martedi` 26 novembre 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


Clicca qui






Il Foglio Rassegna Stampa
06.06.2007 E' Shirin Ebadi a fare il gioco dei mullah
commento all'attacco del premio Nobel per la pace contro Ayaan Hirsi Ali

Testata: Il Foglio
Data: 06 giugno 2007
Pagina: 2
Autore: Giulio Meotti
Titolo: «Shirin Ebadi onora il Nobel della Pace diffamando Hirsi Ali»
Dal FOGLIO del 6 giugno 2007:

Poteva attirare l’attenzione del mondo sulle piaghe dei tre dissidenti imprigionati dagli ayatollah, Akbar Ganji, Hossein Ghazian e Massoud Bastan. Poteva mostrare le foto dei giovani bendati, legati a un asino e con al collo un cartello con l’elenco dei “crimini”. Poteva dire al mondo che in Iran la testimonianza legale di un non musulmano vale la metà. In occasione del conferimento del Nobel della Pace nel 2003, Shirin Ebadi scelse di denunciare Guantanamo, dove i prigionieri sono trattenuti “senza le protezioni previste dalle convenzioni di Ginevra, in violazione della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo”. La sua prima opportunità di rivolgersi all’occidente che l’aveva sostenuta, Ebadi la sfruttò per attaccare gli americani che ci difendono da chi bombarda i mercati di Sadr City e trasforma i civili in missili contro le due torri. E’ arrivata a chiedersi: “Perché negli ultimi 35 anni, decine di risoluzioni dell’Onu relative all’occupazione dei Territori palestinesi da parte dello stato d’Israele non sono state rapidamente applicate, mentre negli ultimi 12 anni lo stato e il popolo dell’Iraq, una volta su raccomandazione del Consiglio di sicurezza e l’altra nonostante l’opposizione del Consiglio di sicurezza, sono stati oggetto di attacchi, aggressioni militari, sanzioni economiche, e finalmente di un’occupazione militare?”. Lasciando intendere che ci fossero le mani ebraiche dietro alla decisione di invadere Baghdad. E’ in corso una guerra sull’apostasia e a combatterla in nostro nome è un esercito di riformatori e dissidenti islamici, donne come la siriana Wafa Sultan, la bengalese Taslima Nasreen, la turca Seyran Ates e la somala Ayaan Hirsi Ali. Di quest’ultima Ebadi ha parlato a lungo in un’intervista al Corriere della Sera. L’avvocatessa iraniana bolla le idee di Hirsi Ali come “pericolose, reazionarie e identiche a quelle delle dittature islamiche”. Si rivolge sprezzante alla “signorina” per accusarla di essere uguale ai regimi che lapidano le adultere, mutilano le bambine e impiccano gli omosessuali. Come Ebadi aveva scritto l’irachena Lorraine Ali su Newsweek: “E’ ironico come questa sedicente ‘infedele’ spesso appaia recisa e reazionaria almeno quanto i fanatici che tanto strenuamente ha osteggiato”. Sono le biografie di Ebadi e Hirsi Ali a farci capire che nella guerra contro il terrorismo e l’intimidazione, le parole lancinanti dell’ex deputata olandese sono più preziose dei proclami generici e consolanti di una Nobel umanitarista. Se Ebadi attacca l’amministrazione Bush per il tentativo di portare libertà in Iraq e Afghanistan, Hirsi Ali la difende in nome dell’abbattimento di un tiranno che gasava il suo popolo. Per Ebadi “con la scusa della democrazia gli americani rapinano il petrolio”, Baghdad e Kabul sono “occupate”, la democrazia non si fonda con “i carri americani” e “i diritti umani non si impongono con le cluster bombs”. Se la somala definisce “infantile, pia e utopica” l’idea che se Israele cede la terra i palestinesi accetteranno la spartizione, Ebadi attacca Israele per la barriera che ha fermato le stragi nelle pizzerie. Se la somala ricorda che le citazioni che al Qaida trae dal Corano ci sono tutte, Ebadi dice che l’islam non ha bisogno di riforme, “siamo noi che dobbiamo capire l’islam”. Se Ebadi in Italia è venuta a lamentarsi del patriarcato, Hirsi Ali la sua occasione l’ha usata per denunciare la tecnologia neonatale misogina. E mentre Ahmadinejad batte sul tamburo dell’annientamento di Israele, Ebadi rilascia un’intervista per dire che “l’antisemitismo non è nel nostro Dna”, che Gerusalemme deve rinunciare al nucleare e che “dobbiamo distinguere tra popolo ebraico e governo d’Israele”. Argomento usato anche dai mullah. Se Ebadi definisce l’11 settembre “una scusa per l’abuso dei diritti umani”, Hirsi Ali dice che non era “solo colpa di una banda di architetti egiziani frustrati, c’era di mezzo la fede”. Se l’iraniana è contraria a dire “terrorismo islamico”, la somala ci ricorda sempre il volto fiero e guerriero dell’islam. Se Ebadi condannò le vignette su Maometto come “nouvelle islamophobie”, Hirsi Ali le difese contro l’ammutinamento della coscienza occidentale. Quando Bush si rivolse a Teheran per far scarcerare “senza condizioni” l’emaciato Ganji, Ebadi non solo non ringraziò Washington, fece di più, disse che “Bush e i diritti umani non possono mai essere posti nello stesso campo”. Secondo l’esule iraniano Amil Imani, è Ebadi “a fare il gioco della mullahcrazia”, non Hirsi Ali. Il problema dei “moderati”, di cui l’iraniana è orgogliosa di far parte, è il fatto che non si innalzano mai al livello dei radicali. Ma quando in gioco c’è il diritto a essere ebrei, cristiani, politeisti, blasfemi, infedeli e occidentali, cento Shirin Ebadi non valgono una sola Ayaan Hirsi Ali.

Per inviare una e-mail alla redazione del Foglio cliccare sul link sottostante

lettere@ilfoglio.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT