Sandro Viola si straccia le vesti per il "Viva Israele" di Magdi Allam
Testata: La Repubblica Data: 01 giugno 2007 Pagina: 48 Autore: Sandro Viola Titolo: «QUELLA CONVERSIONE NEL NOME DI ISRAELE»
Per Sandro Viola "Viva Israele" è una bestemmia impronunciabile. Israele opprime i palestinesi, la sua autodifesa dal terrorismo è ingiustificata perché "fa troppi morti", è egemonizzata dai coloni che non vogliono cedere neanche un centimetro di terra, anche se al potere è stranamente un governo eletto per attuare un ritiro unilaterale dalla Cisgiordania. Per questo dire "Viva Israele" deve essere un tabù. Anche quando significa solo, come nel libro di Magdi Allam, che rinunciare alla difesa del diritto all'esistenza di Israele o accettare che esso sia condizionato (come di fatto fanno molti giornalisti e intellettuali in Occidente) comporta la rinuncia al diritto alla vita per tutti. Se a violare il tabù è un giornalista di origine araba come Magdi Allam Viola scriverà che si sta autoflagellando: tutti gli arabi devono odiare Israele. Se dal culto di Arafat un arabo passa a descriverlo per quello che era, un terrorista che ha alimentato un sistema di corruzione, la revisione delle sue idee, in se legittima, diviene decisamente "eccessiva". Tra la verità e la menzogna, Viola propende per un "giusto mezzo".
A fianco, la fotografia che illustra l'articolo, con la didascalia "Bombardamento israeliano su Gaza". Una data, e una circostanza sarebbero state opportune. Ma in ogni caso la fotografia non c'entra nulla con il tema dell'articolo, è pura propaganda.
Ecco l'articolo, dalla REPUBBLICA del 1 giugno 2007:
L´ultimo libro di Magdi Allam, Viva Israele (Mondadori, pagg. 296, euro 17), è composto di due parti diverse e separate: un´autobiografia vera e propria, e un´autobiografia - con forme vistose d´autoflagellazione - politico-ideologica. La prima parte non è priva d´un certo fascino. In essa Allam racconta la guerra dei Sei giorni, vista con i suoi occhi di quindicenne dalla casa d´una zia in un quartiere popolare del Cairo. Qui c´è molto colore. Piccole, amabili scene della vita quotidiana in una casa sovraffollata sino all´inverosimile, dove manca l´acqua corrente, cugini e cugine dormono negli stessi letti, e la colazione del mattino viene acquistata lì per lì dagli ambulanti. Ma in questa povertà non c´è squallore. Ci sono forti legami di sangue, affetti, allegrie, e la sconfinata mitezza egiziana. Il tutto impersonato nella zia dell´autore, Adreja, un personaggio commovente come se ne trovano nei romanzi di Naguib Mafuz. È la mattina del 5 giugno 1967, e il risveglio nella casa del quartiere Imbaba procede come di consueto. Le abluzioni con l´acqua del pozzo, la colazione. Poi viene accesa la radio, e dalle marce militari, dai primi bollettini del Comando arabo unito, si capisce che è scoppiata la guerra con Israele. Dalla Swat al Arab, la voce degli arabi (come si chiamava la radio dell´Egitto nasseriano), vengono notizie entusiasmanti. L´aviazione egiziana sta falcidiando quella d´Israele. Più o meno ogni quarto d´ora, il numero degli aerei israeliani abbattuti viene aggiornato. Prima cinquanta, poi settanta, cento, centocinquanta. Nella casa di Adreja e nell´intero quartiere di Imbaba si diffonde la certezza, e l´esultanza, d´una grande vittoria sul "nemico sionista". Questo scorcio mi ha molto divertito, perché anch´io quella mattina ero al Cairo. E per un paio d´ore fui convinto anch´io (abbindolato dai notiziari della Swat al Arab) che Israele stesse perdendo la guerra. Ad Allam l´episodio serve per descrivere in un lungo "flash back" la natura e gli inganni del regime nasseriano. Dalle illusioni che le masse egiziane nutrirono nei primi due o tre giorni della guerra - quando la radio parlava ancora di avanzate trionfali - sino alla drammatica sera del 9, quando Nasser ammise alla televisione la "naksa", la disfatta, e Il Cairo s´empì d´una folla immensa e disperata che implorava il Rais di non abbandonarla. Da qui comincia la seconda parte del libro, l´autobiografia (o meglio l´autoflagellazione) politico-ideologica. Il Magdi Allam ancora adolescente del giugno ‘67 aveva infatti sempre creduto, come si può ben capire, alla propaganda di regime. La missione del panarabismo, la lotta contro i residui del periodo colonialista, il tumore rappresentato nella regione mediorientale da