Sul FOGLIO del 26/05/2007 a pag.IV, un'inchesta a Sderot di Rolla Scolari. Ecco l'articolo:
Nella calma sonnolenta delle cittadine rurali del sud d’Israele, gli abitanti vivono nel terrore di udire due parole: “Tzeva Adom”, colore rosso, o meglio allarme rosso. Dalla chiamata all’impatto del razzo Qassam passano venti secondi, a Sderot, centro abitato più vicino alla Striscia di Gaza palestinese, da cui gli ordigni sono lanciati. I kibbutzim e i moshavim (comunità rurali in Israele) più lontani dal confine hanno a disposizione anche 90 secondi. Fino a quattro mesi fa gli altoparlanti, parte di un sistema di sicurezza e intercettazione dei missili, non urlavano “Tzeva Adom”, bensì “Shachar Adom”, alba rossa. Qualcuno ha pensato di farne persino una suoneria per telefonini. Poi, molti genitori si sono lamentati con le amministrazioni. Shachar è, infatti, un tipico nome ebraico, maschile e femminile, molto in uso nel paese. Negli ultimi dieci giorni, in concomitanza con feroci scontri interni fra fazioni palestinesi a Gaza, sono caduti sulla regione quasi duecento Qassam. Nel 2006, oltre mille. Gli ordigni prendono il nome dal braccio armato di Hamas, le Brigate Ezzedine al Qassam, che assieme al Jihad islamico operano i lanci. Nel cortile della centrale di polizia di Sderot, cittadina di 20 mila abitanti, la più colpita finora delle comunità della zona, sono ammassati i resti dei missili caduti lì e nelle aree circostanti. Quelli dipinti di rosso, spiega al Foglio un agente, sono firmati Hamas. Il Jihad islamico invece li colora di giallo. Si tratta di razzi rudimentali, non teleguidati e imprecisi. I miliziani palestinesi li costruiscono con tubi per l’acqua, di fabbricazione israeliana. In dieci giorni di attacchi è morta una donna di 32 anni. L’automobile vicino alla quale si trovava, nel centro commerciale di Sderot, è stata completamente distrutta. Le vetrine dei negozi accanto sono in frantumi e sui muri si vendono i segni dei frammenti del razzo. Dal 2004, i Qassam hanno causato undici vittime e danni a edifici e strutture agricole. Gli attacchi aerei hanno come obiettivo cellule di fabbricazione e lancio di Qassam. Israele ha dichiarato di avere come target soltanto i militanti di Hamas e del Jihad islamico. Sono morti almeno 25 miliziani e oltre 13 civili. Il gruppo islamico di maggioranza palestinese, Hamas, accusa il governo di Ehud Olmert di non essere impegnato soltanto a lottare contro il lancio di missili ma soprattutto di essere interessato a sostenere militarmente con i continui attacchi la fazione di Fatah, partito del presidente Abu Mazen, unico interlocutore credibile per Israele. Il rais ha chiesto di mettere fine all’“assurdo” lancio di razzi sulle cittadine del sud. “Un Qassam non fa paura come un razzo katiusha (ordigno più potente e con un maggior raggio d’azione, usato nella guerra estiva tra Israele e Hezbollah dalle milizie sciite libanesi, nda), ma cambia la tua vita: hai paura di muoverti, non vuoi lasciare da soli i tuoi figli, li vuoi sempre assieme a te”, dice Jude Shermak, 40 anni, seduta per terra, le gambe incrociate e le ciabatte di plastica rosa buttate qualche metro più in là. E’ in un parco giochi della cittadina di Rishon LeZiyyon, a pochi chilometri da Tel Aviv, fuori dal raggio dei Qassam. Ogni tanto grida qualcosa in ebraico a ragazzini che corrono tra borse frigo, scatole di biscotti e bicchieri di plastica. La Jewish Agency, l’Agenzia ebraica, organizzazione che si occupa principalmente di portare ebrei in Israele, ha pagato a tutti i ragazzini daisei ai dodici anni dei centri abitati della sua regione, attaccati alla frontiera Gaza, una giornata per distrarsi al parco giochi. Lei dice al Foglio di essere venuta perché il figlio più piccolo, Adam, non voleva salire senza la madre sull’autobus. Pochi giorni fa, infatti, pochi metri da un pullman che portava fuori da Sderot per la giornata alcuni abitanti, è caduto un razzo Qassam. piccolo lo ha sentito da qualcuno e si spaventato. Ha sei anni. E’ attratto da uno dei giochi del parco, il Grand Canyon, una specie di barcone che è su e giù creando un effetto mal di mare anche a chi lo guarda. Ogni volta che inizia la sua ascesa, la macchina fa un suono, come di sirene: “Sembra lo ‘Tzeva Adom’”, grida Adam alla madre. Assieme a Jude, divorziata dal marito, c’è anche la figlia Arian, dodici anni. Vivono a Be’eri, un kibbutz a tre chilometri dal confine con la Striscia di Gaza. Lungo la frontiera corre una barriera metallica, bassa. Ha sensori capaci di percepire movimenti nell’arco di tre