La guerra dei sei giorni nel ricordo di Uzi Dayan intervistato da Alberto Stabile
Testata: La Repubblica Data: 05 giugno 2007 Pagina: 22 Autore: Alberto Stabile Titolo: «"Quella gita a Gerusalemme dopo sei giorni di guerra"»
Dalla REPUBBLICA del 5 giugno 2007:
GERUSALEMME - Il generale Uzi Dayan aveva 19 anni, il 5 giugno del 1967, quando scoppiò la Guerra dei Sei giorni ed era una giovane recluta dell´unità speciale Sayeret Matkal, il Commando dello Stato Maggiore, dove tradizionalmente vengono arruolati i rampolli dell´elite politico-militare israeliana. Perché, ammesso che l´abbia mai desiderato, per Uzi Dayan era impossibile sfuggire alla tradizione di famiglia: il padre, Zohar, combatté e venne ucciso nella guerra del 1948 e il più famoso zio, Moshè, dall´inconfondibile benda sull´occhio sinistro sarebbe diventato un´icona del conflitto di cui oggi si celebra il quarantesimo anniversario. Generale Dayan, lei dove ha combattuto quel 5 giugno 1967? «Ero da meno di un anno nell´esercito, ed ho partecipato alla conquista di Sharm-el-Sheikh. Siamo partiti in elicottero da Eilat, era la prima volta che volavo sul mar Rosso. A Sharm-el-Sheikh non c´erano quasi nemici egiziani, e il nostro compito era di preparare il terreno per i paracadutisti. Eravamo molto arrabbiati, perché, in quanto giovani soldati, avevamo dovuto compiere la parte più pericolosa dell´operazione, il volo in elicottero e speravamo di ricevere il distintivo con lo sfondo rosso. Ma, alla fine, visto che i nemici erano molto pochi e il vento molto forte, abbiamo fatto atterrare gli aerei e nessuno si è paracadutato. Dopo Sharm siamo saliti anche sul Golan, ma la guerra è finita molto in fretta». Dove si trovava quando suo zio, il ministro della Difesa Moshé Dayan, entrò a Gerusalemme est, insieme a Yitzhak Rabin e a Uzi Narkiss, come si vede in quella foto famosissima? «Non ricordo con esattezza, dopo tanti anni. Credo che fossimo a Sharm-el-Sheikh: era venuto con noi in elicottero anche Ezer Weizman, il vice-capo di stato maggiore, che ci teneva informati di quello che succedeva. Però ricordo benissimo che, appena finita la guerra, siamo andati in gita a Gerusalemme, in Città Vecchia. Eravamo emozionati e pieni di meraviglia. Vedevamo soltanto il lato positivo della guerra». Suo zio, Moshè Dayan, venne nominato ministro della Difesa, pochi giorni prima dell´inizio delle ostilità come una sorta di salvatore della patria. Si ricorda come i suoi commilitoni accolsero la notizia? «Sì, Moshè Dyan venne nominato sull´onda di un forte consenso popolare. Ma lei tenga conto io servivo in un´unità di élite e in quei posti t´insegnano a tenere a bada l´emotività: eravamo tutti molto sicuri di noi stessi. La nomina di Moshé Dayan fu quindi accolta sul campo con molta soddisfazione». Secondo lei, quale è stato il ruolo di Dayan nella vittoria del ‘67, anche rispetto ad altri protagonisti di quel tempo come Rabin, Weizman, Uzi Narkiss o persino Levi Eshkol, che è stato ministro della Difesa prima di lui? «Non posso e non voglio fare confronti con gli altri, anche perché sono un parente di Moshé Dayan. E´ chiaro però che il suo contributo è stato molto significativo, sia per il morale della popolazione, sia per la conduzione della campagna. Allora la figura del Ministro della Difesa era molto dominante e Dayan, in quanto Dayan, era ancora più dominante». Si dice che quel conflitto abbia cambiato la storia d´Israele. Quarant´anni dopo è possibile giustificare ancora l´occupazione della Cisgiordania e del Golan, che allora furono considerate come pedine da scambiare per raggiungere la pace? «Oggi Israele non ha più illusioni, non si pensa più in termini di «Grande Israele». La maggioranza degli israeliani capisce che è necessario un compromesso territoriale, perché da un lato non vogliono dominare un altro popolo e dall´altro vogliono essere una società ebraica e democratica e non vivere in uno stato bi-nazionale. Quindi l´idea del Grande Israele è impossibile. Ma non esiste più nemmeno l´illusione di «territori in cambio di pace»: siamo usciti da Libano fino all´ultimo centimetro e ci siamo ritrovati gli Hezbollah ed una guerra; siamo usciti da Gaza e ci ritroviamo a dover fronteggiare Hamas ed i Qassam tutti i giorni. Per cui oggi gli israeliani non sono più disposti a fari nuovi esperimenti del genere. Il problema è che non abbiamo una linea politica chiara, che invece secondo me dovrebbe essere basata, da un lato, su una risposta militare alla minaccia degli Hezbollah e di Hamas e, contemporaneamente, deve aspirare alla soluzione di «due Stati per due popoli».