Israele, lo stato "sionista-imperialista". Aveva idolatrato Nasser, sperato nella vittoria, sofferto per la disfatta. Ma anche più tardi, quando approda in Italia e intraprende la carriera di giornalista, le sue idee non sono molto cambiate. Crede nei diritti nazionali dei palestinesi che Israele insiste ad ignorare, ha fiducia nella leadership di Yasser Arafat, è severo contro l´occupazione israeliana di Gaza e della Cisgiordania. Anche perché - è lui stesso a spiegarlo - questa è la linea della sinistra in Italia, e lui si sente di sinistra. Ma ad un certo punto tutto cambia. Cambiano le idee, i giudizi e le attese rispetto al conflitto arabo-israeliano. Vengono ribaltate le ragioni degli uni e degli altri. E sin qui nessuna obiezione, se è vero che solo gli spiriti più angusti restano abbarbicati alle proprie credenze. Il fatto è, tuttavia, che in Viva Israele non assistiamo ad una revisione, correzione, risistemazione di giudizi precedenti: veniamo invece investiti da uno squassante confiteor, da un´abiura travolgente. Non solo il capovolgimento è totale, radicale: ma esso avviene in forme di tempesta dell´anima, di "Sturm und Drang", attraverso una prosa penitente, esaltata, a tratti persino convulsa. Insomma: una drammatica, straziante conversione, più che una messa a punto storico-politica. Per quel che mi riguarda, ne sono rimasto interdetto. Nessun dubbio infatti che le revisioni siano legittime, e in tanti casi necessarie e salutari. Ma l´enfasi di Allam travalica ogni ammissibile, ragionevole misura. Israele, che prima veniva definito «una potenza aggressiva, razzista, colonialista, immorale», diventa un faro di civiltà. L´idolatrato Nasser è adesso un "bravaccio" di periferia, un "dittatore spaccone", finito giustamente nella pattumiera della storia. E non parliamo di Arafat, che da leader della sacrosanta resistenza d´un popolo spossessato, diventa un "egoista e megalomane, falso e inaffidabile, tiranno e cinico, corruttore e corrotto". Allam sostiene che la sua visione della contesa israelo-palestinese s´è rovesciata al momento in cui è giunta in scena "l´ideologia della morte" propugnata dal fondamentalismo islamico. I kamikaze di Hamas, Al Qaeda ed Hezbollah, la loro furia sanguinaria, i loro infernali progetti terroristici. E quella comparsa gli ha consentito di capire che sullo sfondo della cultura mortifera e distruttiva dell´Islam radicale, Israele rappresenta invece la cultura della vita. Dunque, «Viva Israele». Viva Israele? Qui è difficile non obiettare. Israele è oggi, in effetti, un paese minacciato. Il "rifiuto arabo" della sua esistenza, che sul terreno politico-diplomatico non è più compatto come un tempo, persiste tuttavia come sentimento di massa, alimentato dal fanatismo religioso. In tutto l´universo arabo-islamico i demagoghi ne invocano la distruzione. Tra gli occidentali, americani compresi, cresce un´impazienza per la lentezza, vaghezza, riluttanza con cui i governi israeliani abbordano il problema del negoziato con i palestinesi. E la forza militare d´Israele mostra ormai le prime crepe. Come non sentirsi in questa fase, quindi - se dall´altra parte ci sono Hamas, la Jihad islamica, Hezbollah e il torvo Ahmadinejad-, vicini ad Israele? Come non cogliere, quarant´anni dopo la folgorante vittoria nella guerra dei Sei giorni, una sua prima, inquietante vulnerabilità? Non è un caso, del resto, che molti dei suoi critici abbiano da qualche tempo messo la sordina alle loro rimostranze verso la politica dei governi di Gerusalemme. Ma «Viva Israele», no. Il suo esercito si comporta in modo disumano nella Palestina occupata, sino ad accorare, rivoltare, quel che c´è di meglio - gli artisti, gli intellettuali, gli spiriti liberi - nella società israeliana. Le rappresaglie che scattano ad ogni attentato fanno troppi morti (660 palestinesi nel 2006) perché le si possa giustificare. La forza politica oggi più compatta e motivata in Israele è il "partito dei coloni", che non intende cedere un solo pollice della Cisgiordania. Il prevalere delle decisioni militari sulle opzioni e opportunità politiche non fa che rafforzarsi. No. Dirsi «con Israele» è più che legittimo, anzi pienamente condivisibile. Mentre «Viva Israele» è il frutto di un´autoflagellazione, e non ha nulla a che fare con quanto accade in Palestina.
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