metri. Accanto, dalla parte israeliana, un sentiero di terra battuta su cui viaggiano jeep dell’esercito in pattugliamento. Ogni tre o quattro chilometri c’è un posto d’osservazione: una torretta e una rete metallica capace di schermare colpi d’artiglieria. Accanto, montati alte strutture di metallo, sono chiaramente visibili sensori che avvertono presenza di un Qassam nell’aria. Racconta Jude che all’inizio, sei mesi fa, razzi passavano sopra il suo kibbutz per cadere nei campi o sulle cittadine più lontane dalla Striscia. “Non era così terribile all’inizio, anche per i bambini. Poi, i caccia israeliani hanno cominciato a fare incursioni su Gaza, passavanosulla mia casa facendo cadere tutto per terra”. Un giorno, proprio dietro il kibbutz, l’esercito ha installato una base militare, artiglieria. “Trascorrevamo giorni e le notti con il ta-ta-ta-ta nelle orecchie”. Questo tre mesi fa. Poi, i Qassam hanno cominciato a cadere accanto alla sua casa. Quando l’allarme rosso parte, “corri verso il corridoio, l’unico luogo della casa senza finestre, perché le finestre rischiano di frantumarsi e ferirti. Senti il ‘boom’ e conti fino a 30. E’ mio figlio più piccolo a farlo di solito. Poi puoi riprendere quello che stavi facendo”. Conti fino a trenta perché spesso i razzi sono lanciati a gruppi di due tre, quindi dopo un’esplosione può essercene subito dopo un’altra. Ai bambini lo insegnano a scuola. Insegnano loro anche a cercare un riparo, a buttarsi terra coprendosi la testa con le mani. Adam ha iniziato a fare incubi la notte. Si sveglia di soprassalto dicendo che c’è uno “Tzava Adom” in corso e bisogna assolutamente prendere riparo. Fa la pipì a letto e va a dormire con sua madre. Arian, la figlia più grande, ha deciso di passare le notti sul divano, più vicina alla camera di Jude. Il terzo fratello ha 14 anni ed è rimasto a casa oggi. bambini, al parco giochi, si rilassano tra panini e gli scherzi. Ci sono anche gruppi di abitanti di Sderot, con i loro grossi zaini e lo zucchero filato in mano. Il loro giorno di decompressione è offerto dalla compagnia elettrica nazionale, stando a quanto dice la maglietta bianca: “A Sderot con amore. La compagnia elettrica nazionale”. “La prima volta che i bambini del kibbutz hanno realizzato che un Qassam può uccidere – continua Jude – è stato quando ne è caduto uno nello zoo della comunità. Sono mortialcuni animali, nulla di grave, ma per loro è stato uno choc”, spiega Jude. Negli ultimi giorni l’allarme rosso scattato almeno quattro o cinque volte giorno. Gli abitanti dell’area colpita sono in lotta con il governo. Lo accusano di non fare nulla per fronteggiare situazione d’emergenza. Molti dei rifugi anti missilistici della zona sono inutilizzabili perché mancano di luce e impianto d’areazione, scrivevano i giornali qualche giorno fa. Per Jude, che fa maestra di scuola, il solo rifugio del kibbutz è comunque troppo lontano, irraggiungibile in venti secondi. E’ necessario che il governo investa in opere per irrobustire i tetti delle case, spesso soltanto uno strato di legno e tegole. Il quotidiano israeliano Haaretz sostiene che somma necessaria all’esecutivo per aumentare la sicurezza delle piccole comunità della zona è di almeno 250 milioni di dollari. Ma per molti abitanti comunque troppo tardi. Il governo dovrebbe inoltre incaricarsi delle riparazioni delle strutture danneggiate, o almeno del loro pagamento. Ma in pochi sanno a chi rivolgersi e preferiscono rimettere a posto le cose velocemente per andare avanti con la propria vita. Non vuole lasciare il kibbutz Jude, nonostante tutto. “Ci vuole una continuità per bambini, devono andare a scuola e la va avanti lo stesso. Ai figli devi dare l’impressione che ci sia almeno un luogo sicuro nella casa, anche se menti, per farli sentire sicuri. Se un Qassam colpisce la mia casa, sai, non posso fare nulla, posso soltanto sperare che colpisca me per prima”. Psicologi e assistenti sociali si sono presentati nelle cittadine per spiegare ai genitori come intercettare sintomi di panico, come reagirealle frequenti crisi d’ansia di bambini adolescenti. Hanno distribuito libretti d’istruzione. Non c’è rimedio, dice Jude. Certo, racconta, il terrore di tutti e del governo è che oggi si tratti di imprecisi Qassam ma che presto le fazioni palestinesi si possano dotare di razzi katiusha, magari anche in Cisgiordania. Gli abitanti israeliani della regione conoscono perfettamente la Striscia di Gaza. Fino alla Seconda Intifada, nel 2000, ci andavano regolarmente, quotidianamente; passavano i weekend nei ristoranti e nei baretti dalle colorate sedie in plastica sulla spiaggia di Gaza City. “Le più belle spiagge del paese”, ricorda Jude. E i palestinesi venivano a lavorare nei centri agricoli israeliani circostanti. Ogni settimana Jude telefona a Khaled, a Gaza. “E’ un mio grande amico. Lui e il padre prima dell’Intifada lavoravano nel kibbutz. Ora, al telefono mi racconta che non permette più ai figli di uscire di casa, neppure per andare a scuola, a causa degli scontri tra fazioni. Ha chiesto alla moglie di non lasciare l’abitazione neanche per andare al supermercato. Esce soltanto lui. ‘Jude, non abbiamo nulla’, mi ha detto l’altro giorno”. Per lei, potrebbe probabilmente funzionare una zona cuscinetto. Forse, spiega, quando ci siamo ritirati da Gaza nel 2005 dovevamo mantenere qualche metro di presenza. L’unica via, dice, “ che i palestinesi prendano il controllo del proprio paese”. Che cosa devono fare per fermare Qassam? “Gaydamak deve diventare primo ministro”, dice prima di precipitarsi a fare un giro sulle giostre Noy, undici anni, di Sderot ma temporaneamente ospite del kibbutz Be’eri, menocolpito dai Qassam. Arkadi Gaydamak un ricchissimo e controverso uomo d’affari israeliano di origini russe con un passato finanziario per qualcuno poco chiaro. Si è recentemente lanciato in politica, annunciando la creazione non ancora di un partito, ma un movimento per la Giustizia sociale. russo, accusato di parlare poco l’ebraico e male l’inglese, sostiene la destra del Likud e il leader Benjamin Netanyahu che punta al posto di primo ministro. L’anno scorso, durante guerra, infastidì il governo mettendo piedi una tendopoli per gli sfollati nord sulla spiaggia di Netzanim, a di Tel Aviv. Mesi fa, durante un altro intenso periodo di lanci di razzi su Sderot, mise a disposizione della cittadina alcuni autobus che portarono circa abitanti a Eilat, centro balneare mar Rosso, ospiti del russo nei begli alberghi sulla spiaggia. L’uomo d’affari porta avanti la sua campagna elettorale a Sderot. Ha allestito per gli abitanti della cittadina una tendopoli nella profumata foresta d’eucalipti del parco Hayarkon, a Tel Aviv. Inizialmente avrebbe dovuto sistemare l’accampamento a Gerusalemme, ma la municipalità ha rifiutato. Nel campo, ci circa 30 tende che possono contenere da 50 a 80 persone, divise in stanze, spiega al Foglio David Nitzani. Lavora per una società privata che organizza la tendopoli da mille persone. Sembra la festa dell’Unità: sotto i tendoni sono lunghi tavoloni di legno e sedie plastica bianca; grandi ventilatori metallo aspettano di essere posizionati; stanno montando un palcoscenico per concerti e intrattenimento e c’è pure il maxischermo per la televisione cinema. “Farli venire qui per annoiarli è la cosa peggiore che possa capitarci”, dice David. Gli abitanti Sderot staranno nella foresta d’eucalipti per una settimana. Poi, un’altra lista di mille cittadini è invitata a passare del tempo nel parco, finché l’emergenza non sarà rientrata. Gaydamak paga tutto di tasca sua, dai biglietti entrare al vicino parco giochi e al parco acquatico all’affitto del terreno cui sorge la tendopoli. Sderot e i centri circostanti della regione a sud d’Israele non sono ricchi. La cittadina mila abitanti è nata nel 1953 come campo di trasferimento di ebrei curdi persiani per poi diventare un centro residenziale d’assorbimento dell’immigrazione, prevalentemente di ebrei sefarditi del Nord Africa. Il ministro della Difesa Amir Peretz è originario La popolazione difficilmente è in grado di pagarsi un periodo fuori, per rilassarsi e dimenticare per qualche giorno gli “Tzeva Adom”. E’ in questo tipo d’elettorato che amerebbe pescare il ricco Gaydamak. Il governo lo accusa di fare campagna sulle sfortune altrui. C’è tensione tra il russo e l’esecutivo. Il premier Ehud Olmert lo attaccato frontalmente: l’evacuazione della città significherebbe una vittoria per Hamas. La municipalità di Sderot sembra non aver offerto grande collaborazione agli organizzatori dell’iniziativa e secondo i giornali israeliani adesioni alla tendopoli di Tel Aviv sarebbero poche. Gli abitanti avevano apprezzato di più i soggiorni in albergo al mare. L’ufficio del premier ha ricordato come centinaia di persone abbiano nel frattempo potuto rilassarsi fuori dal raggio dei Qassam grazie programmi del ministero della Difesa, facendo capire al miliardario di essere questa volta arrivato in ritardo. Gaydamak ha risposto con un’offerta di 60 milioni di dollari per fortificare edifici strutture di Sderot.
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