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A proposito dell'articolo di Robert Fisk 17/05/2007

Ogni lavoro ha i suoi livelli di rischio e quello del giornalista inviato o corrispondente di guerra non è da meno. D’altra parte anche i giornalisti che lavorano in patria corrono dei rischi quando scrivono di mafia e camorra, come dimostra la storia italiana recente (vedi la sorte toccata a De Mauro , Impastato, Rotano, Siani). Certo, ciò non rende più accettabili certi rischi, ma la vita è fatta così e sarebbe il caso che ognuno se ne facesse una ragione invece di fare del vittismo fuori luogo. Il punto, piuttosto, è un altro: i giornalisti devono informare, nel modo più completo possibile. Ciò significa che, indipendentemente dalle proprie convinzioni politiche e/o ideologiche, di un fatto, di una situazione particolare quale quella mediorientale, si dovrebbe fornire un’informazione completa e non parziale o, peggio, partigiana. Questa capacità manca a molti corrispondenti e inviati dal Medio Oriente che nascondono spesso notizie o inventano numeri sulle vittime. In particolare, mi riferisco alla cosiddetta strage di Jenin, che secondo alcuni giornalisti inglesi e italiani (imbeccati da fonti palestinesi) avrebbe provocato “centinaia” di vittime e che, invece, come dimostrato da una commissione d’inchiesta dell’ONU – che non è certo un’organizzazione filo israeliana – e da Human Rights Watch, altro non è stata che una battaglia tra soldati israeliani e palestinesi armati, in cui le cosiddette vittime civili palestinesi erano, in realtà, combattenti per tre quinti e coincidevano con quanto indicato dalle fonti militari israeliane. Il coraggio ai giornalisti manca quando non si danno le notizie o quando ci si scusa per il fatto che qualche collega le ha date (vedi l’atteggiamento di quel giornalista RAI quando tre soldati israeliani furono linciati dai palestinesi qualche anno fa e la notizia fu data dai suoi colleghi del TG5) e quando, pur di ottenere la liberazione di un collega sequestrato da terroristi (sì, terroristi) palestinesi, si chiede al proprio governo il boicottaggio dei prodotti israeliani, come proposto dalla stampa britannica. Forse, se in tutti questi anni, una parte della stampa occidentale avesse fatto realmente informazione invece di schierarsi apertamente a favore di chi auspica la distruzione di Israele e la creazione di uno Stato Palestinese esteso dal Fiume Giordano al Mar Mediterraneo, certi pericolose organizzazioni estremiste non si sarebbero mai sviluppate o rafforzate.

 

Daniele Coppin

 


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