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Europa - Avvenire - Il Sole 24 Ore - Il Manifesto - La Repubblica Rassegna Stampa
15.06.2007 E' colpa di Israele, Israele se la ride, Israele si suicidi per salvare i palestinesi
reazioni scomposte di fronte alla vittoria di Hamas a Gaza

Testata:Europa - Avvenire - Il Sole 24 Ore - Il Manifesto - La Repubblica
Autore: Janiki Cingoli - Elio Maraone - Ugo Tramballi - Michele Giorgio - Ellekappa
Titolo: «La solitudine di Gaza - Nessuno ora può fare da spettatore - Tutti i padri del fallimento - Gaza, repubblica islamica vignetta»

Janiki Cingoli su EUROPA del 15 giugno 2007 ha la soluzione alla faida interpalestinese. Dato che la colpa è di Israele, la responsabilità di porre rimedio alla catastrofe è ugualmente di Israele. Ora l'imperativo non è più, dunque, la "fine dell'occupazione", ma piuttosto che Israele si riprenda Cisgiordania e Gaza. E si dissolva in uno "stato binazionale". Che in breve tempo (la vicenda dell'Autorità palestinese è li a dimostrarlo) diventerebbe un mattatoio arabo islamico.

Ecco l'articolo:


In due giorni Hamas ha preso possesso, senza grande resistenza, della striscia di Gaza. Gli uomini di Abu Mazen, anche se più numerosi, si sono fatti cogliere di sorpresa, e hanno ceduto di fronte alla decisione dei miliziani di Hamas, che hanno sviluppato un attacco ben preordinato e studiato nei dettagli, in coincidenza non casuale con la ripresa della strategia della tensione di impronta siriana in Libano.
La formazione islamica si è quindi ripresa, a Gaza, ciò che già considerava suo, un potere che aveva vinto con le elezioni.
Un potere che né Al Fatah, né la comunità internazionale gli avevano mai riconosciuto, continuando a considerarla un occupante abusivo, temporaneo e non pienamente legittimato. Il tentativo di mediazione raggiunto alla Mecca, sotto gli auspici del re saudita Abdullah, con la successiva formazione del governo di unità nazionale, metteva fine alla rappresentanza esclusiva del movimento palestinese da parte di Al Fatah, individuando in Hamas l’altro pilastro su cui doveva fondarsi l’Autorità nazionale palestinese. Ma esso di fatto non ha mai funzionato: troppe le riserve e le resistenze da ambo le parti, e soprattutto insufficienti il riconoscimento e l’appoggio internazionali, anche da parte dell’Europa.
Hamas controlla oggi la Striscia, e con esso sarà necessario in qualche modo fare i conti e misurarsi, essendo impensabile sigillare quel milione e mezzo di persone come se fossero scarafaggi.
Naturalmente, si pone il problema se non fosse meglio impegnare prima questa formazione sul terreno della trattativa e del negoziato, senza giungere a questi estremi. Superando le pregiudiziali ideologiche del Quartetto, e misurando il governo Hanyeh sul terreno dei fatti concreti e dei risultati da perseguire.
