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Avvenire Rassegna Stampa
08.06.2007 Chi sostiene la democrazia e la libertà sostiene Israele
intervista al politologo cattolico Michael Novak

Testata: Avvenire
Data: 08 giugno 2007
Pagina: 3
Autore: Alberto Simoni
Titolo: «Qui Washington Novak: «Siete un Paese amico ma troppo ideologizzato»»
Da AVVENIRE dell'8 giugno 2007:

«Non possiamo che essere grati all'Italia per l'impegno in Afghanistan e quello finito in Iraq. Sappiamo che per Roma ciò rappresenta un fardello». Michael Novak, filosofo e politologo Usa, consigliere della Casa Bianca, è a Praga. Ha seguito il presidente nella sua prima giornata europea, al forum su "Democrazia e Sicurezza". E il suo linguaggio è in piena sintonia con quello del leader statunitense. Lo raggiungiamo al telefono negli uffici di Radio Free Europe, l'emittente radiofonica che svolse un ruolo decisivo ai tempi della Guerra Fredda. «Io torno a Washington, Bush viene da voi», esordisce.
Professore, allora saprà delle polemiche che accompagnano il suo arrivo...
È il prezzo della responsabilità che una potenza come l'America sconta talvolta.
Il presidente è preoccupato?
Bush è abituato alle dimostrazioni, alle contestazioni e alle marce. Sono il sale in un Paese democratico, come ovviamente l'Italia.
È un'esagerazione dire che i toni (e i numeri) della manifestazione potranno rovinare un po' le relazioni bilaterali?
Un'esagerazione. L'America guarda con simpatia e amicizia, con senso di gratitudine e di affetto gli italiani. Non voglio entrare in dispute interne di un altro Paese, ma mi sembra che la politica italiana sia troppo ideologicamente indirizzata.
Bush vedrà Berlusconi. Che sarà anche l'ex premier, ma oggi è il capo dell'opposizione. Nostalgia del "vecchio amico"?
L'America non interferisce nelle vicende altrui. Comunque del pieno sostegno di Berlusconi all'America e a Bush abbiamo avuto più di una manifestazione. E soprattutto nel periodo che ha anticipato la guerra in Iraq quando in Europa avevano pochi "amici", Berlusconi è stato vicino agli Usa.
Com'è lo sta to di salute delle relazioni bilaterali con l'Italia guidata dal centro-sinistra? È cambiato qualcosa?
L'Italia resta e resterà sempre vicina agli Stati Uniti. Lo è stata in un passato lontano. Ai tempi della crisi di Sigonella, ad esempio, i rapporti si sono fatti tesi, ma la diatriba non ha mai messo in dubbio la solidità della nostra amicizia. Si discute, si dibatte e talvolta si litiga, e i casi Abu Omar e Calipari sono emblematici, ma per noi americani l'Italia è un Stato chiave cui siamo anche debitori per l'impegno profuso nella lotta al terrorismo. E sinceramente anche gli italiani da quanto ho potuto vedere sono sempre vicini - almeno a livello di "sentire" - all'America. Forse non alla sua facciata politica, ma sicuramente al popolo, al Paese.
Il più recente motivo di scontro è rappresentato dall'Afghanistan. Bush vuole maggior impegno militare, l'Italia frena. Come è stata presa a Washington la fermezza italiana?
È chiaro che sarebbe molto meglio se le truppe italiane fossero più coinvolte nelle operazioni, ma capiamo quali sono le difficoltà del vostro Paese. Il vero problema è però a lungo termine.
Cioè?
Le coalizioni di sinistra, o di centro-sinistra, hanno abdicato alla loro vocazione originaria. Lottare per la libertà e la diffusione dei principi e dei valori universali. Oggi questa sfida - coraggiosamente intrapresa da Bush - si combatte contrastando il terrorismo laddove ha radici, laddove si abbevera.
Non le sembra che l'Italia sia in prima linea?
Non parlo solo dell'Italia. Non capisco perché Roma, Berlino e Parigi non combattano per la libertà. Si limitano a curare interessi nel breve termine e dimenticano lo scopo finale. Praticano una sorta di Realpolitik. Ma gli esiti della lotta al terrorismo non sono scontati. Sembra un controsenso, ma oggi la Realpolitik non è realistica.
L'Italia sta recuperando un ruolo di equidistanza in Medio Oriente dopo lo spostamento verso Israele assunto da Berl usconi. Cosa ne pensa?
Il ruolo italiano è strategico. E non sta a noi criticarlo, ma garantire sostegno a Israele rientra proprio in quel disegno strategico che ho citato poc'anzi. La difesa delle democrazie e la lotta per la libertà sono l'unica opzione concreta che l'Occidente, e non solo Washington e Roma, hanno a disposizione. E Israele in questo scontro è in prima linea

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