Un articolo di Fiamma Nirenstein pubblicato il 13 giugno su L'OCCIDENTALE:
“Ho chiamato mia moglie e le ho detto: è intelligente, durante la nostra chiacchierata non ha fatto errori. Nemmeno uno? Mi ha chiesto lei. No, nemmeno uno: sapeva tutto quello che c’era da sapere, era veramente bravo”. Sorpreso e speranzoso, l’ero della lotta per la democrazia in Egitto, Saad Eddin Ibrahim, è appena uscito da un incontro a quattr’occhi con il presidente degli Stati Uniti.
C’ero anch’io, a Praga, per una conferenza di tre giorni su “sicurezza e democrazia”, organizzata da due eroi e da una persona per bene. Gli eroi sono Vaclav Havel, il padre della rivoluzione democratica dell’89, e Nathan Sharansky, il più famoso tra gli ex dissidenti sovietici – gente che sa bene cosa sia la persecuzione e la prigione. La persona per bene è l’ex primo ministro spagnolo, Josè Maria Aznar, un leader che durante i suoi due mandati di governo ha fatto molto per affermare i valori democratici.
Come il professor Ibrahim, circa altri venticinque dissidenti, quasi tutti con storie personali di eroismo, torture e carcere in nome della libertà, hanno avuto l’opportunità di parlare direttamente con George W. Bush. Tra questi, Farid Ghadri e l’ex parlamentare siriano Mahmoun Homsy; Issam abu Issa, un uomo d’affari palestinese; o ancora il sudanese Mudawi Ibrahim Adam, una faccia da bimbo e una drammatica barba bianca, un uomo dotato di quella dolcezza che spesso è il frutto di terribili sofferenze; o il bielorusso Vladislav Jandjuk, testimone e vittima dell’incredibile dittatura fascio-comunista nel suo paese. E poi la cinese Rabia Khadir, i cui figli sono stati rinchiusi in prigione dal governo in segno di ritorsione, e i sauditi, i burmesi, i libici, assieme a Garry Kasparov, il russo campione di scacchi. Tutti loro, chi più chi meno, erano felici dell’ contro con Bush. Certo, c’era Kasparov che avrebbe voluto l’avvio immediato di una nuova guerra fredda, e magari aveva pure ragione. Ma tutti hanno trovato nel presidente Bush ascolto, compassione e solidarietà. Non c’era dubbio alcuno che egli fosse dalla parte dei diritti umani e della libertà.
In realtà non è proprio così. Il giorno successivo sono tornata a Roma e anche Bush quel giorno era nella capitale per una visita ufficiale. Così ho visto masse di persone per le strade a gridare il loro odio e a dire quanto aggressivo, egoista, imperialista, idiota, guerrafondaio e fonte di tutti i mali, fosse Bush. Lui, il vero spregiatore dei diritti umani.
Quella gente non si curava affatto che i dissidenti di mezzo mondo, riuniti a Praga, vedessero in Bush il loro migliore alleato, forse l’unico visto l’atteggiamento della vecchia e pigra Europa di fronte ai dittatori.
Bush ha compreso e messo in pratica, persino nel mezzo delle difficoltà della guerra irachena e attraverso molte contraddizioni, che l’idea di combattere per la libertà, non solo è giusta in sé, ma è l’unico di combattere il terrorismo. Ciò che dall’11 settembre in poi è stata la sua assoluta priorità.
Nel passaggio da Praga a Roma quello che balzava agli occhi era il fatto che la gente di sinistra, che si considera l’unico difensore dei diritti umani nel mondo, non è mai stata in grado di inserire quell’impegno nel quadro della guerra contro il terrorismo. In realtà non crede neppure che quella guerra sia in corso e in fin dei conti non gliene frega nulla. La sinistra immagina che il terrorismo sia un fenomeno marginale, che gli Usa e Israele hanno ingigantito per estendere il loro potere e giustificare le loro aggressioni.
Questo è un vero crinale che divide il mondo in due: la gente di Praga, che ha sperimentato nella propria carne come i dittatori siano intrinsecamente connessi al terrorismo, e il popolo di Roma e del resto d’Europa che rifiuta di riconoscerlo.
Sospetto che la folla che ho visto a Roma stia oggettivamente difendendo quei paesi dispotici che Bush addita come violatori dei diritti umani. Non si sono mai visti i black bloc e neppure in verità la sinistra ufficiale, marciare contro Fidel Castro, Mugabwe, Bashar Assad, Ahmadinejad, Nashrallah, Khaled Meshal, o Kim Yong-il. Quella folla ha scelto una cultura diversa, fatta di ingenuità, ignoranza e nostalgia. Dove sopravvivono Arafat e Che Guevara che questi moderni figli dei fiori sentono ancora tra loro.
Hamas, Hezbollah, persino i Talebani sono gente con cui discutere, trovare un accordo, senza stare a pensare da dove prendono i soldi.
Parlate invece con i dissidenti: loro con chiamano i terroristi, “militanti”, non pensano che la democrazia sia quella che ha fatto vincere le elezioni ad Hamas. Loro credono che per avere una vera democrazia devi prima sconfiggere estremisti e dittatori con un sistema di diritti umani e civili, e sperano – e quanto lo sperano! - che gli Usa intervengano per facilitare i cambi di regime, per combattere Ahmadinejad e per fermare il contesto terrorista che fa da sfondo alla sua sete di potere e al suo fanatismo.
Questa è la battaglia per i diritti umani oggi: combatti contro il terrore e incontrerai i dissidenti. Combatti contro l’islamofascismo e incontrerai i musulmani moderati.
La piazza di Roma ha capovolto completamente la questione dei diritti umani perché ha perso di vista la minaccia terrorista. Così i manifestanti soffrono di una forma o di idiozia o di cinismo. O di entrambe.
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