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Il Manifesto Rassegna Stampa
17.05.2007 In nome dei miti terzomondisti
il quotidiano comunista rivaluta anche le "missioni di pace"

Testata: Il Manifesto
Data: 17 maggio 2007
Pagina: 1
Autore: Tommaso Di Francesco
Titolo: «Gaza vale più d'una ipotesi»

"Un movimento certo integralista, ma fortemente politico e non jihadista" così definisce Hamas Tommaso Di Francesco sul MANIFESTO del 17 maggio 2007.
Inutile ricordare le stragi di civili israeliani, la volontà di distruggere un paese, lo sterminio degli ebrei nel giorno del giudizio evocato nella carta fondantiva del gruppo.
Perché nell'approccio dell'editorialista del quotidiano comunista, noto per una recente difesa dei crimini della rivoluzione culturale cinese, alla faida interpalestinese a Gaza, i fatti non contano e la logica ancor meno.
Conta il  suo irrazionale attaccamento alla "terra più amata" (la Palestina), ovvero a uno dei  suoi tanti miti terzomondisti e rivoluzionari.
Pur di non constatare il suicidio del nazionalismo palestinese, come sempre tradito dal proprio massimalismo e dalla propria endemica propensione alla violenza più cieca, Di Francesco riesce a sostenere, tra le altre cose, che anche la faida tra Fatah e Hamas sarebbe da addebitare a Israele, in particolare... al rirtiro da Gaza, e che non dovrebbe essere inviata nessuna forza di interposizione tra palestinesi, ma soltanto tra palestinesi e israeliani (naturalmente per "proteggere" i palestinesi dagli israeliani).
Una posizione, quest'ultima, della quale, ignorando i precedenti di Di Francesco, si stenterebbe a comprendere la coerenza.
L'autodifesa israeliana dal terrorismo deve essere fermata, ma se i palestinesi si ammazzano tra di loro, per lui va bene e nessuno deve intervenire ? Sì, così come nessuno doveva intervenire a fermare il massacro di miioni di cinesi ad opera del maoismo, o la pulizia etnica in Bosnia (altro tema caro a Di Francesco).  

Ecco il testo:

Per Gaza non c'è tempo da perdere. Nonostante la nuova tregua, la faida intestina può precipitare in guerra civile inter-palestinese. Sarebbe la fine della terra più amata, la Palestina, con l'irrilevanza a questo punto della stessa Anp. E' dunque importante l'idea del ministro degli esteri Massimo D'Alema che ieri ha lanciato l'«ipotesi» di una forza di pace a Gaza «se l'Anp lo chiederà», con un appello «perché cessino gli scontri fratricidi, per non far cessare il governo di unità nazionale». E' il primo vero e forte, ma forse tardivo, incoraggiamento all'autorità del governo Hamas-Fatah, nominato da Abu Mazen e guidato da Ismail Haniye. Questo dell'autorità è il punto reale. Il disastro di Gaza è il combinato disposto della realpolitik internazionale che ha accettato il ritiro unilaterale di Sharon. Così si è alimentata l'occupazione militare in Cisgiordania (di cui si parla solo per la scoperta della tomba d'Erode), la continuazione del Muro, il rilancio degli insediamenti che cancellano la continuità territoriale dello stato di Palestina. E con i prigionieri politici che sono diventati quasi 10mila e annoverano ministri e deputati. Che fine ha fatto lo «scambio» con il caporale Shalit?
E i milioni di profughi senza possibilità di ritorno? La Striscia dei più miserabili è una prigione a cielo aperto per un milione e mezzo di palestinesi. Qui è raddoppiata la microcriminalità e insieme il soccorso «umanitario» - ma non c'è il disastro alimentare, per i palestinesi il disastro è l'occupazione, l'impossibilità a lavorare la loro terra, i posti di blocco vissuti tra odio e inedia. Dopo la morte di Arafat e la vittoria elettorale di Hamas nel gennaio 2006, non è stato possibile su questa disperazione esercitare l'autorità politica. Qui una nuova generazione, non trovando più sbocco alla prospettiva dello stato palestinese, diventa vittima di fanatismo e integralismo. Fino all'idiozia criminale dei razzi Qassam lanciati contro Sderot, che chiamano i criminali raid dell'aviazione israeliana. C'è un bene prezioso, ed è il nuovo governo unitario tra Hamas e Fatah. Contro la possibilità che governasse un movimento certo integralista, ma fortemente politico e non jihadista, si è scatenata con Bush in testa un'offensiva che è arrivata ad imporre l'embargo. Ora D'Alema chiede l'autorizzazione all'Anp per la «forza multinazionale». Ma le chiavi di Gaza stanno nei cassetti israeliani che erano di Sharon e ora sono di Olmert - mentre il caos di Gaza autorizza perfino l'impresentabile ministro della difesa Amir Peretz a minacciare l'intervento militare. E' Israele che controlla la frontiera con l'Egitto non l'impotente polizia dell'Onu. E' ora dunque che arrivi a Gaza e nei Territori occupati di Cisgiordania non una «forza di pace tra palestinesi», una specie di «decimo Tuscolano» di poliziotti-pacieri, ma una missione di pace delle Nazioni unite di interposizione sì, ma tra palestinesi e Israele. Che finalmente riconosca l'autorità del governo unitario che il popolo palestinese si è democraticamente dato. La missione che un anno fa fu promessa dallo stesso D'Alema e da Prodi dopo l'intervento militare israeliano in Libano, al momento del dispiegamento dei caschi blu italiani. E che è rimasta una promessa. Altrimenti la stessa presenza nel Libano del sud è inutile e ormai ad alto rischio. Ma se non è di questa iniziativa di pace che stiamo parlando, meglio cambiare rotta.

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