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La Stampa Rassegna Stampa
28.05.2007 Per il regime iraniano la trattativa con gli Usa è solo una tattica per guadagnare tempo
Maurizio Molinari intervista l'esule Mohsen Sazegara

Testata: La Stampa
Data: 28 maggio 2007
Pagina: 7
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «Una tattica per rinviare lo scontro»

Dalla STAMPA del 28 maggio 2007:

In pochi conoscono l’Iran dal di dentro come Mohsen Sazegara, prima leader del movimento studentesco che si oppose allo Scià e poi nel 1979 protagonista della fondazione delle Guardie della Rivoluzione. Adesso Sazegara vive e insegna a Washington, dove è uno dei fautori della proposta di un referendum da tenere in Iran per cambiare la Costituzione. E’ a lui che abbiamo chiesto di spiegare l’approccio di Teheran all’incontro di Baghdad.
Che cosa si aspetta il presidente iraniano Ahmadinejad dai colloqui sull’Iraq?
«Ciò che conta è cosa si aspetta la Guida Suprema della Rivoluzione, il leader Alì Khamenei. Ahmadinejad non ha che il 20 per cento del potere, l’80 per cento è nelle mani di Khamenei e include anche un dossier importante come il dialogo con gli Stati Uniti».
Intende dire che c’è un disaccordo fra i due sul negoziato?
«Intendo dire che Ahmadinejad fa ciò che decide Khamenei su tale questione. E lo stesso vale per il nucleare: quando Khamenei ha detto che Ali Larijani doveva essere il negoziatore così è stato. Ahmadinejad è favorevole ai colloqui di Baghdad perché li ha decisi Khamenei».
Allora ci spieghi, perché il successore dell’ayatollah Khomeini ha deciso il dialogo con la nazione che viene ancora identificata con il «Grande Satana»?
«Per quattro differenti motivi, tutti molto importanti. Primo: vuole prendere tempo perché la strategia di fondo è arrivare al termine del mandato di Bush, farlo uscire di scena e dunque trattare da una posizione di forza con il successore, i negoziati servono proprio a guadagnare del tempo. Secondo: Khamenei teme un attacco militare americano, lo ritiene possibile soprattutto alla luce della prova di forza in atto dell’Us Navy nel Golfo, la convinzione è che più si dialoga più l’attacco diventa improbabile. Terzo: l’interesse dell’Iran è rafforzare la propria influenza sull’Iraq e il negoziato a Baghdad avrà questo effetto sul governo di Nuri al Maliki. Quarto: Teheran vuole ottenere da Washington lo smantellamento delle basi dei Mujahhedin del Popolo in Iraq».
Perché non ha incluso fra questi motivi anche la richiesta di Teheran per un ritiro immediato delle truppe Usa dall’Iraq?
«Perché si tratta di propaganda. A far conoscere questa richiesta è stato il giornale Khayan, espressione di Khamenei. Il fine è di far arrivare questo messaggio agli iraniani. In realtà Teheran non ha interesse a un ritiro accelerato degli americani perché se avvenisse troppo presto creerebbe un vuoto di potere molto pericoloso, destinato a indebolire anche la propria influenza politica».
E gli iraniani invece come guardano all’appuntamento in Iraq?
«Con grande timore».
Perché?
«Temono che gli Stati Uniti si facciano intrappolare dal negoziato, sedurre dal greggio e dimentichino l’impegno preso a promuovere la libertà in Iran. Le parole pronunciate da Bush sul sostegno al popolo iraniano sono sulla bocca di tutti, corrono di famiglia in famiglia, e dunque ci si chiede se dietro l’appuntamento di Baghdad ci sia un ripensamento americano, un cedimento causato dalle difficoltà militari in Iraq e Afghanistan e dovuto a interessi economici e strategici».
Dunque gli iraniani temono di essere abbandonati da Bush?
«Ricordano quanto ha fatto l’America con la Libia, quando in cambio del disarmo nucleare ha perdonato Gheddafi nel giro di una sola notte. Dimenticando il diritto alla libertà dei libici».
Come spiega il succedersi di arresti di almeno cinque iraniani-americani da parte di Teheran, c’è un legame con i colloqui di Baghdad?
«Teheran vuole avere in mano un numero sufficiente di americani da scambiare con le cinque guardie della rivoluzione catturate in gennaio dagli Usa a Irbil. Se arresta cittadini con doppia nazionalità è perché ciò che teme di più è una rivoluzione di velluto simile a quelle avvenute in alcuni Paesi dell’Europa dell’Est, portando al crollo dei regimi comunisti. Lo scenario della rivoluzione morbida dal di dentro è l’incubo peggiore per la leadership iraniana. A ciò bisogna aggiungere anche ragioni di politica interna: facendo arrestare cittadini iraniani legati a centri studi e istituzioni americane si punta a indebolire l’ex presidente Rafsanjani perché è lui il leader che è stato in passato più impegnato a tessere rapporti con tali istituzioni»

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