 È incerto l’esito dei tentativi di mediazione che anche in queste ore i rappresentanti egiziani stanno sviluppando, e che hanno trovato orecchie attente in Abu Mazen: è improbabile che Hamas rinunci al fatto acquisito, la sua supremazia a Gaza, ritornando al precario equilibrio precedente. Comunque, per Abu Mazen si tratterebbe di un compromesso al ribasso. Anche la richiesta rivoltagli dai suoi di uno scioglimento del governo di unità nazionale e di formazione di un governo di emergenza, per arrivare entro breve a nuove elezioni, appare difficilmente perseguibile: non si capisce quale autorità concreta potrebbe esercitare un governo del genere sull’area, e soprattutto come potrebbe essere possibile in questo contesto andare a elezioni che non siano limitate alla Cisgiordania. Naturalmente, è possibile che Abu Mazen accetti di essere presidente solo di questa metà di Palestina, dove Al Fatah s’appresta a esercitare una simmetrica operazione di pulizia militare e politica nei confronti di Hamas.
L’alternativa, è la richiesta di intervento rivolto agli egiziani, o alla Lega Araba, e/o alla comunità internazionale e in particolare all’Europa, sulla falsariga di quello già in atto nel Libano meridionale.
La proposta è stata rilanciata da Solana, ed è stata ripresa, con grande cautela, da D’Alema. Un intervento di questo genere, di fatto, non potrebbe essere messo in campo senza avviare un negoziato che coinvolga non solo Abu Mazen ma anche Hamas, e questo ci riporta al punto di partenza: la formazione islamica otterrebbe sul terreno ciò che la diplomazia gli ha negato prima sul piano politico. Ma si tratta di un passaggio che a questo punto pare ineludibile.
Della partita, naturalmente, dovrebbe essere anche Israele, che tuttavia non può pensare, come chiede Olmert, che la forza di intervento possa limitarsi solo al confine con l’Egitto, senza comprendere il confine con Israele.
Più in generale, pare opportuno parlare più di una forza per ristabilire la fiducia e costruire la pace, tra i palestinesi e tra essi e gli israeliani, piuttosto che di una mera forza di intervento e di sicurezza: la questione infatti non può essere affrontata solo in un’ottica militare.
L’alternativa possibile è quella recentemente proposta dal prof. Jarbawi: che il presidente dichiari sciolta l’esperienza dell’Anp, prendendo atto della realtà, e riconsegni le chiavi alla potenza occupante, perché si faccia carico, secondo la legislazione internazionale dei problemi della popolazione: scuola, sanità, sicurezza etc.: una prospettiva pesantissima, anche finanziariamente, per Israele.
Questo potrebbe portare alla richiesta da parte dei palestinesi di essere integrati come cittadini a pieno titolo: facendo di Israele uno stato binazionale, a meno che esso non scelga la strada dell’apartheid, incompatibile con la sua identità storica.

