Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein".
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)
Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine.
Shirin Ebadi attacca Ayaan Hirsi Ali il finto dissenso non sopporta quello vero
Testata: Corriere della Sera Data: 05 giugno 2007 Pagina: 41 Autore: Alessandra Farkas Titolo: «Ebadi contro Hirsi Ali»
Shirin Ebadi attacca Ayaan Hirsi Ali e difende il regime iraniano, tra l'altro negando l'evidenza del suo antisemitismo.
Tra coloro che nel mondo islamico lottano per la libertà vi sono sia laici come Hirsi Ali, che esercitano una legittima critica ai testi e alle tradizioni religiose islamiche, sia religiosi che pensano che un islam riformato sia compatibile con la democrazia.
La distinzione fondamentale non è tra questi due gruppi. Ma tra coloro che davvero sostengono la libertà, i diritti e la dignità dell'uomo e coloro che in nome del risentimento verso l'Occidente, del nazionalismo e di altre ideologie finiscono per essere apologeti dei regimi che dichiarano di combattere.
Shirin Ebadi, ormai è chiaro, appartiene a questa seconda categoria.
Dal CORRIERE della SERA del 5 giugno 2007:
NEW YORK — La signora dai capelli corti indossa una giacca grigia di taglio maschile, mentre passeggia con aria sbarazzina nella hall di uno degli alberghi più kitsch di Manhattan, masticando con gran gusto una chewing-gum. «In Occidente mi sento più libera perché non debbo portare il velo», spiega Shirin Ebadi attraverso un'interprete che traduce dal farsi. «Odio il copricapo che sono costretta ad indossare in Iran, per non essere frustata». Alla vigilia della sua imminente trasferta in Italia — dove il 7 giugno parteciperà alla Conferenza sulla pace, la solidarietà e l'integrazione razziale organizzata all'Hotel Royal di Sanremo dalla Provincia di Imperia — l'avvocatessa iraniana, attivista dei diritti umani e premio Nobel per la Pace nel 2003, si trova negli Stati Uniti per una serie di conferenze universitarie su temi quali «la relazione tra Islam e diritti civili» e «il ruolo delle donne nella democrazia». «Anche nei campus americani molti ignorano che l'Iran ha dato il voto alle donne ben prima della Svizzera», spiega la Ebadi, ex presidente di una sezione del tribunale di Teheran, licenziata dopo la rivoluzione islamica nel 1979. «Duemila anni fa il mio Paese era governato da due regine: Boran e Azarmidokht. E anche in futuro saranno le donne a liberare l'Iran, guidandolo fuori dall'attuale medioevo, non i soldati americani. Quando iniziai ero sola; oggi il Paese è pieno di giovani donne più agguerrite e brave di me». Ovunque vada, tutti le rivolgono la stessa domanda: potrà mai la religione islamica accettare l'eguaglianza tra i sessi? «La mia risposta è sì. L'Islam, come le altre religioni, si presta a interpretazioni diverse. Il concetto di eguaglianza — puntualizza — non è affatto negato dal Corano». Il che spiega come mai in Arabia Saudita le donne non possono neppure guidare l'auto, mentre in Paesi quali Bangladesh e Pakistan sono state presidenti e ministri. O perché la poligamia, praticata in Iran, sia bandita in Indonesia. «Se una donna iraniana vuole viaggiare e lavorare, ha bisogno del permesso scritto del marito. Ironicamente ciò vale anche per Fatemeh Javadi, vice del presidente Mahmoud Ahmadinejad: una donna. Nei nostri tribunali la testimonianza di due donne corrisponde a quella di un solo uomo. Perché la nostra vita vale la metà rispetto alla loro». La Ebadi non si stanca di ripetere le «eresie» che — come testimonia nel libro Il mio Iran (Sperling & Kupfer, pp. 320, e 17) — nel 2000 la catapultarono sulla lista dei condannati a morte dal regime di Teheran. Ma, al contrario di tanti intellettuali fuggiti in Europa e America, lei ha deciso di restare. «Il dissidente è come un pesce nell'oceano — teorizza —. Se lo butti in un acquario, smette di nuotare e di riprodursi». Eppure non se la sente di criticare gli esuli: «Quando sei certo di