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La Stampa Rassegna Stampa
11.06.2007 Con i soldati israeliani che cercano i terroristi al confine con l'Egitto
un reportage di Francesca Paci

Testata: La Stampa
Data: 11 giugno 2007
Pagina: 15
Autore: Francesca Paci
Titolo: «Una notte di pattuglia sulle orme dei kamikaze»
Dalla STAMPA dell'11 giugno 2007:

Dopo un'ora e mezza di montagne russe tra le dune che il sole calante tinge di arancio, la jeep rallenta e accosta al margine della carreggiata, la via Filadelfia come la chiamano qui. Kamal e Hassan, vent'anni, l'uniforme verde di Tzahal, l'esercito israeliano, scendono, spostano sulla schiena la mitraglietta a tracolla e si accovacciano sul sentiero sterrato che costeggia la strada asfaltata: sono beduini, conoscono il linguaggio delle orme. Qui, al confine tra Israele ed Egitto, 270 chilometri di deserto tra il mar Mediterraneo e il mar Rosso, l'armata più tecnologica del mondo combatte il contrabbando con la sapienza antica di alcune decine di eredi della legione araba del generale Glubb Pascià. Anticipando il vento del Sinai i beduini possono leggere sulla sabbia quante persone sono passate e quando, a che velocità si muovevano, che direzione hanno preso. Hanno esperienza secolare e ragionano con la testa dell'avversario che spesso proviene dalle stesse tribù nomadi.
Stasera la pattuglia di Kamal e Hassan riporterà alla base militare di Har Sagi, nell'estremo sud del Neghev, quattro profughi del Darfur e un bambino. Come la maggior parte dei sudanesi in fuga dal genocidio hanno pagato al «traghettatore» cinquecento dollari a testa per essere portati in Israele attraverso il Sinai, la tradizionale porta dei disperati che cercano asilo, della droga, delle armi, delle donne eritree e cinesi da avviare alla prostituzione. Ma lo scenario sta mutando: la vecchia strada dei contrabbandieri è stata scoperta dalla jihad e l'esercito israeliano ha spostato qui la trincea della guerra permanente al terrorismo. Alcune settimane fa i soldati hanno catturato tra le dune due militanti di Hamas, 36 e 39 anni, con 1000 dollari, 500 schekel e una boccetta di narcotico. Gli ultimi, in ordine di tempo, di un flusso inizato nel 2006.
Erano usciti da Gaza dopo un adestramento di tre mesi sull'uso degli M16 e la dinamica del sequestro di Gilad Shalit, avevano il compito di rapire un cittadino israeliano ad Ashkelon fotografarlo vivo e ucciderlo. Al ritorno a Gaza avrebbero diffuso le immagini proponendo lo scambio di prigionieri con i detenuti palestinesi nelle carceri israeliane.
La linea invisibile che separa Israele dall'Egitto, una zona demilitarizzata dal 1979 dopo gli accordi di Camp David, è la metafora della guerra permanente, reale e paranoica: il fronte è dovunque, anche lungo un confine apparentemente inanimato da «Deserto dei Tartari». I quattrocento militari della base di Har Sagi coordinano il controllo dellla frontiera che dopo il disimpegno dalla Striscia di Gaza è diventata strategica. Per capirlo davvero bisogna pattugliare il deserto per qualche ora a bordo della jeep di turno aspettando la notte, illuminata solo dal fuoco del barbecue dei riservisti, illusione d'eterna giovinezza in cambio di un mese l'anno donato all'esercito.
«Gli aspiranti kamikaze di Gaza tentano d'entrare in Israele da qui»: il colonnello Udi Ben Mooha indica il nulla sabbioso e snocciola le cifre della mutazione genetica del contrabbando «criminale» in «politico», un traffico diverso agevolato dagli stessi «mediatori». Passare dal valico blindato di Eretz è impossibile, non resta che andare in Egitto attraverso le decine di tunnel scavati sotto Rafiah e attraversare il Sinai. Nel 2006, oltre a 885 chili di hascish, 27,2 chili di eroina, cammelli carichi fino a 250 chili l'uno di bombe a mano Rimonim e Kalasnikov, i militari hanno intercettato cento «terroristi» e li hanno consegnati allo Shin Bet, il servizio di controspionaggio, «alcuni avevano dei cd con le istruzioni per costruire i missili Qassam».
Kamal e Hassan danno indicazioni al telefono: le telecamere a raggi infrarossi della base hanno avvistato i clandestini: a breve una pattuglia li prenderà. Sono profughi senza passato e ignorano i trucchi dei professionisti muniti di una specie di scopa per cancellare le orme appena lasciate.
Le dune del Sinai sono lo sfondo d'Israele: paradisi balneari e guerra a bassa intensità. Pochi chilometri a Est della base di Har Sagi i turisti europei si rilassano nei grandi alberghi di Eilat e gli israeliani più giovani consumano l'esotismo naturista delle spiagge freakkettone di Taba, l'India mediorientale. Ma il paese è al fronte, anche qui, nel deserto, l'autostrada tra Gaza e la Cisgiordania che trasporta armi e combattenti, il confine che secondo il ministro dei trasporti israeliano Shaul Mofaz, «gli egiziani non controllano abbastanza». In una base vicina, a Shizafon, l'esercito israeliano simula in questi giorni l'attacco a un villaggio siriano del Golan, pensando a un conflitto al Nord.
La jeep rientra. Il sudanesi siedono avvolti nelle coperte in uno dei container della base. Magrissimi, quasi senza peso, avevano lasciato impronte lievi sulla sabbia. «Dalle orme potevano essere immigrati clandestini o terroristi» dice Kamal. I contrabbandieri della vecchia generazione, carichi di merci, lasciavano tracce pesanti. I nuovi sono leggeri come fantasmi, trasportano la propria vita o esplosivi tascabili, l'artiglieria della guerra globale.

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