Sulla STAMPA del 18 maggio 2007, gli articoli di Aldo Baquis e Francesca Paci sono corretti. La titolazione no.
Per l'articolo della Paci, che descrive la quotidiana violenza di Gaza è stato scelto un titolo anestetico, che permette di sorvolare sui fatti nudi e crudi dalle rasserenanti altezze di una massima pseudofilosofica “La cosa peggiore
è farsi ammazzare dai propri fratelli”. Frase virgolettata, ma che nell'articolo non viene pronunciata da nessuno dei palestinesi interpellati. Si legge invece: «Molto meglio la violenza israeliana di questo caos» (quindi i palestinesi temono di più i terroristi che l'occupazione) «Morire sotto il fuoco nemico è un onore, ti regala la gloria dello shadid, del martire. Ma essere ammazzato da un palestinese come te è un’onta vera» (frase che rivela il grado di follia e violenza della società palestinese).
Più gravemente scorretto è il titolo dell'articolo di Aldo Baquis : "Bombe israeliane uccidono a Gaza". Non vi si fa menzione dei razzi kassam che hanno provocato la reazione di Israele, nè vi si precisa che gli obiettivi di Israele sono terroristi di Hamas. La disinformazione risulta ancora più grave facendo un paragone al titolo della STAMPA il 17 maggio, quando i sanguinosi scontri interpalestinesi a Gaza venivano così descritti "Ancora violenza tra i palestinesi che non si amano".
Da una parte, dunque, l'uso della forza da parte israeliana viene enfatizzato, scollegato dal contesto dell'aggressione terroristica palestinese e falsamente descritto come indiscriminato. Dall'altra la feroce violenza interpalestinese viene minimizzata e nascosta da eufemismi addirittura ridicoli.
Invitiamo i nostri lettori a scrivere alla redazione della STAMPA, protestando contro il responsabile della sezione Esteri, Francesca Sforza per le vergognose titolazioni che tradiscono la correttezza dell'informazione dei giornalisti.
Di seguito la cronaca di Aldo Baquis:
Al quinto giorno di scontri fratricidi a Gaza, il braccio armato di Hamas si è trovato ieri impegnato su un duplice fronte: con le milizie legate ad al-Fatah e con un primo intervento militare israeliano. Per due giorni Israele si era astenuto dal reagire ai lanci di decine di razzi di Hamas contro la città di Sderot. Ieri, infine, ha risposto con una serie di raid aerei su Gaza, la dislocazione dell’artiglieria ai margini della Striscia e con l’avanzamento di alcuni carri armati nel tentativo d’intercettare i lanciatori di razzi. Ma gli attacchi palestinesi non sono cessati e in serata altri razzi hanno colpito Ashqelon. Hamas ha inoltre minacciato la ripresa degli attentati kamikaze in Israele, e la «distruzione di Sderot».
La giornata era iniziata con un cauto ottimismo, dopo che Hamas e al-Fatah avevano annunciato la sospensione delle ostilità. Gli scontri in realtà sono calati di intensità, ma non cessati. Tre palestinesi sono stati uccisi mercoledì notte, altri tre ieri. Da domenica, sono 45 le vittime degli scontri fratricidi, in prevalenza legate a Fatah. Ieri Gaza ha atteso per ore l'arrivo del presidente Abu Mazen, che invece ha preferito seguire la crisi da Ramallah: secondo fonti dei servizi di sicurezza si temeva un attentato contro di lui. Anche il premier Ismail Haniyeh si è tenuto in disparte.
Un rapporto di Pchr-Gaza, un’organizzazione per i diritti civili, ha accusato ieri entrambe le fazioni di essersi macchiate di crimini di guerra: «Miliziani delle due parti hanno chiuso decine di strade, hanno preso posizione in zone civili e lì hanno ingaggiato scontri a fuoco. Hanno anche preso controllo di alcuni edifici elevati utilizzandoli per sparare ai rivali. Entrambi i movimenti si sono resi responsabili di numerosi rapimenti e, nella maggior parte dei casi, gli ostaggi sono stati colpiti prima della loro liberazione». Il rapporto accusa Hamas e al-Fatah di aver mostrato «totale noncuranza delle vite civili» e sistematicamente ostacolato i mezzi di soccorso.
In Israele, il governo di Ehud Olmert è sotto pressione: la gente chiede un intervento armato mentre da Sderot giungono le immagini di centinaia, forse migliaia, di abitanti in fuga. Un anno fa furono gli abitanti della Galilea a scappare sotto la minaccia dei razzi di Hezbollah. Un generale della riserva, Yiftah Ron-Tal, ha espresso il pensiero di molti chiedendo ad alta voce se l’evacuazione di Sderot possa rappresentare una soluzione accettabile. «Se domani i palestinesi attaccheranno Ashqelon, ce ne andremo anche da lì?», ha chiesto polemicamente poco prima che anche quella città diventasse un bersaglio.
Le immagini degli abitanti di Sderot costretti all’esodo sono state sfruttate da Hamas, per dimostrare l’efficacia dei lanci. Olmert ha ordinato una risposta misurata: una serie di incursioni aeree più utili a ridurre le pressioni interne che a risolvere la minaccia. Lo stesso viceministro della Difesa, Efraim Sneh, ha ammesso che potrebbe rendersi necessaria un’operazione terrestre.