essere giustiziato, spesso non ti resta altro che scappare». E se a lei il premio Nobel ha conferito una certa immunità, la strada è ancora tutta in salita. «Quando mi scelsero per il Nobel, il governo aspettò 24 ore prima di annunciarlo. E lo fece in piena notte, al termine di un notiziario che nessuno guarda». In Iran la Ebadi continua a sentirsi «censurata al 100 per cento». «Per questo viaggio tanto. Voglio che il mio messaggio esca e si diffonda». Ai tempi del Nobel, l'allora presidente Khatami sminuì il premio come «un atto politico, privo d'importanza». Qualcuno parlò di «gelosia», giacché nel 2001 lo stesso Khatami era stato, senza successo, candidato al Nobel. «È un vero peccato, perché non sono mai stata una sua rivale. Sono un avvocato dei diritti umani e mai e per nessun motivo entrerò in politica». Perché? «Preferisco giudicare il governo dall'esterno. Perché anche la democrazia più avanzata rischia di trasformarsi in dittatura, se non la si critica». Ma un conto è attaccare i poteri dispotici, un altro è prendersela con la religione, come fa la scrittrice d'origine somala Ayaan Hirsi Ali. «Le sue tesi — spiega la Ebadi — sono pericolose, reazionarie e identiche a quelle delle dittature islamiche che dice di aborrire. La signorina Ali sostiene che, per qualsiasi azione intrapresa da governi non democratici in Iran e Arabia Saudita, la colpa ricade sull'Islam. È la stessa identica tesi di quei regimi. Che si difendono dalle accuse di tirannia affermando di "limitarsi a seguire regole e precetti dell'Islam"». Il suo timore è che il messaggio di Hirsi Ali possa fomentare l'odio antislamico, già molto in voga in Europa. «Io preferisco enfatizzare i tanti punti in comune tra Islam, giudaismo e Cristianesimo. Dobbiamo invitare la gente alla riconciliazione e alla concordia, non incitarla al conflitto e alla violenza». Anche il contrasto Iran-ebrei, a suo dire, è fittizio: «Sin dai tempi dell'imperatore Ciro il Grande, gli ebrei erano amati e benvenuti in Persia. L'antisemitismo non è nel nostro Dna». In Iran, oggi, continua ad avere molti amici ebrei: «Certo, la rivoluzione islamica ha introdotto regole discriminatorie nei loro confronti. Ma ciò è vero per qualsiasi gruppo religioso non sciita. I più perseguitati oggi sono i baha'i». Nella lista nera del regime ci sono anche centinaia di intellettuali, scrittori, femministe e dissidenti che la Ebadi rappresenta da anni, completamente gratis. Lo scorso aprile la scrittrice ha lanciato una provocatoria proposta al governo di Teheran: indire un referendum, sotto l'egida dell'Onu, per far decidere al popolo iraniano se perseguire il programma nucleare. «Ahmadinejad continua a dire che è il popolo a chiedere il nucleare e che il suo programma è a scopi pacifici. Il mondo non gli crede; quindi non gli resta che democratizzare il sistema politico. Perché solo quando i cittadini potranno supervisionare le azioni dei loro leader, che oggi decidono tutto clandestinamente, nascondendosi dietro porte chiuse, potremo dormire sonni tranquilli». Tra una battaglia e l'altra riesce a trovare un po' di tempo per scrivere? «La scrittura è il ristoro che mi alleggerisce le spalle appesantite dal mio lavoro di avvocato. Magari non dormo, ma trovo sempre la maniera di scrivere. Lo faccio soprattutto negli aeroporti, tra un volo e l'altro». Il suo nuovo libro, in uscita l'anno prossimo, è dedicato alla diaspora iraniana. «La rivoluzione islamica — racconta — ha disperso il mio popolo attraverso il mondo. Secondo l'Unesco, l'Iran ha il più elevato tasso di fuga di cervelli rispetto a qualsiasi altro Paese del pianeta. La mia nuova opera esplorerà questo doloroso e inarrestabile fenomeno». Rimpianti? «Mi dispiace di non essere riuscita ad incontrare papa Wojtyla, candidato con me al Nobel, il primo che mi telefonò per congratularsi. Era già molto vecchio e malato e purtroppo non ce l'abbiamo fatta a conoscerci di persona».
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