, con delitti, esecuzioni, vendette e soprattutto l'umiliazione dell'avversario in un mondo dove l'onore conta più della vita, si è temporaneamente placato perché gli integralisti hanno vinto. L'assalto di ieri alla villa di Yasser Arafat, disabitata dal 2002 e depredata di tutto ciò che conteneva, è solo l'ultimo sfregio allo storico leader-simbolo della lotta di liberazione e al padre di quell'embrione di Stato che è, ma forse sarebbe più corretto dire era, l'Anp.
Ora la battaglia e la catena di vendette si è trasferita in Cisgiordania, dove il Fatah vuol cementare la sua solida base. Impresa ardua, perché è vero che laggiù Hamas non è maggioranza, ma nelle ultime elezioni era riuscito a conquistare i comuni di molte città. Quindi, scalzare gli integralisti e costringerli ad andarsene, come ordina l'ultimatum delle Brigate Al-Aqsa, braccio militare estremo dei laici, sarà indubbiamente sanguinoso. Assaltate tutte le municipalità, a cominciare da Nablus. Attaccati e semidistrutti il parlamento palestinese e il ministero dell'Istruzione di Ramallah, che era controllato da Hamas. E poi la rete di regolamenti di conti, che si consumano quartiere per quartiere, casa per casa, famiglia per famiglia. Centinaia di affiliati o simpatizzanti di Hamas arrestati; non si contano i sequestri di persona. Però, taglia corto un esponente del Fatah, «è solo un chiaro segnale. Se loro continueranno ad uccidere come hanno fatto a Gaza, faremo altrettanto. Mi verrebbe da dire: occhio per occhio, dente per dente». In queste condizioni è impossibile immaginare la fine del conflitto civile, già costato oltre cento morti soltanto nell' ultima settimana.
Ora lo scontro si sposta sul terreno della legittimità. Da Ramallah, l'Olp respinge la commissione d'inchiesta suggerita da una sempre più spuntata Lega araba. E il presidente Abu Mazen, che ha varato un governo di emergenza guidato dall'economista Salam Fayyad, è rinfrancato dal sostegno di Israele, degli Stati Uniti, dell' Unione europea, dell'Arabia Saudita e di altri fratelli regionali, che gli riconoscono l'esclusiva della legittimità. In pratica, significa che l'embargo internazionale potrebbe finire.
La rivolta di Hamas non è stata accettata neppure dai padri putativi del movimento, quei Fratelli musulmani che dall'Egitto prendono le distanze dai rivoltosi. Ecco perché il primo ministro spuntato e dimezzato Ismail Haniye, pur non riconoscendo l'autorità del nuovo premier Fayyad, si affretta ad escludere la volontà di creare uno Stato a Gaza. Che nessuno — a parte, forse, l'Iran — potrebbe riconoscere. Con conseguenze devastanti per la popolazione, l'unica vera vittima di questo scontro mortale.
Hamas, infatti, nel momento in cui esibisce la propria forza, è costretto ad ammettere la propria debolezza, perché sa bene che molti dei voti ottenuti alle trionfali elezioni dell'anno scorso, erano in prestito: non un'adesione ideologica alle ambizioni del movimento integralista quindi, ma una protesta contro la corruzione del Fatah.
Anche Abu Mazen, che ci descrivono rinvigorito, pronto a sedurre la maggioranza conservatrice del suo popolo e a sognare una vittoria alle prossime elezioni, deve fare i conti con i propri errori. Aveva sperato di istituzionalizzare Hamas come grande forza dell'Autorità nazionale palestinese. Ha fallito. E oggi l'Anp è indubbiamente più debole. C'è chi dubita che esista ancora.
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