Elio Maraone su AVVENIRE sostiene che Israele sia colpevole della vittoria di Hamas... per via del disimpegno unilaterale da Gaza che avrebbe indebolito Fatah e Abu Mazen.
Ricordiamo che il disimpegno da Gaza fu unilatrale perché la controparte palestinese non ottemperava agli obblighi minimi per il negoziato. Obblighi indicati nella Road Map e del tutto ovvi: la lotta al terrorismo contro i civili israeliani. Tale lotta non venne mai intarpresa. Non solo. Anche le Brigate dei Martitri di Al Aqsa, facenti capo ad Al Fatah, erano coinvolte nel terrore al moneto del ritiro da Gaza. E continuano ad esserlo.
Inoltre, è ovvio che la principale responsabilità per la vittoria di Hamas ( se si esclude chi l'ha votata) è di chi ha voluto,contro gli appelli di Israele, che il gruppo, dotato di una sua "milizia" armata, partecipasse alle elezioni palestinesi senza nemmeno deporre le armi.
Ecco l'articolo:

Dopo aspri combattimenti, con risvolti orribili (chi non si arrende viene umiliato o addirittura ucciso sotto gli occhi dei famigliari), la bandiera di Hamas sventola a Gaza su tre roccaforti delle forze fedeli al Fatah del presidente Abu Mazen: il quartier generale della Sicurezza, quello dell'Intelligence e il complesso presidenziale caduto nella notte. Nella serie di colpi di scena che si sono alternati nella giornata di ieri, all'annuncio di Abu Mazen di volere sciogliere il governo decretando lo stato di emergenza, ha fatto seguito la dichiarazione dei nemici di Hamas: è una decisione senza valore.
È probabile che i fondamentalisti che hanno conquistato l'intera Striscia di Gaza rinominino i centri occupati con termini della tradizione religiosa, all'interno di quel progetto di de-laicizzazione che ha fatto dire ieri al portavoce di Hamas, Sami Abu Zuchri: questo è l'inizio del dominio islamico, ed è la seconda liberazione di Gaza. Essendo quest'ultima la «liberazione dai traditori» (palestinesi), mentre la prima, secondo Hamas, è stata il ritiro degli israeliani.
Peccato che venga dimenticato che quel ritiro fu unilaterale, e deciso da Israele senza consultare i palestinesi. Cosa che, se allora fosse stata fatta, forse avrebbe conservato un minimo di credibilità e di seguito popolare alla già languente Autorità nazionale. Ma la Storia non si regge sulle ipotesi, la Storia sta nei fatti. E i fatti ci dicono che la guerra civile non si arresta, e che, salvo imprevedibili sviluppi, si concluderà soltanto con la nascita di due entità: l'Hamastan, caricatura di Stato nella Striscia immaginata da una delle menti più sottili dei servizi israeliani, Aaron Zeevi, e il Fatahstan, in Cisgiordania. Il che, a distanza di vent'anni, sembra dar ragione a quanti in Israele vedevano nella crescita di Hamas (voluta e sostenuta dal governo di Gerusalemme) un elemento di disturbo alla leadership di Arafat e alla stessa unità palestines e.
Comunque sia, le cose oggi vanno come si vede, cioè male per tutti, perché nessuno deve godere di una lotta fratricida né può illudersi che il conflitto israelo-palestinese possa esaurirsi così, come per incanto. I primi a rendersene conto dovrebbero essere i Paesi arabi, chiamati per il loro stesso bene ad interventi meno blandi ed effimeri di quelli attuati sin qui. Seconda potrebbe essere l'Unione europea, se fosse finalmente capace di andare oltre le mezze parole. Terze le Nazioni Unite, che per ora si limitano a considerare l'ipotesi di inviare una forza multinazionale nella Striscia di Gaza: invio da non scartare pregiudizialmente, ma che risulterebbe controproducente (oltre che molto arduo da gestire) se non fosse preceduto da un autentico cessate-il-fuoco e dalla generale convinzione che non si tratta, come già afferma Hamas, di una forza occupante. Quarto in questo quadro, anzi primo, è a nostro giudizio Israele, che sembra stare alla finestra, ripetendo che tra i palestinesi (ed è vero) non c'è un interlocutore credibile, ma quasi dimenticando i numerosi torti fatti ai palestinesi in quarant'anni di occupazione e quanti possibili interlocutori siano stati nel frattempo, anche da Israele, cancellati con le buone e con le cattive. Il ruolo di spettatore passivo è, crediamo, il meno giusto e in prospettiva il più autolesionistico che Israele possa assumere.

Ugo Tramballi sul SOLE 24 ORE inizia il suo articolo indicando le inesistenti responsabilità israeliane nel disastro palestinese. Ma è almeno abbastanza onesto da riconoscere che le maggiori responsabilità sono dei palestinesi stessi

Sul MANIFESTO Michele Giorgio si dispiace che i palestinesi si combattano tra di loro perché per "l'occupazione" (cioè Israele) è una vittoria. Nel sommario dell'articolo, alla negazione dei legami tra Hamas e Iran, si aggiunge il ritratto di un Israele compiaciuto del massacro interpalestinese: "l'Olp è finita mentre Israele vaneggia sull'Iran ed è pronto ad attaccare. E se la ride"Una visione violenta (auspica implicitamente che i palestinesi si uniscano per uccidere gli israeliani )e paranoica, che non tiene conto del fatto chela maggioranza degli  israeliani sarebbe favorevole alla nascita di uno Stato palestinese, purché questo fosse disposto alla pace.
Ecco l'articolo:

