Forse la Siria prepara una nuova guerra asimmetrica l'analisi di Carlo Panella
Testata: Il Foglio Data: 08 giugno 2007 Pagina: 1 Autore: Carlo Panella Titolo: «Le mire di Damasco»
Dal FOGLIO dell'8 giugno 2007:
Roma. Damasco pare intenzionata a rispondere positivamente alla richiesta avanzata ieri da Israele di riprendere negoziati di pace, ma lo ha fatto attraverso una dichiarazione ufficiosa di un anonimo funzionario e in un contesto tutt’altro che limpido. La stessa offerta di una trattativa “senza precondizioni” avanzata mercoledì dal premier israeliano, Ehud Olmert, al termine di un teso Consiglio di difesa, non rappresenta certo un sintomo definitivo di distensione, ma può significare addirittura l’opposto. Sono infatti evidenti i segnali ostili contro Israele, da parte di una Siria che si attesta su posizioni sempre più intransigenti e che organizza grandi manovre militari lungo la frontiera, dopo aver ricevuto moderni missili e armi da Mosca e da Teheran. Il generale Amos Yadlin, capo dell’intelligence militare, ha infatti denunciato, durante un’audizione alla Knesset, movimenti siriani lungo il confine, sostenendo però che le postazioni missilistiche e le manovre monitorate paiono avere essenzialmente un carattere difensivo: “E’ vero che i siriani sembrano muoversi più di prima per una guerra, ma ciò non significa che siano pronti a farla domani”. Come già nel passato, la reciproca disponibilità al negoziato può dunque non preludere affatto ad una stagione di pace, ma può essere sintomo – al contrario – di una pericolosa tendenza al conflitto preceduta da simulate disponibilità all’accordo. Trattative dirette tra Gerusalemme e Damasco non costituirebbero una novità. Hafez al Assad, infatti, partecipò al round negoziale di Oslo, che portò nel 1993 agli accordi Rabin- Arafat, ma i rapporti si ruppero con un nulla di fatto nel 2000, poco prima della sua morte. Nel 2004, il premier turco, Tayyp Erdogan, di concerto con Colin Powell che effettuò l’ultimo viaggio di un responsabile del Dipartimento di stato Damasco, tentò di reimpostare la trattativa, ma fallì subito. Seguirono anni di diplomazia sotterranea, affidata a emissari ufficiosi e – negli ultimi giorni – il rincorrersi a Gerusalemme di voci che ora davano per già avviata una trattativa, ora pronosticavano l’imminenza sicura di una nuova guerra. Il tutto complicato da turbative conseguenti alla polemica politica interna agli Stati Uniti, che hanno portato alcune settimane fa Olmert a smentire seccamente la possibilità di trattative con Damasco, dopo che queste erano state incautamente annunciate dallo speaker del Congresso, Nancy Pelosi, dopo un suo incontro a Damasco con Bashar al Assad.Oggi Gerusalemme è costretta a prendere atto, come ha dichiarato alla Knesset il generale Yossi Baidaz dell’intelligence militare, che Hezbollah sta terminando il suo riarmo nel sud del Libano, che Hamas, la cui leadership si muove di concerto con i siriani, intende così poco intraprendere la strada della trattativa da aver ripreso la guerra civile a bassa intensità a Gaza, che Ahmadinejad fa sempre più frequenti minacce di distruzione di Israele e soprattutto che la Siria reagisce con crescente durezza (come dimostra la battaglia di Tripoli tra l’esercito libanese e Fatah al Islam, manovrata da Damasco) alla decisione dell’Onu di aprire il Tribunale sull’omicidio dell’ex premier libanese, Rafiq Hariri, nonostante il blocco del Parlamento di Beirut operato dai filosiriani. Israele, insomma, teme di dovere presto fronteggiare non tanto una guerra tradizionale, come nel 1967 e nel 1973, ma una nuova “guerra asimmetrica” come quella dell’estate 2006, peggiorata da un esplicito impegno siro-iraniano. Da qui le profferte di dialogo, limitate dalla certezza che Damasco comunque non può non pretendere la restituzione del Golan, mentre Israele non può accettare, dopo il ritiro dal Libano e da Gaza, di dovere subire anche da questo fronte uno stillicidio di provocazioni e di razzi, come quello che subisce da mesi su Sderot e Ashqelon.
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