Nell’attacco aereo le forze israeliane hanno raso al suolo una caserma della Forza Esecutiva del ministero degli Interni, centrato un veicolo carico di armi, colpito una postazione di Hamas e una cellula impegnata nel lancio di razzi. Diversi miliziani sono rimasti uccisi, decine di altri sono feriti.
I propagandisti di Hamas hanno colto l'occasione per presentare al-Fatah come alleato di Israele contro il popolo palestinese. «Ci sono collusioni - accusa il sito online delle Brigate Ezzedin al-Qassam - fra i sionisti e la Guardia presidenziale di Abu Mazen. Entrambi cercano di realizzare i progetti americani».
E il reportage di Francesca Paci:
«Embareh aahssan min alium ua alium aahssan min bukra». La frase che senti ripetere più spesso tra la gente di Gaza non è la lode ad Allah misericordioso ma una considerazione pratica, terra terra, distillato di saggezza popolare: «Ieri è stato meglio di oggi e oggi è meglio di domani». Al momento la coniugazione al futuro dei verbi non è contemplata.
Da quando i miliaziani di Hamas e Fatah hanno ripreso ad ammazzarsi, quattro giorni fa, la vita si è fermata. Chiuse le scuole e l’università, le strade interrotte da posti di blocco estemporanei annunciati tra minacce incrociate dalle radio nemiche, Shabab di Fatah e Al Aqsa di Hamas, i mercati di Shati e Firas, affollati di solito anche durante i bombardamenti, popolati solo da gatti randagi.
Ieri mattina, dopo il raid aereo israeliano che ha fatto quattro morti, tra i quali la guardia del corpo del portavoce del ministro dell’interno Khaled Abu Helal, Muhammad, un medico di 46 anni, ha tirato un sospiro di sollievo: «Quando ci attaccano loro la routine continua come se niente fosse. E’ una guerra, non sai mai dove colpiranno, ti affidi al caso». Diverso quando a sparare sono i tuoi, i palestinesi: «Ogni piazza, ogni angolo, ogni vicolo è un campo di battaglia. Da lunedì i miei figli mi chiedono di uscire a giocare ma io non mi fido». Non che i suoi cinque bambini, dai due ai sei anni, siano nuovi alla vita di trincea: «L’anno scorso, dopo il rapimento del soldato Shalit, i bombardamenti superavano la barriera del suono, ti entravano in camera da letto, nelle orecchie. Suad, la maggiore, piangeva sempre, ora si stupisce e mi chiede cosa succede solo quando la situazione è tranquilla».
Gli abitanti della Striscia di Gaza sono tre volte prigionieri, dell’embargo internazionale che li isola dal mondo, della faida tra Hamas e Fatah che in quattro giorni ha ucciso 45 persone, delle incursioni degli elicotteri israeliani riprese dopo la pioggia di missili Qassam sulla cittadina israeliana di Sderot. Di tutti i gioghi, l’ultimo è il preferito, il più naturale. «Molto meglio la violenza israeliana di questo caos», ammette Khaled di ritorno dal supermercato Sammad con la spesa. Sua moglie è rimasta a casa, a Rimal, una zona risparmiata dalla guerriglia: è incinta e in strada l’odore acre della polvere da sparo è fortissimo. Khaled le porta la carne surgelata, l'unica che può comprare, un pollo costa 20 schekel, 4 euro, ma lui, impiegato comunale, non prende lo stipendio da quattro mesi: «Morire sotto il fuoco nemico è un onore, ti regala la gloria dello shadid, del martire. Ma essere ammazzato da un palestinese come te è un’onta vera».
Cambia il fondale, università islamica, il cancello serrato, un paio di automobili rovesciate, la risposta è la stessa. «Spero che arrivino presto gli israeliani così ci ricompattano, il nemico comune è un collante formidabile», dice Hassan, studente di giurisprudenza. Gli israeliani in realtà sono arrivati, alcuni carrarmati stazionano da ieri mattina a Beit Lahiya e Jabaliya, al nord della striscia di Gaza. Per ora stanno a guardare. Le Brigate Ezzedin Al Qassam, braccio armato di Hamas, hanno minacciato di riprendere gli attentati kamikaze per ritorsione contro i raid mentre il presidente palestinese Abu Mazen ha annullato la visita a Gaza e l’incontro con il premier Ismail Haniyeh.
E’ una partita a scacchi tra avversari fratelli e in palio un milione e mezzo di persone che, come Yussuf, operaio di Rafah, rischiano la vita per uno sciroppo medico: «Due sere fa, mentre tornavo dalla farmacia, mi hanno fermato a un posto di blocco che all’andata non c’era. Avevano il volto coperto, mi hanno chiesto i documenti, hanno perquisito la macchina, le armi sempre puntate addosso. Non ho idea di chi fossero. Hamas? Fatah? Delinquenti?». E’ rientrato a casa sano e salvo, in tempo per vedere il lampo del primo bombardamento israeliano.
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