1967: la vecchia storia dell'aggressione araba è completamente vera Benny Morris critica il revisionismo di Tom Segev
Testata: Il Sole 24 Ore Data: 28 maggio 2007 Pagina: 0 Autore: Benny Morris Titolo: «1967, farsa in Sei giorni»
Pubblichiamo un articolo apparso domenica27 maggio sul Sole 24 Orea firma Benny Morris intitolato “1967, farsa in Sei giorni”.
Tom Segev nel suo ultimo libro (“1967: Israel, the War and the Year that transformed the Middle East” – Metropolitan Books $ 35,00) tenta di addebitare a Israele le responsabilità della Guerra-lampo contro I Paesi arabi. Un esempio di come i pregiudizi possano fuorviare le interpretazioni storiografiche.
Karl Marx ha detto che la storia tende a ripetersi. La prima volta è tragedia; la seconda farsa. Che la Guerra dei Sei Giorni del 1967 tra Israele e gli Stati arabi confinanti, con le sue migliaia di morti e di mutilati e le centinaia di migliaia di persone allontanate dalle proprie case, sia stata, come tutte le guerre, una tragedia non v’è dubbio. Ora, con 1967 di Tom Segev, abbiamo la farsa.
Con ciò non intendo dire che questo marcantonio di libro sia del tutto privo di valore. Offre scorci vitali sulla naturadella società israeliana e sul sionismo nel 1967 e mette in scena tutta una schiera di testimoni che illuminano angoli finora nascosti sia del processo che portò alla guerra sia delle sue immediate conseguenza. Segev dimostra zelo e originalità nel portare alla luce un ampio spettro di fonti. E, manco a dirlo, sa raccontare una storia, specie dopo le prime cento pagine un po’ piatte: ed è una storia di errori di calcolo e di paure esistenziali, con un crescendo di sei giorni in cui Israele sbaraglia gli eserciti di Egitto, Giordania e Siria. Il libro inoltre è punteggiato di acuti mini-ritratti (si veda quello di Moshe Dayan, il leggendario ministro della Difesa israeliano: “Alla rincorsa di potere di potere, donne e denaro, infinitamente egocentrico, cinico e volubile, Dayan era fedele soltanto a sé stesso”).
Ma, tutto considerato, quello che alla fine viene fuori è una farsa. Nel senso che dopo settecento pagine il lettore si trova così fuorviato che il risultato è una buffonata. Si può sostenere, come fanno alcune delle persone intervistate da Segev, che la guerra – la terza tra Israele e gli arabi dopo il 1948 e il 1956 – era inevitabile: nient’altro che un’ulteriore, violenta convulsione dello stato di tensione tra Israele e il contesto arabo circostante che voleva – e tuttora vuole –la sua scomparsa; e che i dettagli della catena di cause ed effetti, per quanto riguarda il 1967, di fatto non sono rilevanti. La guerra era inevitabile e sarebbe comunque scoppiata, fosse due anni o cinque o dieci dopo.
Ma se si assume un atteggiamento meno deterministico e più storicistico e si cerca di comprendere che cosa effettivamente portò a quella guerra specifica in quel momento specifico, converrà rendere e distanzedal 1967 di Segev. Perché si dà il caso che la solita, frusta storia dell’aggressione araba e della reazione di Israele, storia che Segev di fatto non racconta, sia vera. Tra il 1965 e l’inizio del 1967 la Siria orchestra una guerriglia per procura di basso livello, mandando infiltrati palestinesi al di là della frontiera libanese, di quella giordana e, di quando in quando, della stessa frontiera siriana per colpire obiettivi all’interno di Israele. Nello stesso periodo i siriani tentano più volte di deviare parte delle fonti del Giordano, la principale risorsa idrica di Israele, e di tanto in tanto sparano contro insediamenti agricoli israeliani lungo il confine.
Nella primavera del 1967 Israele decide che ne ha abbastanza e minaccia rappresaglie. A quel punto (e nessuno sa davvero perché) la Siria riceve dai sovietici l’errata informazione che Israele sta ammassando truppe in Galilea per prepararsi all’attacco (cosa del tutto falsa) e chiede aiuto all’Egitto. Il 14-15 maggio il presidente egiziano, il popolare Nasser, invia cinque divisioni, di cui alcune corazzate, nella penisola del Sinai, la zona cuscinetto tra Israele e l’Egitto, minacciando di attaccare. Nei giorni successivi Nasser ordina alle forze dell’ONU che mantengono la pace lungo il confine di lasciare il Paese e chiude lo Stretto di Tiran, bloccando il porto israeliano di Eilat sul Mar Rosso e la rotta aerea da Israele all’Africa. L’accordo che prevedeva la presenza di un contingente ONU, la smilitarizzazione del Sinai e il libero accesso allo stretto, in quanto rotta marittima internazionale, risaliva al 1957, quando l’Egitto l’aveva sottoscritto in cambio del ritiro di Israele dal Sinai, occupato nel corso della guerra Sinai/Suez del 1956. Lo spiegamento di truppe egiziane costringe Israele – con grave danno economico-a mobilitare il proprio esercito e chiedere l’intervento degli Stati Uniti, che si erano fatti garanti della sua libertà di accesso allo stretto. Aerei da combattimento egiziani, apparentemente in ricognizione per preparare l’attacco, sorvolano due volte il reattore nucleare israeliano di Dimona. Il 30 maggio Egitto e Giordania firmano un patto di mutua difesa, che consente all’Egitto il controllo dell’esercito giordano e lo schieramento di truppe nella West Bank.