La decisione è arrivata ieri in tarda serata, confermando le indiscrezioni circolate per tutto il giorno. Abu Mazen ha sciolto il governo di unita' nazionale e ha proclamato lo stato di emergenza in risposta all'attacco di Hamas che ha spazzato via quasi completamente le strutture del suo partito, Fatah, e delle forze di sicurezza dalla Striscia di Gaza. Non solo ma ha anche sancito la nomina di un nuovo esecutivo che rimarrà in carica un mese, il ricorso alle urne non appena le circostanze lo permetteranno e la messa al bando delle milizie di Hamas, dichiarate tutte fuorilegge. Il presidente palestinese ha così seguito alla lettera le raccomandazioni ricevute dal Comitato esecutivo dell'Olp, compreso l'appello al dispiegamento di un contingente internazionale che Hamas ha minacciato di considerare una forza di occupazione mentre ha descritto come «prive di valore» le decisioni di Abu Mazen. La guerra fra palestinesi, scatenata anche da interessi occidentali, israeliani, arabi e islamici, era già in atto, presto se ne scriverà un nuovo capitolo insaguinato. Il fumo nero, denso, che ieri si è sollevato dalla sede di Radio Voce della Palestina, mentre gli attivisti di Hamas strappavano alle fiamme tutto ciò che era possibile saccheggiare, è stato il segno della fine dell'autorità di Abu Mazen e di Fatah nella Striscia di Gaza. Poco dopo la guardia presidenziale ha abbandonato il valico di Rafah dove si sono stabiliti gli uomini della Tanfisiyeh, la milizia del movimento islamico. Una sola forza è al comando a Gaza, Hamas, o meglio il suo «capo di stato maggiore», Mohammed Deif, che ha diretto dalla clandestinità l'operazione militare che ha spazzato via Fatah in appena quattro giorni. Se tutto ciò al quale abbiamo assistito significa che a Gaza sta per sorgere la «Repubblica islamica» alla quale hanno fatto riferimento diversi dirigenti e militanti di Hamas, è troppo presto per dirlo. Di sicuro la storia ha voltato pagina nei Territori occupati. Il movimento di liberazione nazionale nato con l'Olp guidata da Fatah di Yasser Arafat. che poco a poco si è allargata ad altre organizzazioni laiche ed islamiche e che nei prossimi mesi avrebbe dovuto includere lo stesso Hamas, si è spezzato e le due parti potrebbero non ricongiungersi più. Per il movimento islamico ieri è stato un giorno di gioia, «la seconda liberazione di Gaza» ha commentato il portavoce e deputato Sami Abu Zuhri che è arrivato a paragonare la cacciata di Fatah alla presa della Mecca da parte del profeta Maometto. L'ala dura di Hamas canta vittoria mentre i più pragmatici tacciono e quello che si ascolta in queste ore fa crescere le preoccupazioni per il destino del popolo palestinese, che ha perduto quasi tutto nel 1948, il resto 20 anni dopo, è stato rapinato dalla gestione di Fatah negli anni della cosidetta «pace di Oslo», violentato da una occupazione militare israeliana sempre più dura e che ora deve affrontare l'incognita dei nuovi «governanti» di Gaza. Nizar Rayan, uno dei dirigenti più noti di Hamas, ha parlato di un califfato islamico nella Striscia. «Oggi, il sermone del venerdì - ha detto - lo celebrerò io stesso nella Saraya (il comando ancora nelle mani delle forze fedeli ad Abu Mazen) che sarà trasformata in una grande moschea... entro poche ore il laicismo non avrà più spazio a Gaza e non ne rimarrà nessuna traccia... il fiore dell'Islam sta trionfando contro la prostituzione». Rayan sogna il califfato ma il futuro di Gaza si annuncia fatto di lacrime e sangue, soprattutto per i civili. Israele ha sbarrato i valichi, le pressioni internazionali stanno montando persino più di quelle già in atto, l'assistenza umanitaria internazionale sta rallentando e la Commissione europea ha bloccato i programmi di aiuto alla popolazione. L'assedio percioò sarà intenso, stretto, soffocante. Il governo Olmert parla di «avamposto iraniano» alle porte di Israele e non bisogna avere un fiuto particolare per prevedere operazioni militari senza precedenti contro Gaza al primo lancio di razzi Qassam. I leader di Hamas non vedono