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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
11.06.2007 Il velo è un'imposizione dei fondamentalisti islamici, non una libera scelta
un articolo di Magdi Allam

Testata: Corriere della Sera
Data: 11 giugno 2007
Pagina: 1
Autore: Magdi Allam
Titolo: «La sconfitta dell'università anti velo»
Dal CORRIERE della SERA dell'11 giugno 2007:

Coloro che in Italia — politici, magistrati e amministratori pubblici — sono propensi a legittimare il velo islamico attribuendogli il valore di simbolo religioso o in ogni caso considerandolo una libertà individuale, sappiano che nei Paesi musulmani esso è l'emblema del potere degli estremisti islamici e il parametro che registra il livello del loro controllo sociale tramite la repressione femminile.
In Egitto il hijab, il copricapo islamico, viene imposto alle studentesse cristiane mentre il niqab, il velo integrale, è entrato grazie a un'ordinanza della magistratura nell'Università Americana del Cairo, l'ultimo bastione dell'istruzione laica e liberale. In Iraq sia i terroristi sunniti di Al Qaeda sia gli estremisti sciiti di Moqtada Al Sadr hanno ingiunto alle donne cristiane di velarsi, pena l'obbligo della detenzione nelle rispettive case.
In Tunisia un sedicente «Comitato internazionale per la difesa del hijab » ha stilato un «Elenco dei nemici del hijab », additati come apostati e nemici dell'islam. A Gaza le sedicenti «Spade della libertà», legate ad Al Qaeda, hanno minacciato di morte le giornaliste palestinesi che si mostrano in televisione a capo scoperto.
Il tema del velo islamico è riesploso sabato scorso, 9 giugno: il Tribunale per l'Unificazione dei Principi, formato da 11 giudici della Corte Suprema Amministrativa, ha deliberato che l'Università Americana del Cairo non può impedire l'ingresso alle donne completamente velate. Il parere legale segue la causa avviata sin dal 2001 dalla ricercatrice Iman Al-Zainy, dell'Università islamica di Al Azhar, dopo che le fu impedito l'accesso alla biblioteca universitaria. Nell'ordinanza si legge che «indossare il niqab rientra nell'ambito di ciò che è prescritto dalla legge e non si può imporre il divieto assoluto del niqab », aggiungendo che «è lecito chiedere alla donna con il niqab di mostrare il proprio volto qualora ciò fosse necessario». Hossam Bahgat, un avvocato e militante dei diritti umani che ha difeso Al-Zainy, ha detto che «il Tribunale ha sentenziato che è un diritto delle donne scegliere il proprio abbigliamento e che le donne non possono essere discriminate per il loro abbigliamento».
Peccato che il pensiero di questo avvocato a cui sta a cuore la libertà individuale non sia affatto condiviso dagli stessi islamici che si stanno battendo per imporre il velo. Mohammad El Sayed, responsabile del sito del «Comitato internazionale per la difesa del hijab » (www.hamasna.com/tunisia/enemy.html), ha promosso una campagna per «unificare l'atteggiamento degli imam dell'Occidente e del mondo intero, affinché chiariscano l'importanza del hijab
per la donna musulmana, spiegando con un linguaggio moderato che il hijab è un obbligo coranico, non soltanto un simbolo religioso, un precetto di fede che deve essere assolto da tutti». Un obbligo assoluto al punto da stilare un «Elenco dei nemici del hijab », che viene aggiornato settimanalmente. Tra i condannati figurano il ministro per gli Affari religiosi tunisino, Abubakr Al Akhzuri; il presidente del Consiglio supremo della Cultura egiziano, Jaber Al Asfuri; l'ex deputata olandese Ayaan Hirsi Ali, la psichiatra egiziana Nawal Al Saadawi e un gruppo di attrici egiziane.
Ugualmente non la pensa come l'avvocato liberale il preside del liceo di Al Ayaat, nel governatorato di Al Ghiza alle porte del Cairo, Magdi Fikri, che ha imposto lo scorso maggio alle studentesse cristiane di indossare il velo islamico decidendo arbitrariamente che si tratta di una «uniforme scolastica». Una delle studentesse cristiane, intervistata dalla giornalista Diana Al-Dabae del settimanale
Rose El Yossef, ha rivelato che «se non indosso il velo vengo picchiata alle mani e ai piedi. Siamo costrette a indossare il velo. Non possiamo fare altrimenti». Una madre cristiana ha detto: «Se ci lamentiamo le nostre figlie vengono maltrattate. Abbiamo già fin troppi problemi a cui far fronte. Non possiamo permetterci di aggiungerne altri». Perfino il sacerdote copto ortodosso di Al Ayaat, padre Makari, è rassegnato: «Ci sono questioni ben più importanti di ciò che le ragazze devono indossare. Quantomeno non fanno nulla di male». Sempre in Egitto il ministro della Cultura, Faruq Hosni, un noto intellettuale e artista liberale, è stato costretto a fare pubblica ammenda dopo aver criticato il velo, ciò che gli era costato una condanna di apostasia e una rivolta generale da parte del suo stesso partito presieduto dal capo dello Stato Mubarak.
Così come è del tutto evidente che l'obbligo di indossare il velo, imposto dai seguaci di Bin Laden e dai militanti sciiti dell'Esercito Al Mahdi in Iraq, non ha nulla a che fare con i diritti individuali della persona. All'opposto esso rappresenta una flagrante violazione dei diritti umani e l'espressione dell'arbitrio e della violenza con cui questi estremisti islamici intendono imporre il loro potere assoluto. Ed è per questo che l'intellettuale egiziana Dalal Al Bezri ha denunciato sul quotidiano
Al Hayat il tentativo degli estremisti islamici di strumentalizzare il tema dei diritti umani e delle libertà individuali per imporre il velo alle donne, quando in realtà esse sono costrette a indossarlo pena l'abiura sociale e la condanna di apostasia: «Dobbiamo forse aspettare che anche in Egitto ci arrivino i messaggi "O il hijab o la morte", inviati nell'"Emirato islamico iracheno", prima di renderci conto che il velo non è affatto un diritto individuale?».
www.corriere.it/allam

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