Condannato a morte dal fondamentalismo islamico la testimonianza di Robert Redeker
Testata: Il Foglio Data: 13 giugno 2007 Pagina: 1 Autore: Giulio Meotti Titolo: «LA VITA ME L’HANNO GIA’ TOLTA»
Dal FOGLIO del 13 giugno 2007:
Il pensiero va a suo padre Walter, un uomo dallo sguardo gelido nato nel 1923 a Steinbergen, nei pressi di Hannover, in una famiglia di commercianti rovinati dalla crisi del 1929. In un’azienda agricola a Lescure, in condizioni simili a quelle narrate da Emile Zola, dove il padre ha lavorato come operaio agricolo, nacque nel 1954 Robert Redeker. All’inizio di febbraio Walter Redeker si è spento nel suo letto. In questa lunga conversazione con il Foglio, legato al resto del mondo da un’anonima casella di posta filtrata dalla polizia che lo protegge dalla fatwa, Redeker racconta di essere vivo, ma fuori dalla vita. A nove mesi dalla condanna a morte che si è abbattuta su questo filosofo “colpevole” di aver pubblicato sul Figaro un articolo critico sull’islam, Redeker non si pente di aver posto quella domanda: “Di fronte all’intimidazione islamista, l’occidente che deve fare?”. Insieme alla caccia scatenata da jihadisti e predicatori, la domanda gli è valsa molti appellativi: iena dattilografa, servo del capitale, sionista, sarkozista, blasfemo, reazionario, petanista, islamofobo e razzista. Seguire Redeker nel suo labirinto d’agonia significa capire come è messa la libera parola in Europa. “La polizia non ci permise di pubblicare la notizia del decesso di mio padre sul pannello dei necrologi, come d’abitudine. Non fu possibile trasmettere un avviso al quotidiano locale. La sicurezza lo imponeva: nessuno doveva sapere che un uomo che porta il mio nome sarebbe stato accompagnato alla sua ultima destinazione. Si potevano prendere fotografie della processione, minacciare le persone, preparare un attentato. Abbiamo dovuto seppellire mio padre nella completa clandestinità. Come ladri. Come esclusi dalla società”. Redeker deve molto a quei genitori usciti da un quadro di Jean François Millet. “La mia infanzia, la mia adolescenza, la mia gioventù non furono né parigine né borghesi. Non furono neppure intellettuali. Furono segnate dalla povertà. Furono maldestre”. Al nonno Edouard Schönknecht, Redeker ha dedicato il pamphlet “Il faut tenter de vivre”. “All’inizio della tirannia nazista, quando le S.A. penetrarono nella sua classe per costringerlo davanti agli allievi a esporre il ritratto di Hitler, mio nonno replicò: ‘C’è solo Dio sopra di me’. Fu segnato dall’infamia. Anziché rifarsi un’esistenza in una delle due nuove Germanie, i miei genitori hanno preferito rimanere ai piedi dei Pirenei”. Lì Robert ha sepolto Walter Redeker, morente durante i lunghi mesi della persecuzione. “Mio padre era molto interessato da ciò che è avvenuto. Era traumatizzato e ansioso. Se ne è andato all’altro mondo senza poter essere rassicurato sulla mia sorte. I mass media hanno dimenticato il mio caso, hanno trovato altri argomenti di servizio, ma, nella mia vita quotidiana nulla è fondamentalmente cambiato. Vivo sempre come un profugo politico nel mio paese. Sono andato a Parigi, la settimana scorsa, per una riunione del comitato di redazione della rivista Les temps modernes. Ero circondato in modo permanente, come per tutti i miei spostamenti, da due poliziotti armati. All’aeroporto non mi mescolo alla folla, sono seguito dalla polizia alle frontiere, si occupano del mio imbarco. E’ finito il tempo della fuga, quando dovevo in continuazione cambiare tetto. Abito in incognito in un villaggio. Non esco a comprare il pane o il giornale, per non essere riconosciuto. Sono obbligato, per quest’atti quotidiani, a prendere l’automobile e ad andare lontano. Non posso neppure andare dal parrucchiere, potrei essere riconosciuto. Non posso andare in un’amministrazione pubblica o in prefettura, per riempire carte, farmi consegnare documenti per l’automobile”. Un momento di gioia è stato celebrato poche settimane fa. “La mia famiglia si adatta alla meno peggio a questa vita, che non è una vita normale, le cui forme sono imposte dalla minaccia che aleggia su me. Il mio figlio maggiore, Pierre, è stato aggredito all’uscita della metro. Ha sentito delle voci che l’hanno bloccato: ‘Brutto figlio di puttana. Abbiamo visto tuo padre in televisione. Ha insultato Maometto. ti prenderemo’. Mia figlia si è sposata la settimana scorsa. Il matrimonio era sorvegliato e protetto dai gendarmi. Numerose sono le zone dove non posso andare senza rischio e di essere assassinato, come Theo van Gogh. In altre parole, ho meno diritti della maggior parte della gente. La vita è diventata difficile. Quanto tempo durerà? Impossibile dirlo ma la minaccia è destinata a rimanere permanente. Secondo la polizia, devo avere in testa il ragionamento seguente: se i media dimenticano, gli islamisti rischiano di non dimenticare. Questo pensiero deve essere norma di vita. Sono sulla loro lista nera. Vivere con questa spada di Damocle sulla testa è diventato la condizione ordinaria”. I colleghi professori e i sindacati di sinistra lo hanno lasciato affondare. “Non si sono mobilitati all’inizio di quest’affare, quando i mass media ne parlavano molto, e non si mobilitano più ora che gli stessi media non ne parlano più, ma il pericolo è sempre reale. Uno dei loro colleghi, professore di filosofia, è minacciato di morte per aver esercitato il diritto alla libera espressione tramite una critica degli abusi di una certa religione. E’ uno degli eventi più stupefacenti messi in mostra dal mio affare. L’istruzione nazionale e l’ispettorato generale mi hanno lasciato ammuffire nella mia sofferenza, nella solitudine del mio sequestro. Non una sola lettera. Non un solo comunicato. Nessuna proposta d’aiuto, anche psicologico. L’odio dei professori viene a rafforzarsi, fino a giustificare la condanna a morte indirizzata dagli islamisti. Ai loro occhi, ho commesso un crimine criticando l’islam. Il male, per loro, può essere soltanto l’occidente. Ho ricevuto numerosi sostegni da parte di universitari, molto poco da parte dei miei colleghi. Tradizionalmente assoggettati a una sinistra benpensante e angelicata, i professori mi odiano perché sono il rivelatore dell’inanità delle loro illusioni. Per evitare questa riduzione scomoda, preferiscono fare di me l’imputato. Nell’autunno scorso, in una sala dei professori si è svolto, invece del sostegno al condannato a morte, al minacciato d’assassinio, il processo a Redeker. Un processo di eliminazione simbolica parallela all’eliminazione reale auspicata dagli islamisti”. Tornasse indietro quell’articolo lo riscriverebbe, anche se la denuncia di un totalitarismo islamico che “mira a mettere la sua cappa di piombo sul mondo intero” gli ha distrutto la vita. “Lo rifarei. Altrimenti, sarebbe come dare ragione in modo retrospettivo ai terroristi che vogliono imporre l’autocensura. Sarebbe la sconfitta della libertà di pensare e scrivere”. Ma una sconfitta si può già registrare. “In Francia, dopo le minacce che mi riguardano, non si scrivono più articoli critici riguardo all’islam. Tutti hanno paura. Desideravo prendere la difesa di Benedetto XVI, contro un clima isterico di fanatismo e intolleranza che si sviluppa nel mondo musulmano. Attraverso quell’articolo esercitavo un diritto costituzionale, che è anche un diritto intellettuale. Rapidamente fui sommerso di minacce di morte. Sulla rete al Jazeera, l’influente predicatore Yousef Al Qaradawi mi espose alla rivendicazione pubblica. I musulmani erano chiamati a farmi fare la fine di Theo van Gogh. Questa condanna a morte era accompagnata dalla mia fotografia, dal mio indirizzo, dal mio numero di telefono, dall’indirizzo dei miei luoghi d’insegnamento e del piano dettagliato per arrivare al mio domicilio. Tutto era pronto per gli uccisori. La patente di assassinare e l’itinerario per raggiungermi erano diffusi nel mondo intero. Poteva essere ricevuto nei sobborghi delle grandi città francesi, in cui esistono reti islamiste. Improvvisamente, per un semplice articolo in un giornale occidentale, io ero un uomo da abbattere”. Immediatamente la famiglia è stata messa sotto protezione. “Siamo stati cacciati, su ordine della polizia, dalla nostra casa. Una fotografia di questa appariva nel sito dei terroristi. Installarono più di un cavo di videosorveglianza che collega il nostro domicilio alla polizia, distante cinque minuti. Macchine fotografiche in funzionamento permanente troneggiavano a ogni angolo del tetto. La polizia a cavallo sorvegliava i dintorni del nostro spazio di vita. Siamo stati obbligati a nasconderci, a cambiare abitazione ogni sera, neanche fossimo banditi. La mattina non sapevamo dove avremmo dormito la sera. Eravamo in fuga, nel nostro paese, pur non avendo commesso alcun’offesa, con la benedizione dello stato. Eravamo vivi, certamente, ma non eravamo più nella vita”. Questo periodo è durato più di un mese. “In seguito mia moglie ed io siamo stati autorizzati a tornare nella nostra casa, ma a condizione di vivere al buio, non aprire né porte né finestre, non uscire, dare l’impressione di una casa disabitata. A condizione di metterla in vendita. Dal 20 settembre scorso, questa piccola casa del sobborgo toulousaine ebbe il privilegio di essere vigilata in modo permanente, ventiquattr’ore su ventiquattro. Uno o due autocarri di polizia e molti gendarmi la sorvegliavano. A volte armati di mitra. La via è restata in stato di assedio. Venderla, comperare un’altra, altrove, senza farsi conoscere. E’ mia moglie che ha trovato un altro alloggio. Non era facile, tenuto conto delle precauzioni innumerevoli che occorreva prendere. Per il trasloco, nessuno ci ha aiutati. Il ministero dell’Istruzione, il mio datore di lavoro, non ci ha fornito la logistica, non ha messo a disposizione un furgone. Mia moglie ed io, clandestinamente, abbiamo trasportato i nostri beni da una casa a un’altra per quindici giorni. Ridotti a trasportare i mobili pesanti, il piano, il frigorifero americano, le credenze pesanti. Abbiamo perso molto denaro in questo trasloco. Occorre continuare a pagare le spese per due case”. Tutto l’affare si è svolto in un clima di capitolazione. “L’intimidazione islamista in Francia, questo paese che si vanta della propria laicità, è tale che non ho avuto sostegno. Una nuova forma di conformismo sta emergendo. La società minaccia di diventare oppressiva. La sinistra francese, che è sempre stata contro la pena di morte, che ha sempre preteso di essere la madrina della laicità, riteneva che avessi commesso un crimine molto grave. Agli occhi di questa sinistra la laicità riguarda il cattolicesimo, non l’islam. Intollerante sul cattolicesimo, la sinistra è compiacente con l’islam. Nelle sale dei professori degli istituti universitari, fui linciato attraverso un manifesto. I professori di filosofia scrissero che avevo approfittato della libertà”. I sostegni sono stati rari. “Non sono venuti dai professori, né dai loro sindacati. Non vennero dalla sinistra. Ma da alcuni intellettuali di grande reputazione: Alain Finkielkraut, Claude Lanzmann, André Glucksmann, Bernard-Henri Lévy, Pascal Bruckner, Pierre Taguieff. Alcuni politici sono venuti in mio aiuto: Philippe de Villiers, Nicolas Sarkozy, François Bayrou e Dominique Strauss-Kahn. Non sono stati numerosi. Sarkozy mi ha scritto due lettere, fra cui una molto bella e molto umana dopo la lettura del mio libro. Non ha espresso riserve sul mio articolo, non ha detto che un intellettuale non ha il diritto di scrivere ciò che penso e scrivo. Sarkozy è stato perfetto. Due riunioni sono state organizzate, a Toulouse e a Parigi, con alcune centinaia di persone. Un conto bancario è stato aperto per permettere alla gente di versare denaro, questa storia comporta spese ingenti. Questo conto, le cui coordinate sono state pubblicate sul web, ha funzionato bene per un mese. Ma i dipendenti della banca incaricati di gestirlo sono stati oggetto di minacce di morte. L’agenzia è stata informata che rischiava un attentato. E’ stato necessario rafforzare il dispositivo di sorveglianza, far sorvegliare l’edificio da gente armata con cani poliziotti, è stato necessario, su richiesta della banca, cancellare dal web le coordinate di questo conto. A partire da questo momento, l’aiuto finanziario che potevo ricevere si è dissolto. Regna il terrore. Non è una vittoria degli islamisti?”