sabato 23 novembre 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


Clicca qui






Il Manifesto Rassegna Stampa
22.05.2007 Il quotidiano comunista disinforma
sul Libano e su Sderot

Testata: Il Manifesto
Data: 22 maggio 2007
Pagina: 4
Autore: Michele Giorgio - un giornalista
Titolo: ««Ma chi sono quelli di Fatah al-Islam?» - Pioggia di Qassam, muore una donna»

Per rendere credibile l'assurda tesi che il terrorismo jihadista di Fatah al-Islam sia sponsorizzato dagli Stati Uniti, Michele Giorgio sul MANIFESTO arriva a descrivere Seymour Hersh, giornalista di estrema sinistra autore seriale di scoop antiamericani mai confermati, come "vicino alla Cia".
Ecco l'articolo:


«Noi siamo un movimento che ha nobili principi, il nostro unico obiettivo è quello di proteggere Gerusalemme, stiamo subendo un attacco ingiustificato», ripeteva ieri nervosamente Abu Salim Taha, portavoce di Fatah al Islam, in diretta telefonica con la tv araba al-Jazeera. Invece il mistero che avvolge questa organizzazione salafita, presunta palestinese, resta fitto e l'improvviso silenzio del suo leader, Shaker Abbasi (Abu Seif), proprio nel momento della resa dei conti con l'esercito libanese, alimenta i dubbi di chi aveva sentito puzza di bruciato quando lo scorso autunno decine, poi centinaia, di militanti di Fatah-Intifada (il gruppo del colonnello Abu Musa che nel 1983 tradì il presidente Yasser Arafat) si trasformarono in jihadisti e si asserragliarono nei campi di Naher al Bared e al Baddawi.
I primi a lanciare l'allarme furono proprio i palestinesi. «Chi sono questi di Fatah al-Islam? Nessuno li conosce. Hanno soldi, armi, cercano di fare proseliti. E sfidano le fazioni laiche palestinesi», ci disse qualche mese fa l'esponente palestinese Kassem Aina che con la sua associazione offre assistenza ai profughi di Sabra e Shatila e ha osservato con sgomento lo svilupparsi di forze islamiche all'interno dei campi per rifugiati. Lo scorso dicembre le fazioni politiche palestinesi, di ogni colore, formarono un comitato per affrontare la questione della presenza di Fatah al-Islam e del continuo arrivo di militanti anche da paesi come Yemen, Giordania e Arabia saudita. Molti furono sorpresi dalla libertà di movimento di cui avevano goduto alcuni militanti del nuovo gruppo, entrati in Libano senza incontrare alcuna difficoltà, superando posti di blocco e controlli. Il governo non vide, o non volle vedere, la situazione che si stava creando nel nord del Paese, preso come era dal confronto, anche violento, con le opposizioni guidate da Hezbollah.
Sarà un caso ma ancora una volta i campi profughi palestinesi vengono presi di mira. La pressione militare infatti cresce non soltanto a Naher al Bared ma anche intorno a quello di Ein al-Hilwe (Sidone), anch'esso circondato da ingenti forze dell'esercito libanese perché al suo interno sono attivi due gruppi considerato vicini al-Qaeda, Usbat al-Ansar e Jund al-Sham. D'altronde alcuni uomini politici libanesi dei partiti di destra da tempo chiedono da tempo azioni di forza contro i campi per «stanare i terroristi islamici» e questo accresce i sospetti sulla figura di Abbasi, che nella sua esistenza ha fatto di tutto e di più al servizio di chi probabilmente lo ha pagato meglio. Come abbia fatto Abbasi a costruirsi una immagine da leader è un mistero, visto che è stato sino a qualche mese fa un personaggio di secondo, anzi terzo piano, senza alcuna influenza. Di lui si sa che ad Amman è stato condannato a morte in contumacia nel 2002 con l'accusa di aver organizzato l'attentato (ideato da Abu Musab Zarqawi, ucciso dagli americani un anno fa in Iraq) contro il diplomatico americano Laurence Foley. Sostiene di essere stato incarcerato in Siria e di aver combattuto in Nicaragua, senza però specificare se per i sandinisti o per la contra al servizio degli Usa. Di certo a novembre Abbasi è arrivato al campo profughi di Naher al Bared, si è impadronito della sede di Fatah-Intifada e ha creato dal nulla Fatah al Islam.
I servizi di sicurezza libanesi lo scorso marzo gli hanno attribuito due attentati contro i minibus, saltati in aria a febbraio vicino Beirut, nei quali morirono tre persone. Ma è qui che cominciano ad essere forti i dubbi sulle reali intenzioni del «jihadista» Abbasi. Le confessioni dei sei arrestati, presunti membri del suo gruppo, suscitarono qualche dubbio perché risultarono identiche a ciò che il quotidiano Al-Mustaqbal, organo dell'omonimo partito guidato da Saad Hariri (il leader della maggioranza anti-siriana), aveva riferito il 30 novembre scorso, ovvero che i militanti di Fatah al Islam erano stati «inviati dal presidente siriano Bashar Assad per assassinare 36 figure pubbliche libanesi».
Un giornalista di fama internazionale, l'americano Seymour Hersh, noto per le sue strette relazioni con la Cia e i servizi segreti di vari paesi, invece sulle pagine del suo giornale, il Newyorker, raccontò di una «sterzata» avvenuta nella linea dell'Amministrazione Bush in Medio Oriente. Un cambiamento, a suo dire, volto a tenere sotto pressione, con ogni mezzo, l'Iran e i suoi alleati, incluso naturalmente il partito sciita Hezbollah. Secondo Hersh il governo filo-occidentale di Fuad Siniora avrebbe segretamente dato appoggio a varie formazioni estremiste sunnite con l'obiettivo di usarle contro Hezbollah. Fantapolitica? Forse, ma, come tutti sanno, sulla scena libanese l'inverosimile spesso è più vero della realtà.

