Il MANIFESTO del 7 giugno 2007 pubblica un intervento sul conflitto israelo-palestinese di Flavio Lotti, coordinatore nazionale della Tavola della pace.
Di seguito, il testo, con i nostri commenti
Arriva Bush a Roma, e proprio per questo non dimentichiamo la ferita aperta del Medio Oriente. E con le parole di David Grossman: «Domandatevi se non sia arrivata l´ora di riscuoterci dalla paralisi». Era il 5 giugno 1967. Israele, in un clima di crescenti tensioni con il mondo arabo, lanciava un «attacco preventivo» contro l'Egitto, la Siria, l'Iraq e poi la Giordania e in sei giorni occupa le alture del Golan, la Striscia di Gaza, il Sinai, Gerusalemme e la Cisgiordania.
Una ricostruzione stroica che omette il dato fondamentale: i paesi arabi stavano preparando una guerra di distruzione contro Israele.
Sei mesi più tardi, il Consiglio di Sicurezza dell'Onu adottava la Risoluzione numero 242 che conferma l'inammissibilità dell'acquisizione di territori con la forza militare, chiede a Israele di ritirarsi dai territori occupati, ribadisce il diritto di tutti gli Stati della regione di vivere in pace all'interno di confini sicuri e riconosciuti e sollecita una giusta soluzione del problema dei rifugiati.
La risoluzione nella sua versione originale inglese chiedeva a Israele di ritirarsi da e non dai territori.
In tutte le versioni chideva contestualmente ai paesi arabi di vivere in pace con Israele.
L'occupazione israeliana della Cisgiordania e della Striscia di Gaza compie in questi giorni quarant'anni e invita il mondo intero a riflettere. Com'è possibile che una simile tragedia abbia potuto trascinarsi così a lungo?
La Striscia di Gaza non è più occupata
Il Sinai è stato ceduto all'Egitto.
Le Gran parte della Cisgiordania è sotto il controllo dell'Autorità palestinese.
Uno Stato non vi è ancora nato perché il terrorismo lo rende impossibile
Com'è stato possibile un così clamoroso fallimento della comunità internazionale?
E' stato possibile perché il terrorismo non è stato chiamato con il suo nome, per il credito che si è continuato a concedere ad Arafat e che ora si vorrebbe concedere ad Hamas
Com'è stato possibile accettare che questo accadesse? Sono domande forti che investono centinaia di governi e Parlamenti, decine di migliaia di uomini politici, istituzioni internazionali: dove eravate mentre accadeva tutto questo? Come avete fatto a non sentire le disperate grida di aiuto dei bambini, delle donne e degli uomini che hanno vissuto l'angoscia e le sofferenze infinite inflitte da questa lunghissima guerra? Sono domande gravi che scuotono la coscienza umana.
Questa retorica si applica naturalmente ai soli palestinesi. Lotti non si chiede come hanno fatto lui, gli altri pacifisti e i compagni del MANIFESTO che ospitano il suo articolo a ignorare le vittime israeliane del terrorismo.
Neanche i palestinesi uccisi da altri palestinesi contano qualcosa.
Altrimenti la domanda diventerebbe: "come abbiamo fatto ad appoggiare per tanti anni queste bande di assassini che hanno aggredito Israele e portato alla rovina il loro popolo?"
Eppure, ancora oggi, ci sono governi e forze politiche che continuano a trattare questa tragedia come se fosse una storia infinita, come se avessimo tutto il tempo a disposizione. In realtà di tempo ce n'è sempre meno e lo spazio per intervenire si fa sempre più stretto. Da anni invochiamo la pace in Medio Oriente ma la guerra ha continuato a fare strazio di appelli e di vite umane. E' dunque venuto il tempo di cambiare atteggiamento. Basta con le invocazioni. Basta con gli appelli alla buona volontà. Smettiamola di chiedere agli israeliani e ai palestinesi di fare qualcosa. Ma noi cosa stiamo facendo? Cosa sta facendo il nostro governo? E il Parlamento? La lunga scia di sangue e di sofferenze che segna la Terra Santa ha molti responsabili e tra questi ci siamo anche noi. Noi che alziamo le mani, noi che giriamo le spalle, noi che fingiamo di non sentire. Lo scorso 18 novembre, a Milano, insieme ad oltre cinquantamila persone, organizzazioni ed enti locali abbiamo promosso una grande manifestazione per sollecitare una nuova decisa iniziativa dell'Italia. E ancora oggi, mentre ci prepariamo a marciare nuovamente da Perugia ad Assisi (la Marcia si svolgerà domenica 7 ottobre dopo una settimana nazionale di mobilitazione) sentiamo la responsabilità di sollecitare, con forza, il nostro governo di fare di più e meglio. Noi chiediamo all'Italia, che siede nel Consiglio di Sicurezza dell'Onu, di mettersi alla guida di tutti quei paesi che intendono impegnarsi per dare una soluzione definitiva al conflitto israelo-palestinese. L'Italia deve assumere un'iniziativa politica nuova e coraggiosa tesa a promuovere la ripresa del dialogo e del negoziato a tutto campo, cogliere le opportunità offerte dalla formazione del nuovo governo palestinese di unità nazionale
vale a dire il governo egemonizzato da Hamas, che non riconosce Israele e sostiene il diritto al terrorismo
e dal piano di pace presentato dai paesi arabi.
che Israele è disposta a discutere, ma che non può essere la base di nessuna pace se include la rivendicazione del "diritto al ritorno dei profughi", che distruggerebbe Israele.
L'Italia deve sollecitare la ripresa dei finanziamenti all'Autorità palestinese
I finanziamenti all'Autorità palestinese arrivano. Direttamente alla presidenza di abu Mazen per non essere messi nelle mani di Hamas. La richiesta del pacifista Lotti va dunque tradotta così: finanziamo direttamente il terrorismo e chi vuole distruggere Israele
e organizzare, insieme alla rete degli Enti Locali e delle organizzazioni della società civile, una grande azione umanitaria per portare soccorso alle popolazioni di Gaza e dei villaggi palestinesi, alleviare le sofferenze quotidiane delle persone, dei più deboli e vulnerabili,
Alleviare le sofferenze delle persone a Gaza, mentre Sderot non viene nemmeno citata. Un particolare che aiuta a comprendere il grado di faziosità e spietatezza idelogica con la quale Lotti guarda al conflitto che presume di saper risolvere
rigenerare la speranza e la fiducia tra i giovani di entrambi i popoli. Nei limiti delle possibilità di ciascuno, ci dobbiamo sentire tutti impegnati a collaborare al successo di questa che è una grande sfida politica, umana e culturale. C'è molto da fare per ciascuno di noi, per il mondo dell'informazione e della cultura, per le organizzazioni della società civile e per i movimenti, per le organizzazioni sindacali e per quelle religiose. Non attardiamoci ancora.
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