In tutto, con disappunto dei suoi generali, Israele attende quasi tre settimane. Ma la comunità internazionale non fa nulla….E il 5 giugno Israele attacca con tutte le sue forze, distruggendo l’aviazione egiziana al suolo. Alle dieci di sera, nonostante Israele abbia chiesto a re Hussein di non intervenire, le truppe giordane aprono il fuoco su Gerusalemme (ovest) e sulla periferia di Tel Aviv con artiglieria e mitragliatrici e prendono d’assalto la sede dell’ONU sul Monte del Cattivo Consiglio a Gerusalemme. Dopo un ulteriore avvertimento inascoltato, Israele risponde all’attacco: nell’arco di tre giorni conquistaGerusalemme est e la West Bank; il 9 e 10 giugno, in risposta agli attacchi dell’artiglieria siriana, occupa le alture del Golan.Nel libro di Segev il lettore troverà la maggior parte di questi fatti celati in poche, spesso vaghe parole. Anzi, alcuni fatti fondamentali non vengono neppure citati. Scoprirà invece che: a) nel 1966-67 l’intera società israeliana, da cima a fondo, era fieramente espansionista (oltre che razzista, insicura e militarista) e da sempre mirava ad occupare territori arabi, in particolare la West Bank,la striscia di Gaza e le alture del Golan., per motivi economici, ideologici (gli israeliani hanno sempre sognato una “grande Israele”) e strategici; b) gli israeliani erano fondamentalmente in preda al panico e paranoici (“Preparata all’annientamento, Israele non lasciava passare inascoltata nessuna diceria”), temevano assurdamente i loro vicini ed erano sempre pronti a prenderne in parola le bellicose dichiarazioni: e tutto ciò perché erano traumatizzati dall’Olocausto; c) le mosse di Nasser non manifestavano intenzioni realmente aggressive: i politici arabi tendono a far la voce grossa e a mostrare i denti senza nessuna ragione.
A un certo punto Segev cita l’ex primo ministro David Ben Gurion: “Nessuno di noi può dimenticare l’Olocausto nazista e se alcuni leader arabi, con il capo dell’Egitto in testa, notte e giorno dichiarano che Israele deve essere distrutto….non dobbiamo prendere le loro parole alla leggera”. Ma poi relega l’affermazione a mera “linea della propaganda ufficiale israeliana”. Segev ascrive la politica americana nei confronti di Israele interamente al peso elettorale degli ebrei, ai loro finanziamenti in sede di campagna elettorale e alle macchinazioni da loro condotte all’interno della Casa Bianca (l’autore lascia intendere che nel periodo maggio-giugno 1967 una bella signora di origine israeliana Mathilde Krim, andava a letto con il presidente Johnson).E naturalmente non spiega mai perché, se Johnson era così unilateralmente pro-sionista, gli Stati Uniti non abbiano riaperto lo stretto con la forza, come avevano promesso a Israele, e perché abbiano implicitamente avvertitoIsraele di non attaccare.
Un’ultima osservazione: nonostante la sua ragguardevole stazza, 1967 contiene un vasto e profondo buco nero. Che questo: non c’è ombra degli arabi. Per spiegare il 1967, ci comunica Segev, “quello che serve è una profonda conoscenza degli israeliani”.
Sicchè non viene citata quasi nessuna fonte araba; e non c’è nessun serio approfondimento sulla parte araba, le sue motivazioni, le sue mosse, il suo punto di vista; come se nella vicenda gli arabi fossero semplici arredi scenici ospettatori innocenti. Segev dedica (giustamente) più di un centinaio di pagine al dopoguerra, che vede l’inizio dell’attività dei coloni ebrei,l’esodo di 250.000 palestinesi e siriani e la rinascita del nazionalismo palestinese. Il 19 giugno 1967 Israele propone (segretamente) la pace con l’Egitto in cambio della penisola del Sinai e la pace con la Siria in cambio dell’altopiano del Golan (per l’irrisolutezza del Consiglio dei Ministri israeliani non entrano nell’offerta la West Bank e la striscia di Gaza). Segev tendenziosamente così riassume la mossa: “ Israele creò così l’impressione che aveva offerto la pace in cambio dei territori”. Sia come sia, egiziani e siriani rifiutarono l’offerta di pace, votando a Khartum in settembre i tre no: “No alla pace, no ai negoziati, no al riconoscimento di Israele”. Così la guerra finì su una nota di intransigenza che segna ancora il suo quarantesimo anniversario questa settimana.
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