Il miracolo economico israeliano spiegato dal governatore della Banca centrale
Testata: Il Foglio Data: 24 maggio 2007 Pagina: 3 Autore: la redazione Titolo: «Il governatore Fischer ci spiega il miracolo economico d’Israele»
Dal FOGLIO del 24 maggio 2007:
Gerusalemme. Stanley Fischer è il governatore della Banca d’Israele, un paese che si aspetta, nonostante i razzi che cadono su Sderot, la schizofrenia politica interna e l’instabilità geopolitica della regione, una crescita nel 2007 del cinque per cento. Fischer, economista di fama internazionale cresciuto in Africa e formatosi in Gran Bretagna e soprattutto negli Stati Uniti, ha ricoperto ruoli di prestigio alla Banca mondiale – oggi è anche uno dei candidati alla successione di Paul Wolfowitz – al Fondo monetario internazionale e a City Group, spiega al Foglio il miracolo dell’economia israeliana, lo sviluppo nonostante tutto. Si prevede per il 2007 una diminuzione del debito pubblico: dall’86 per cento del pil nel 2006 all’84; una crescita delle esportazioni del 5,1 per cento; un aumento dei salari del 2,8 per cento; la diminuzione della disoccupazione. La moneta nazionale, lo shekel, è a livelli record rispetto al dollaro. Israele ha più compagnie quotate al Nasdaq di ogni altro paese dopo gli Stati Uniti. Il tutto, mentre le prime pagine dei giornali raccontano che la Siria sta posizionando missili al confine; l’Iran atomico minaccia di cancellare Israele dalla cartina geografica; l’esercito israeliano è impegnato in attacchi mirati a Gaza; il sud del paese è colpito dai razzi Qassam; l’anno scorso il nord è rimasto paralizzato da 34 giorni di conflitto con Hezbollah e la leadership israeliana è in crisi, accusata di mancanza di responsabilità in quella guerra. Nonostante tutto, in un’economia annua da 140 miliardi di dollari, che riceve dall’alleato americano circa cinque miliardi all’anno in aiuti economici e militari, nel 2006 gli investimenti sono stati pari a 21,2 miliardi. “Le persone sono abituate e il paese ha dimostrato di riuscire a gestire la situazione economicamente anche durante la guerra – spiega Stanley Fischer – Nel 2006, alla fine dell’anno, dopo il conflitto, abbiamo avuto un deficit dell’un per cento del pil. Le persone sono capaci qui di operare in situazioni difficili”. Il business straniero “vede i benefici di investire in un’economia dinamica, nonostante la situazione della sicurezza. Se avessimo la pace potremmo crescere di più” Il segreto è l’high-tech: conta 5.000 lavoratori nel piccolo paese. Dice Fischer che in Israele il settore privato “è salito del sei/sette per cento negli ultimi quattro anni, la maggior parte grazie alle esportazioni, tributo al nostro essere innovativi. Quest’economia era in iperinflazione 22 anni fa. Agli inizi degli anni Novanta ci furono riforme: privatizzazioni, miglioramento delle regolamentazioni del mercato dei capitali, un passaggio a un tasso di cambio più flessibile, una buona disciplina fiscale”. Molte novità sono state introdotte nel 2003 dall’allora ministro delle Finanze Benjamin Netanyahu, ora leader del Likud. Per Fischer “le sue riforme hanno avuto un ruolo importante”, anche se c’è dell’altro. Nel 2003, “il livello di violenza connesso con la seconda Intifada è diminuito”, l’economia ne ha risentito. “La verità è che l’allora premier Ariel Sharon ha dato il suo totale appoggio a Netanyahu nell’area finanziaria; è stata una forte combinazione”. In questi giorni, Stanley Fischer non ama intrattenersi sul suo futuro. Rifiuta di parlare al Foglio della possibilità di andare alla guida della Banca mondiale come successore di Paul Wolfowitz. Il suo nome è stato fatto dai più autorevoli giornali economici del mondo. “E’ bello essere menzionato – dice un po’ seccato dalle domande sul tema – ma non ho cercato la candidatura e non ho avuto offerte ufficiali; ci sono tanti buoni candidati. La Banca mondiale è un’istituzione molto importante che affronta un mondo in cambiamento: i mercati finanziari si sviluppano, Cina e India cambiano la faccia dei paesi in via di sviluppo, molti altri stati fanno progressi; ma la Banca mondiale continua ad avere un peso per molti paesi e anche per i membri a reddito medio ed è importante che operi efficientemente”. Non dice altro a riguardo e si affretta a tornare a parlare d’Israele. La sua Banca centrale è sotto pressione perché la crescita dello shekel preoccupa gli esportatori che chiedono all’istituzione di trovare una soluzione per indebolire la valuta. Un’analista della Morgan Stanley mette in guardia Israele sul non tagliare i tassi d’interesse. Fischer per ora sembra d’accordo.
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