. Redeker non insegnerà più. “Il rischio è che metta in pericolo la vita degli adolescenti che assistono ai miei corsi. Insegnavo in una scuola per ingegneri, molto prestigiosa, la scuola nazionale dell’Aviazione civile, a Toulouse. Quando nel gennaio 2007 i mass media annunciarono che un terrorista internazionale che aveva lanciato contro di me la condanna pubblicata nel sito web Al Hesbah era stato appena fermato in Marocco, i dirigenti di questa scuola mi comunicarono che non potevo più lavorarvi. Sono stati presi dal panico. Anche il rettore della facoltà di Scienze sociali di Toulouse mi fece dire che non potevo più tenere il mio ciclo annuale di conferenze, per ragioni di sicurezza. Esisteva dal 1994. L’arresto di terroristi che mi minacciano mostra che il pericolo esiste, l’affare è serio”. Le autorità gli hanno trovato una nuova occupazione, ma umiliante, di correttore di bozze al Centro nazionale di ricerca scientifica. “Quest’incarico non ha nulla a che fare con me, il Cnrs ha accolto spesso profughi politici. Fatta questa distinzione, questi profughi venivano dall’estero, perseguitati nel loro paese. Tuttavia, non esiste luogo materiale, d’università, d’ufficio dove potrei proseguire il mio lavoro. Esercitare in condizioni normali, avere un indirizzo professionale, un luogo dove lavorare, con edifici e colleghi, potrebbe mettere in pericolo la vita del personale del laboratorio al quale sarei collegato. Concludendo, il mio domicilio, di cui solo alcune persone conoscono l’indirizzo, sarà il mio luogo di lavoro. Vi proseguirò le ricerche, scriverò pagine di filosofia, in solitudine”. Ciò che è avvenuto, il modo in cui quest’uomo è ora obbligato a vivere, sembrava impensabile per un cittadino di uno stato dell’Europa occidentale. “La vita non sarà più mai la stessa, né per i miei parenti, né per me. Perché la condanna a morte è infinita. Corre su Internet, nei siti islamisti. Non è una minaccia specifica, momentanea. Non si cancella col tempo, resta. La patente di uccidere può essere applicata in ogni momento, dalla persona che crederà di salvare il suo cuore, guadagnare il paradiso. Potrà essere domani, tra dieci anni o venti anni. Occorre evitare che sia conosciuto nel villaggio del sud della Francia dove abito ora. Non posso uscire per comperare il pane, il giornale, a bere un aperitivo o un bicchiere di vino. Non posso giocare alle bocce sotto i platani. Non posso passeggiare per strada, le mani in tasca, andare a caso. Non posso andare dal medico. Le attività abituali della vita quotidiana sono un rompicapo. I gesti semplici sono complicati. Sono un profugo nel mio paese. Non posso prendere il treno, il bus o la metropolitana. Posso viaggiare soltanto in aereo. Sono assistito all’aeroporto di Toulouse dalla polizia che passa in rassegna tutti prima di mettermi nell’aereo. Alla discesa sono rimesso tra le mani di due angeli custodi, non mi lasciano mai, mi accompagnano ovunque, in tutti i miei spostamenti, anche al ristorante”. Non si tratta dell’oppressione di una persona da parte dello stato, come Aleksander Solzenitsyn. O le dittature in Argentina o in Cile. “Lo stato è con me. Sarkozy è stato ai miei lati per proteggermi dall’inizio. Tuttavia, un’inversione sconosciuta, rispetto allo schema classico, si è prodotta: sono come un prigioniero politico, ma non di uno stato. Sono l’opposto di Solzenitsyn, che aveva lo stato sovietico contro di sé. E’ un’oppressione che non ha nome, è invisibile perché non vedo i miei assassini eventuali. Questo odioso terrore al quale i paesi liberi non sono preparati spiega perché è stato necessario seppellire mio padre, uomo modesto e lavoratore, in clandestinità”. La cosa più difficile da sopportare è la solitudine intellettuale. “Trovo un po’ di consolazione nella lettura e nel pensiero. Sono potenze di sostentamento. In questa situazione, occorre munirsi di letture e di pensatori come gli stoici, Marco Aurelio o Epitteto. E come Severino Boezio, il grande filosofo dell’alto medioevo, che, in prigione, concepì la filosofia come una consolazione. Non so rispondere alla domanda su cosa mi aspetto dal futuro. Questa nuova situazione ha modificato la mia percezione del tempo. Oggi tutti i giorni, nella mia vita quotidiana, si somigliano e si ripetono. E’ come se per me non ci fosse futuro”.
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