Un articolo sull'israeliana uccisa a Sderot.
Il 
  "governo israeliano", vi si legge "comprende che il cemento armato" (cioè la fortificazione di Sderot, ndr) "non è una soluzione".
La soluzione, infatti, è la sconfitta dei gruppi terroristici che il quotidiano comunista sostiene. Ma questa verità difficilmente la pubblicherà


Una nuova vittima israeliana, che rischia di incendiare ulteriormente una situazione già di per sé abbastanza arroventata. Un razzo Qassam lanciato dai militanti palestinesi nella Striscia di Gaza ha colpito ieri l'auto di una donna israeliana nel villaggio di Sderot e l'ha uccisa sul colpo. Si tratta della prima vittima israeliana negli ultimi sei mesi. La donnaa, 35 anni, è morta per le ferite riportate alle gambe e allo stomaco dall'esplosione del razzo che ha centrato in pieno la sua auto, proprio all'esterno del centro commerciale di Sderot. Nell'esplosione è rimasto leggermente ferito anche un uomo. In totale, una salva di sei Qassam ha colpito l'area.
L'attacco, rivendicato sia dalle brigate Salah al-Din, il braccio armato dei Comitati per la resistenza popolare, sia dalle brigate Al-Qods della Jihad islamica, è avvenuto a poche ore dall'inizio del vertice in programma proprio a Sderot tra il ministro degli Esteri israeliano Tzipi Livni e l'Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell'Ue, Javier Solana. La donna è la nona vittima israeliana uccisa dai razzi lanciati dai combattenti palestinesi negli ultimi sei anni.
In totale oltre 110 Qassam hanno colpito il sud dello stato ebraico nel corso dell'ultima settimana. Un sito internet locale ha condotto un sondaggio di opinione. «Che fare», ha chiesto. «Allontanarsi e aspettare che la bufera passi?» 24 per cento sono di questa opinione. Oppure protestare, dimostrare, bloccare le strade ? Il 72 per cento ritengono che sia questa la strada migliore. In città ci sono decine di rifugi pubblici: metà non hanno corrente elettrica. Gli emissari del governo israeliano sono accolti da imprecazioni.
Questa settimana un uomo di affari di origine russa, Arkadi Gaidamak, ha promesso di investire una somma cospicua per rafforzare con cemento armato centinaia di abitazioni. A Sderot Gaidamak ha mietuto applausi e consensi. Eppure il governo israeliano comprende che il cemento armato non è una soluzione.
In questi giorni Hamas punta i suoi razzi alla città di Netivot e minaccia di colpire anche i 110 mila abitanti della vicina Ashqelon. «Che fare allora?» si è interrogato il ministro Benyamin Ben Eliezer. Fortificare tutto ? Fortificare magari anche la Galilea, perchè è esposta ai razzi Hezbollah ? Fortificare con cemento mezzo Israele ?".

Cliccare sul link sottostante per inviare una e-mail alla redazione del Manifesto


redazione@ilmanifesto.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT