Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein".
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)
Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine.
Israeliana uccisa dai razzi kassam la corretta cronaca di Davide Frattini, e il commento di Antonio Ferrari, per il quale Sderot è un insediamento
Testata: Corriere della Sera Data: 22 maggio 2007 Pagina: 6 Autore: Davide Frattini - Antonio Ferrari Titolo: «Missili su Sderot, uccisa un'israeliana - Le 3 guerre civili del Medio Oriente»
Riportiamo di seguito la corretta cronaca di Davide Frattini, dal CORRIERE della SERA del 22 maggio 2007. Più sotto, critichiamo invece l'editoriale di Antonio Ferrari
GERUSALEMME —Da cinque a trenta secondi. Quando l'«allarme rosso» risuona, a Sderot le strade si fanno ancora più deserte. Quei pochi che si avventurano fuori cercano il rifugio più vicino. Un negozio, l'ingresso di un palazzo, un muretto per accucciarsi. Impossibile prevedere dove i razzi andranno a cadere. Ieri una donna di 35 anni ha perso tutto alla roulette russa dei Qassam. Stava camminando nel parcheggio del centro commerciale e il proiettile ha colpito la sua auto: i frammenti dell'esplosione l'hanno centrata allo stomaco, è morta mentre un'ambulanza la trasportava all'ospedale. È la prima vittima da novembre, quando Yaakov Yaakobov, 43 anni, era stato ucciso da un razzo. È la prima vittima da quando 150 missili sono piovuti sulla città in meno di una settimana. L'attacco è avvenuto mentre Tzipi Livni, ministro degli Esteri israeliano, era a Sderot per incontrare Javier Solana, Alto rappresentante per la politica estera dell'Unione Europea. Livni ha chiesto l'intervento della comunità internazionale: «Qua la gente pensa che il mondo si sia dimenticato di loro». Quando il convoglio diplomatico stava lasciando la città, un gruppo di persone ha cercato di fermarlo. I dimostranti hanno lanciato pietre anche contro il municipio e la polizia è dovuta intervenire. «Sono tornato dall'ospedale dov'è ricoverata mia moglie per le ferite di un Qassam — racconta Yosef Timsit — e ho saputo della donna uccisa. Non ho mai partecipato a una manifestazione, questa volta si deve reagire: è da una settimana che dormo in macchina». Il governo israeliano ribadisce: «Faremo tutto quello che è possibile per fermare gli attacchi». I leader di Hamas sono nel mirino, anche i capi politici dell'organizzazione. «Sono convinto che diranno presto addio a Khaled Meshaal», dichiara Avi Dichter, ministro per la Sicurezza interna ed ex capo dello Shin Bet, avvertendo il dirigente che vive a Damasco. «Non è invulnerabile, neppure in Siria». Il laburista Benjamin Ben-Eliezer, ministro delle Infrastrutture, pensa agli obiettivi che si muovono a Gaza: «Non faccio distinzioni tra chi lancia i razzi e chi dà gli ordini». Per tutto il governo, parla la portavoce Miri Eisin: «Anche chi invoca le azioni contro di noi è nel mirino». Nella Striscia lo sanno. La radio di Hamas ha consigliato ai capi di non usare i telefonini e di non muoversi in gruppo. Anche i dirigenti politici evitano i convogli troppo riconoscibili. L'organizzazione ripete di essere pronta a compiere attentati suicidi in Israele: «Colpiremo il nemico ovunque», minaccia Abu Obeida, portavoce dell'ala militare. Nella notte, un raid israeliano ha ucciso cinque militanti della Jihad islamica, che tornavano in auto dopo aver lanciato i razzi. Il premier Ismail Haniye ha partecipato ai funerali degli otto palestinesi, uccisi in un raid domenica notte che ha distrutto la casa del deputato Khalil al-Haya. «Continueremo sulla stessa strada fino a quando non raggiungeremo due obiettivi: la vittoria o il martirio», ha proclamato il primoministro. Anche se l'esercito israeliano ha negato che il parlamentare fosse l'obiettivo, dopo la cerimonia i leader si sono dispersi e hanno scelto un nascondiglio per passare la notte.
Di seguito, l'editoriale di Antonio Ferrari sulla situazione in Medio Oriente. Nell'articolo, Sderot è falsamente definito un "insediamento" israeliano (la parola è abitualmente utilizzata per i territori oltre la linea verde)
Ecco il testo:
Quella che ormai è alle porte potrebbe essere un'estate terribile per l'intero Medio Oriente. Se nel passato, un sanguinoso conflitto agiva da anestetico per tutte le altre situazioni regionali di tensione, oggi accade il contrario, con il gravissimo rischio di dover assistere impotenti a tre guerre civili contemporanee (Palestina, Libano e Iraq). Tre guerre civili moltiplicate per lo strapotere e la crescente arroganza iraniana. Le crisi sono infatti fatalmente intrecciate, come le violenze nel campo profughi palestinese di Nahr el Bared, nel settentrione libanese, stanno dimostrando. E ancora una volta, cause, pretesti e alibi si affollano sulla Palestina. L'ultima tregua, annunciata a Gaza, è molto meno di un'illusione perché gli attacchi e le vendette interpalestinesi tra i fondamentalisti di Hamas e i laici del Fatah sembrano entrati nella fase più pericolosa. La situazione, nella Striscia, è incontrollabile, «e noi non siamo in grado di governarla», ha ammesso sinceramente, al vertice del World Economic Forum sul Mar Morto, il ministro dell'informazione dell'Anp Saeb Erekat. A Gaza regna l'anarchia. Con agguati, sparatorie, assedi e attentati, come quello che era stato preparato contro lo stesso presidente Abu Mazen, il quale si sforza di dimostrare di non essere prigioniero degli estremisti, e di non essere soltanto il «sindaco» di Ramallah. Abu Mazen, figura tragica, è debole, come in realtà è debole l'attuale governo di Israele, e come appare debole la comunità internazionale, attonita e impotente di fronte al disastro che si sta producendo. Al Forum faceva quasi tenerezza il re di Giordania, mentre annunciava al mondo che occorre «prepararsi al giorno dopo il raggiungimento della pace». Non era certo una dichiarazione dettata da un poco realistico ottimismo ma il tentativo, quasi disperato, di scuotere attori e comprimari di un dramma collettivo. Re Abdallah, che guida un Paese che ha il 65 per cento della popolazione di origine palestinese, comprende più di ogni altro che se non si trova un accordo, «subito, entro l'anno» per riaprire un alito di negoziato, tutto precipiterà, e con esso svanirà anche la visione dei «due Stati, Israele e Palestina, che vivano l'uno accanto all'altro in pace e sicurezza», sulla quale — a parole — tutti sono d'accordo. Il tentativo del re è di coniugare il raffreddamento del conflitto inter-palestinese con la realizzazione del piano arabo, approvato a Riad da tutti i 22 Paesi appartenenti alla Lega, e nel frattempo alleviare le sofferenze della gente di Gaza con interventi economici che consentano di far sfiatare, almeno in parte, le tensioni. Incoraggiante, per esempio, la creazione di un Business Council con 15 imprenditori israeliani e altrettanti palestinesi. Incoraggiante anche la decisione dell'emiro di Dubai, Al Maktoum, di stanziare 10 miliardi di dollari per educazione, ricerca e crescita professionale dei giovani arabi della regione. Ma queste iniziative, pur lodevoli, non placano gli odii che lacerano il fragilissimo e già compromesso tessuto politico dell'Anp. Da Gaza, gli estremisti martellano con i razzi l'insediamento di Sderot, e Israele risponde con raid ed esecuzioni mirate. La Striscia è una giungla, e il solo pensiero di dispiegarvi una forza internazionale di pace è «ridicolo», scrive l'editorialista giordano Mousa Keilani. «Siamo noi che dobbiamo cominciare, aiutandoci da soli», gli fa eco il ministro palestinese Erekat, per poi chiedere il sostegno degli altri, a cominciare dai fratelli arabi. Ma i sauditi pensano a contenere lo strapotere iraniano e a neutralizzare le manovre siriane sul Libano, appoggiando con ogni mezzo il premier Fuad Sinora e i suoi alleati. Damasco, che teme il processo internazionale sull'assassinio di Rafic Hariri, è pronta a tutto pur di impedirlo. L'Iraq sembra la preda di troppi appetiti e il terreno ideale per un devastante scontro fra sciiti e sunniti. E la sfida nucleare di Teheran ripropone l'incubo di una guerra generalizzata. Lo scenario è angosciante, «ma noi dobbiamo reagire, tutti assieme. E fare qualcosa. Subito», ammonisce re Abdallah. Come non dargli ragione?
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