Dal CORRIERE della SERA di ieri, 19/05 e da quello di oggi 20/05/2007 due cronache di Davide Frattini. La prima su Arcadi Gaydamak, probabile futuro candidato in funzione anti-Olmert, a sindaco di Gerusalemme o anche più in alto. Il secondo su Miri Aloni, la cantante che cantò sul palco dove venne assassinato Yitzhak Rabin.
Ecco il primo,dal titolo: " Da Sderot 1.600 profughi ospitati in albergo. Così il miliardario Gaydamal sfida Olmert":
SDEROT — Le case povere di Sderot sono impoverite dalla desolazione che ormai le circonda, dal vuoto di gente e di voci che un centinaio di Qassam in pochi giorni si è lasciato dietro. Chi può, chi ha i soldi, se n'è andato da solo. Gli altri hanno invocato Arcadi, «il salvatore della patria» come lo chiamano qui. «Solo lui ci può scampare da questa roulette russa», dicono senza ironia.
Che Arcadi Gaydamak sia russo e miliardario, lo sanno tutti. Sanno anche che quei miliardi è pronto a spenderli per aiutare. «O per conquistare voti», avvertono i politici, impauriti dalla sua (per ora) futura concorrenza. Così è inevitabile che finiscano per scontrarsi: l'uomo d'affari che sogna di essere primo ministro e il primo ministro che ancora deve dissipare gli incubi della guerra in Libano. Ehud Olmert ha condannato l'evacuazione di 1.600 abitanti, ospiti di Gaydamak in albergo: «Sono contrario alle fughe. Sono le foto che Hamas vuole vedere, non possiamo concedere una vittoria ai terroristi». L'altro gli ha risposto dandogli della «nullità»: «Un omuncolo che ha mandato la gente a morire senza alcuna ragione, solo per dimostrare di essere un leader. Io sto facendo quello che ogni ebreo dovrebbe fare». Promette di investire 60 milioni di dollari per rinforzare le case di Sderot, un progetto di cui il governo parla da molto tempo senza mai attuarlo.
Gaydamak, 55 anni, arrivato in Israele per la prima volta nel 1972, è passato da anonimo benefattore a onnipresente agitatore. E' stato lui a organizzare, in poco tempo e con molti soldi, un campo estivo sulla costa per accogliere i transfughi dalle città del nord, bombardate dagli Hezbollah durante il conflitto dell'estate scorsa. E' stato lui a intervenire, quando c'era da negoziare — senza successo — tra gli ultraortodossi e i gay, per la sfilata dell'orgoglio omosessuale a Gerusalemme.
Diventato ricco con il petrolio e i diamanti in Angola, è conosciuto da tutti anche per le inchieste che lo inseguono. I magistrati francesi l'hanno incriminato nel caso di traffico d'armi che ha coinvolto Jean-Christophe Mitterrand, il figlio dell'ex presidente. La polizia israeliana indaga su di lui per riciclaggio. Vive a Cesarea (villa di mille metri quadrati, Benjamin Netanyahu come vicino di casa e di ideologia) ma ha fatto di Gerusalemme la base di lancio: ha comprato la squadra di calcio Beitar e l'ha portata a vincere il campionato, si è candidato alla poltrona di sindaco nelle prossime elezioni. A chi gli chiede se non si senta un intruso che rischia di scomparire dalla scena politica senza neppure entrarci, ricorda: «Gaydamak in turco significa combattente».
Il secondo, dal titolo: " Cantò sul palco di Rabin, ora suona in strada, quell'omicidio ha seppellito me e la pace"
TEL AVIV — «E allora cantate solo una canzone per la pace / non mormorate una preghiera / È meglio cantare una canzone per la pace / con un grande urlo». L'ultima volta che gli israeliani hanno sentito la voce di Yitzhak Rabin è stata l'ultima volta che Miri Aloni è salita su un palcoscenico. Adesso il suo teatro è un angolo di strada tra le bancarelle del mercato Carmel, la sua orchestra invisibile. Quella notte di dodici anni fa le ha portato via il successo e le ha regalato in cambio chili di troppo e unghie sbeccate dall'inquietudine.
Non che gli israeliani si siano dimenticati di lei, la ricordano troppo bene. Ricordano il volto sorridente mentre intona l'inno e divide il microfono con il primo ministro, pochi minuti prima che venga assassinato. «L'omicidio di Rabin mi ha seppellito in un memoriale del dolore. Sono identificata con la tragedia del 4 novembre. Sono entrata nella Storia dalla porta sbagliata. Ancora oggi, mi fermano per strada per raccontarmi dov'erano in quel momento. È un trauma collettivo che non verrà mai cancellato e io non posso sfuggirvi».
Il biondo dei capelli è più macchiato che tinto, il vezzo di chi è stato ammirato e che adesso è costretto a risparmiare i soldi. Al collo un pendente con la parola pace, regalo di un ammiratore («Non lo tolgo mai»). Chi passa si ferma ad ascoltarla, riconosce la sua voce, va a salutarla. È un'icona suo malgrado, il simbolo della fine delle speranze. Il declino di una celebrità e il declino degli accordi di Oslo. «In questi giorni stiamo assistendo all'ultimo atto del processo di pace cominciato allora — commenta il politologo Gadi Taub —. Il meccanismo avrebbe dovuto portare a uno Stato palestinese sovrano e indipendente. Il caos nei territori e l'idea di smantellare l'Autorità sanciscono la morte di quell'iniziativa. Prima Oslo era in coma, adesso sembra defunto».
Miri ricorda quando saliva sul palco e il pubblico subito reclamava
Canzone per la pace. Scritta a Londra da Yair Rosenbloom (che aveva perso una gamba nella guerra del 1967), era diventata l'inno della banda militare Nahal. Lei comincia a cantarla così, in divisa e per intrattenere le truppe. Qualche comandante non è contento, il testo è troppo disfattista, abbassa il morale. «In realtà, era popolare e amata da tutti, dalla sinistra e dalla destra. Non è una canzone politica. Una volta l'ho intonata assieme ai giovani nazionalisti del Beitar e agli scout arabi. Rappresenta l'aspirazione alla pace».
Una vecchia foto in bianco e nero la ritrae in uniforme assieme a Golda Meir, allora primo ministro. «Il 1969 è stato un periodo di euforia per Israele. Ci sentivamo potenti. Nelle tournée del gruppo Nahal venivamo portati alle "feste per la vittoria". Un concerto dopo l'altro ho capito che i nostri leader si erano ubriacati con il trionfo».
Non dice quale partito abbia votato, l'etichetta le è rimasta attaccata dal 1995. «Per tutti sono la cantante della sinistra. Dopo l'assassinio di Rabin, ho lasciato Tel Aviv perché non sopportavo di rivedere la piazza. Siamo andati a vivere in un villaggio nei dintorni, abitato per la maggior parte da militanti di destra. Un giorno i miei figli sono stati picchiati da estremisti religiosi».
Decide di lasciare Israele, con la speranza di ricostruirsi una carriera in Germania. «Anche là non è andata bene. Sono tornata indietro, ma ho imparato che i musicisti celebri non si vergognano di cantare a un angolo di strada». Adesso l'hanno chiamata per qualche piccolo concerto, sta pubblicando un nuovo album («No, Canzone per la pace non ci sarà»). A 58 anni sta cercando di ripartire da quella notte, anche se la strada deve passare per le vie insudiciate di Tel Aviv.
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