tutto ciò, abbagliati come sono dal verde delle loro bandiere. La forza dei palestinesi sta(va) nell'unità, non nella loro spaccatura in nome di un potere che non conta nulla, in meno di 400 kmq di territorio. Ieri le milizie di Hamas sono riuscite ad espugnare due roccheforti di Fatah: le sedi della Sicurezza preventiva a Tel al-Hawa (ribattezzata subito Tel al-Islam) e dell'Intelligence generale a Sudanya, a Gaza city. Le forze di Hamas hanno marciato anche su Rafah, al confine con l'Egitto e hanno completato la presa di Khan Yunis. Hamas controlla quasi l'intero territorio della Striscia, tutta Gaza city meno la sede presidenziale Muntada e la caserma Saraya e ha messo fuori uso non solo la radio ufficiale dell'Anp ma anche le emittenti private Radio Hurrya e Radio Shebab. Restano attive soltanto la radio e la televisione satellitare di Hamas, al-Aqsa, che ieri ha mandato in onda immagini di uomini di Fatah arresisi dopo la caduta dell'edificio della Sicurezza preventiva. Alcuni erano in mutande, con le braccia alzate, che uscivano da quello che negli anni '90 era il luogo dove Mohammed Dahlan ordinava di torturare gli oppositori islamici dell'Anp e di tagliare loro le barbe in segno di spregio. Nell'edificio sarebbero state trovate le prove della collaborazione tra i servizi segreti guidati da Dahlan e la Cia ma la notizia non ha sorpreso nessuno. Alla felicità per il successo militare ottenuto sono però seguite da atrocità e vendette terribili di Hamas che hanno messo sullo stesso piano i padroni di un tempo con quelli di oggi. Almeno 32 palestinesi sono rimasti uccisi nei combattimenti e in una esplosione presso una stazione di polizia nel centro di Gaza. E' stato passato per le armi Samih el-Madhun, un capo delle Brigate dei Martiri di al-Aqsa e Hamas ha in mano una lista di esponenti di Fatah da eliminare: Dahlan è in cima, ma con lui ci sono anche i generali Manar Shehadeh e Jihad Sarhan, gli alti ufficiali Mahmoud Abu Shareef e Naser Abu Shawar, i due capi della sicurezza Abu Hashem e Jihad al-Aqqad e, naturalmente, Nabil Tammus, il capo delle «squadre della morte». Personaggi che si sono o si sarebbero macchiati di crimini gravissimi negli anni passati, che Hamas intende punire con una giustizia sommaria e spietata. La vendetta di Fatah intanto è scattata e nei prossimi giorni le ritorsioni in Cisgiordania del partito di Abu Mazen contro quelli di Hamas si intensificheranno e potrebbero bagnarsi di altro sangue palestinese. Decine di membri del movimento islamico sono stati arrestati o sequestrati in Cisgiordania dalle forze di sicurezza e della Brigate di Al-Aqsa Al Fatah. In un villaggio un religioso di Hamas è stato portato fuori dalla moschea da un gruppo di miliziani e gambizzato. Stessa sorte ha subito un consigliere comunale a Ramallah. Gli studenti simpatizzanti di Hamas sono stati attaccati nelle università, specie in quella di Nablus, dove sono stati espulsi dai loro colleghi di Fatah. Israele osserva ciò che accade e non reagisce. Aspetta di capire quali saranno gli sviluppi. Ma con i palestinesi sono spaccati e che si fanno la guerra fra loro, per l'occupazione è una vittoria

La più sicura nell'attribuire a Israele la responsabilità della vittoria di Hamas a Gaza è, sulla REPUBBLICA la vignettista elelkappa.
"Un successo la strategia di Israele" dice un personaggio "Complimenti per i nuovi vicini di Gaza".
Molti i commenti possibili: Ellekappa non si è accorta che i "vicini di Gaza" erano già da tempo i terroristi di Hamas, che ora ha semplicemente eliminato il residuo potere di Al Fatah. Non si è accorta dei razzi kassam.
Ma soprtattutto non si chiede se, per caso, la vicenda della Striscia non dimostri in realtà soltanto l'impossibibilità, per Israele, di ottenere pace in cambio di terra.
Che a fallire non  sia stata la "strategia" di coloro che assicurano di sapere come la pace potrebbe arrivare  in Medio Oriente, e regolarmente indicano in concessioni da parte di Israele la precondizione ineludibile ?

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