martedi` 26 novembre 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


Clicca qui






Il Foglio Rassegna Stampa
31.05.2007 Ondata di arresti in Iran
il regime scatena la repressione

Testata: Il Foglio
Data: 31 maggio 2007
Pagina: 3
Autore: la redazioen
Titolo: «Ahmadinejad si allunga la vita con un’ondata di arresti»
Dal FOGLIO del 31 maggio 2007:

Roma. “Quello che serve alla nazione è una Repubblica islamica. Non soltanto una repubblica, non una repubblica democratica e nemmeno una repubblica islamica democratica. Non usate la parola democratica per descriverla. Quello è lo stile occidentale”. Così parlava l’ayatollah Ruhollah Khomeini nel marzo del 1979, così continuano a pensare i suoi epigoni. Sanno che il desiderio di libertà è come una malattia infettiva e che nessun iraniano può dirsi per sempre immune dal contagio. Come ha ricordato in un recente discorso il consigliere di Ahmadinejad, Hassan Abbasi, ogni cittadino rappresenta una minaccia potenziale: “Non possono permettersi di rovesciare il regime con la forza e quindi ci provano con metodi soft. Loro, gli americani e gli occidentali, seminano odio. Fanno in modo che l’iraniano disprezzi i suoi governanti, la sua fede, la sua nazionalità fino al punto in cui l’iraniano stesso sarà pronto a combattere il regime”. Attribuire all’occidente o a una cospirazione della Cia gli umori neri del paese è un modo per evitare di fare i conti con la bancarotta del sistema. Gli iraniani hanno imparato che “la difesa dall’invasione culturale” è un monsone che si abbatte ciclicamente. Si annuncia con lo sradicamento dei satelliti e con surreali direttive ai barbieri sulle pettinature antirivoluzionarie. Poi, puntualmente, arrivano le violenze e le intimidazioni: punizioni esemplari per studenti, donne “mal velate”, giornalisti, intellettuali e artisti. Qualsiasi attività che non sia sotto il diretto controllo governativo è sospetta. Sono nel mirino le associazioni professionali, le ong, le organizzazioni studentesche e femminili. Manifestare pacificamente è una follia, anche per la poetessa settantenne Simin Behbahani. I bassiji non si fermano. Negli ultimi mesi almeno 150 mila donne sono state arrestate. Basta un foulard che scivola, ma anche una parola in più o una in meno. Nell’aprile dell’anno scorso lo storico Ramin Jahanbegloo fu arrestato per aver espresso riserve alle invettive negazioniste di Ahmadinejad. “In Iran siamo come trapezisti che si dondolano avanti e indietro senza rete”, ha commentato il regista Dariush Mehrjui. E’ una condizione tutt’altro che inedita, eppure “la sindrome paranoide” di Ahmadinejad continua ad essere uno degli argomenti più seguiti dagli osservatori. Per contrastare gli agenti in sonno di una temuta rivoluzione di velluto, dalla fine degli anni Novanta all’elezione del presidentepasdaran, tecnocrati e riformisti hanno somministrato al paese in dosi omeopatiche lo “stile occidentale”. Per qualche tempo proprio grazie al veleno straniero, ai discorsi sulla partecipazione ed il pluralismo culturale, l’Iran è stato tenuto a freno con l’illusione che il riformismo dall’alto di Khatami si trasformasse in una glasnost persiana. Naturalmente anche allora dissidenti, scrittori e traduttori erano colpiti, ma senza tanto clamore. Quando nel 2003 la fotoreporter Zahra Kazemi, iraniana con cittadinanza canadese,venne barbaramente uccisa nell’ufficio del procuratore Said Mortazavi, nessuno nell’amministrazione Khatami pensò che qualcosa di positivo ne sarebbe venuto fuori. Ahmadinejad ha cambiato registro. L’impossibilità di rispettare le promesse elettorali, quel sogno di spartire i proventi del petrolio con tutti gli iraniani, con la disoccupazione al 30 per cento ed il 18 per cento della popolazione al di sotto della soglia di povertà, lo spinge a risposte sempre più scomposte e contraddittorie nei confronti dei suoi nemici reali ed immaginari. Si scaglia contro Rafsanjani e Khatami, dimenticando che la coesione è l’unico argine al declino del regime, colpisce i sufi e i bahai, mette in carcere gli accademici residenti in America Haleh Esfandiari e Kian Tajbakhsh. E in fondo la tragedia iraniana sta tutta qui: lo “stile occidentale” sarà sempre rifiutato perché rappresenta una minaccia alla natura totalitaria del regime, un regime disposto ad uccidere i suoi figli pur di garantirsi la sopravvivenza.

Cliccare sul link sottostante per inviare una e-mail alla redazione del Foglio

lettere@ilfoglio.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT