Dimenticare l'antisemitismo e l'ideologia terrorista dell'odio un uso strumentale della memoria dei "Giusti" di ieri e di oggi
Testata: Avvenire Data: 22 maggio 2007 Pagina: 1 Autore: giorgio Bernadelli Titolo: «I «Giusti» islamici? Oggi abitano a Jenin»
Riconoscere il ruolo dei giusti che salvarono ebrei durante le persecuzioni naziste non può diventare un pretesto per cancellare la memoria del crimine e dei moventi derivanti dalla predicazione dell'odio. Riconoscere i gesti di umanità compiuti da palestinesi (simili a quelli spesso compiuti da israeliani, che non rifiutano donazioni di organi ad arabi) non può esimere dal denunciare la cultura della morte del terrorismo e delle stragi suicide. Da questi rischi non sembra invece immune l'articolo di Giorgio Bernardelli pubblicato da AVVENIRE del 22 maggio 2O07 (un capitolo di un suo libro in uscita, "Antisemitismo)
Ecco il testo:
In tutto il mondo stanno aprendo nuovi Musei della memoria. Dopo Washington è stata la volta di Berlino e Parigi; e anche Roma presto avrà il suo. È indubbia l’importanza di queste strutture: se qualcuno ancora poteva avere dei dubbi, ci hanno pensato le tesi negazioniste di Ahmadinejad a fugarli. Ricordare, dunque. Ma per affermare che cosa? Quale proiezione verso il futuro dobbiamo dare a questo atteggiamento morale? Se si vuole entrare davvero in questa prospettiva, non c’è guida migliore di un’intuizione tipicamente ebraica. Perché a me pare che questo sia il significato più profondo dei «Giusti tra le nazioni». È importante, però, ridare loro anche spessore. Perché, pur nello sforzo encomiabile messo in campo da Yad Vashem per rintracciarli, si ha spesso l’impressione che queste figure abbiano perso qualcosa. Che i Giusti siano diventati un po’ come la collezione delle mosche bianche, l’eccezione che conferma la regola: sì, certo, nel mondo ostile c’è stato anche qualcuno che si è adoperato per salvare gli ebrei. Ma in fondo non hanno fatto altro che mettere in risalto quanto erano malvagi tutti gli altri. A loro va ovviamente tutta la nostra riconoscenza; ma per sconfiggere l’antisemitismo ci vuole ben altro. Questo è l’esatto opposto rispetto alla prospettiva indicata dalla Torah. Perché sono i Giusti quelli che salvano il mondo. Tradotto in termini un po’ più laici: sono questi esempi concreti di umanità vissuta nella sua pienezza a mostrare che oggi un rapporto dialogico tra identità diverse è comunque possibile. Che esistono dei valori condivisi da tutti, a partire dai quali, anche nell’era dello scontro tra le civiltà, si può costruire una convivenza pacifica tra popoli e religioni diverse. Non è sull’orrore per i sei milioni di morti, ma sull’esempio dei Giusti tra le nazioni che si deve far leva se si vuol sradicare davvero l’antisemitismo. Se questo è vero in linea generale, c’è soprattutto una categoria la cui riscoperta oggi è assolutamente decis iva. Tutti i Giusti tra le nazioni vanno ricordati. Ma in questo momento occorre il coraggio di andare a cercare più di tutti gli altri i Giusti tra le nazioni musulmane. Perché l’antisemitismo islamico è un problema assolutamente serio. Ma se vogliamo affrontarlo realmente, dobbiamo mostrare che è possibile coniugare la sottomissione al Dio clemente e misericordioso con il riconoscimento concreto della dignità di ogni uomo e di ogni donna. E chi può mostrarlo meglio di alcuni musulmani passati alla storia per aver salvato dalla morte alcuni ebrei? Nonostante ben pochi lo ricordino, a Yad Vashem sono scritti anche nomi che rimandano inequivocabilmente a Paesi e tradizioni islamiche. È il caso, ad esempio, del console turco Selahattin Ulkumen, che nel luglio 1944 sull’isola di Rodi si diede da fare per salvare 50 ebrei tra cui solo 13 erano davvero cittadini turchi. Ma nell’elenco dei Giusti figura anche l’albanese Beqir Qoqja: per salvare l’amico ebreo Avraham Eliasaf lo portò in uno sperduto villaggio musulmano dove diventò per tutti Gani. Gli fece dunque adottare un nome tipicamente islamico. Persino la tanto contestata condizione della donna nel mondo musulmano, in quegli anni, ancora in Albania, servì a salvare una vita ebrea: capitò a casa di Shyqyri Myrto, che nascondeva l’amico Josef Jakoel e la sorella Eriketa. Una notte vennero i tedeschi, che evidentemente avevano intuito qualcosa. Ma il rifiuto fermissimo dell’intera comunità musulmana di fronte alla prospettiva che alcuni uomini potessero entrare nella stanza delle donne fu decisivo nel costringerli a fare marcia indietro. E così Eriketa potè salvarsi. Cercare i Giusti tra le nazioni musulmane, dunque. E cercarli anche al di fuori del recinto ristretto segnato dalla storia delle persecuzioni naziste. Perché, come dice il Talmud, ogni generazione ha i suoi Giusti. A me questo pare un grande compito per il mondo di oggi. Il modo migliore per combattere l’antisemitismo. E non per mettere il cuore in pace dicendo che, in fondo, anche i musulmani sono buoni. Ma per aiutare concretamente l’islam a ritrovare dentro di sé quei valori che sono inscritti nel cuore di ogni uomo. E allo stesso tempo anche per ricordare a tutti gli altri che questi stessi valori non sono per nessuno un dato acquisito una volta per tutte. Ho in mente, in particolare, una storia cui dobbiamo dare assolutamente la possibilità di illuminare la nostra memoria. Quella della famiglia Khatib e della sua tragedia consumatasi proprio nel campo profughi di Jenin in Cisgiordania. Il 3 novembre 2005, il primo giorno dell’Aid al-Fitr, il piccolo Ahmed, dodici anni, ha in mano un fucile giocattolo. Ma Jenin non è un posto come tutti gli altri, a Jenin c’è sempre tensione. E così capita che un soldato israeliano lo scambi per un’arma vera. E spari. La festa si trasforma in tragedia: il ragazzino è portato d’urgenza al Ramban Medical Center di Haifa. Presto la situazione diventa chiara: il piccolo non ce la farà. Per questo i medici chiedono ai genitori se sono disposti a donare i suoi organi. È una domanda di routine in tutti gli altri posti del mondo. Ma all’ospedale di Haifa ha un significato particolare. Perché per un palestinese dare il consenso vuol dire sapere che quel cuore, quel fegato, quei reni porteranno vita a uomini, donne o bambini israeliani come il soldato che ha premuto il grilletto. Eppure Ismail Muhammad e sua moglie Abla hanno detto sì. Lei, tra l’altro, è una donna molto religiosa. E prima di dare la sua risposta ha voluto chiedere consiglio all’imam. E nella «Jenin dei terroristi» qual è stato il parere dell’imam? Dona quegli organi, perché qualcun altro abbia la vita. E così è successo per cinque bambini e un adulto, tutti di nazionalità israeliana. Ho avuto la fortuna di poter incontrare il padre di Ahmed. «Le buone azioni – mi ha detto – fanno parte dei valori di tutta l’umanità. Sono fondamentali in ogni parte del mondo e in ogni epoca». Quel giorno sono convinto di aver incont rato un Giusto. So già che qualcuno storcerà il naso. Perché Ismail Muhammad Khatib è un uomo che considera un pazzo il soldato israeliano che ha sparato, mentre invece quasi certamente era un ragazzo poco più grande di Ahmed colto dal panico in un ambiente avvertito come ostile. Però capisci che è un Giusto. Perché ti accorgi che dietro alla sua scelta c’è una spontaneità di fondo. Ti accorgi che per lui è assolutamente evidente: non poteva far altro che donare gli organi di suo figlio palestinese anche a persone israeliane. E allora capisci che sei di fronte a un gesto più grande rispetto a quelli che si gettano su un piatto o sull’altro della bilancia per vedere chi ha ragione e chi ha torto. E quanto sia la logica dell’«o di qua o di là» a nascondere i Giusti nel mondo di oggi. C’è un Giusto anche a Jenin. Non ci può essere memoria vera senza di lui e senza tanti altri che ci restano ancora da scoprire. Ripartiamo da loro. Per spazzare via tutto ciò che c’è di retorico nei riferimenti alla comune discendenza da «nostro padre Abramo». E concentrarci invece sulla sostanza di questa radice comune. Su quei valori fondanti che soli possono rendere possibile un dialogo tra identità diverse. Se cominceremo finalmente a viverla così, la lotta al «nuovo antisemitismo» avrà davvero qualcosa di importante da dire al mondo di oggi.
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