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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
23.05.2007 La Siria dietro Fatah al-Islam
intervista ad Amin Gemayel

Testata: Corriere della Sera
Data: 23 maggio 2007
Pagina: 19
Autore: Francesco Battistini
Titolo: ««Il Libano? Gli islamici non otterranno la guerra civile»»
Dal CORRIERE della SERA del 23 maggio 2007:

BEIRUT — Presidente Gemayel, un giornale di Beirut scrive che i palestinesi sono il cancro del Paese e ora vediamo la metastasi...
«No, purtroppo i cancri sono molti. È dal 1943, dall'indipendenza, che il Libano fa fronte a malattie diverse».
Gli assassini eccellenti, la guerra con Israele, l'occupazione hezbollah di Beirut, ora i campi palestinesi in fiamme...
«Ne abbiamo viste tante, ma conosciamo i nostri problemi».
I problemi, glieli leggi nelle rughe degli occhi: Amin Gemayel è nato un anno prima del Libano indipendente ed è cresciuto nelle stesse lotte, gli stessi lutti. Cristiano. Bestia nera dei siriani. Una saga kennedyana: gli ammazzarono un fratello candidato, 25 anni fa; gli hanno ammazzato un figlio ministro, sei mesi fa. Si commuove: «Pierre aveva una moglie, due bambini, non faceva male a una mosca: quando perde un ragazzo così, un padre ha bisogno di sapere la verità». È stato capo dello Stato negli anni 80, quando il Libano era un'espressione geografica, e adesso che su quella poltrona c'è un amico dei siriani, Lahoud, fa ironia: «È andato a intervistarlo? Si gode il palazzo, la piscina? Bene: il Paese va in fiamme, ma l'importante è che lui stia bene». Nel 2003, fu Gemayel l'ultimo a mediare fra Bush e Saddam Hussein. Non gli riuscì. E disse che in Iraq stava arrivando l'apocalisse: «No, qui in Libano stavolta non ci sarà una guerra civile. Fatah al-Islam non mobilita le masse».
Ma quanto staranno buoni, i qaedisti dei campi profughi?
«Ci sono due questioni separate: le relazioni del governo libanese coi campi palestinesi e quelle coi fondamentalisti. Purtroppo, le due cose ora si trovano nello stesso spazio fisico. Questo rende il problema più complicato. Il Libano ha un obbligo d'ospitalità nei confronti dei profughi.
La polizia non può entrare nemmeno per controllare il traffico, perché c'è un accordo e i palestinesi si regolano fra di loro: il governo se ne occupa solo se c'è di mezzo la sicurezza dello Stato. Fatah al-Islam e altre fazioni fondamentaliste approfittano di questa extraterritorialità per obbiettivi che non c'entrano col Libano, né con la causa palestinese. Il conflitto è con questa fazione islamista. Hanno provocato l'esercito, assassinato a sangue freddo dei soldati che si trovavano intorno al campo: nei loro letti, senza che potessero combattere. Una cosa vigliacca. L'esercito non poteva stare fermo: ha cercato di catturare questa gente. Ma loro si sono nascosti fra i civili del campo. Era molto difficile stanarli senza fare vittime innocenti».
Ma la domanda è: sono pagati da Al Qaeda o dalla Siria?
«Ci sono molti indizi sulle relazioni tra Fatah al-Islam e la Siria. Il loro leader stava nelle carceri siriane. Perché è stato rilasciato e mandato in Libano? Fatah al-Islam nasce da un altro movimento, Fatah al-Intifada, finanziato dai siriani. Tutto porta a Damasco. Un'inchiesta può dire se i sospetti sono anche prove».
Però D'Alema ha detto che questa crisi conferma una cosa: la vera minaccia del Libano è Al Qaeda, non gli hezbollah.
«Quel che molti ignorano o cercano di nascondere, è il principio dei vasi comunicanti. C'è un solo alambicco che va in tutte le direzioni. Sappiamo tutti che gli hezbollah hanno rapporti con la Siria e con l'Iran. E hanno simpatia per gli estremisti palestinesi. Tutto si collega. Non sappiamo mai quando questi movimenti agiscono per la causa della Palestina e quando al servizio d'ideologie fondamentaliste. In questi movimenti, e l'avete visto anche in Italia durante la Resistenza o in America Latina, non si sa mai dove finisce l'aspetto rivoluzionario e dove comincia la zona grigia, dove la rivoluzione si fa per l'oppio, per la coca o per altri Paesi. C'è un miscuglio gigantesco. Tutti i servizi sono implicati, tutti si usano a vicenda».
Un Arafat avrebbe fermato queste infiltrazioni qaediste?
«Arafat non ha mai fermato l'estremismo palestinese. Lui avrebbe voluto firmare una pace fra Olp e autorità libanesi, ma già allora non controllava tutto. C'era un'ala palestinese al soldo dei servizi iracheni, un'altra pagata dai libici, un'altra dai siriani... I palestinesi sono sempre stati guidati da movimenti che rispondevano a servizi segreti di tutti i Paesi».
In questi campi, arrivano molti aiuti umanitari dall'Europa. Lo stesso leader di Fatah al-Islam è domiciliato nella sede dell'assistenza sociale: come intervenire?
«L'Ue ora sta più attenta alle donazioni. Quando però il denaro è dato a un'ong, questa non fa più distinzioni tra movimenti democratici o Fatah al-Islam. Il fattore umano è rilevante: la donazione viene fatta alla persona, non alla parte politica, e può finire anche a Fatah al-Islam. Lì però è difficile controllare. E l'assistenza sociale, spesso, va a obbiettivi terroristici».

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