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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
16.05.2007 L'esercito turco difende il carattere laico dello Stato
un intervento di Ayaan Hirsi Ali

Testata: Corriere della Sera
Data: 16 maggio 2007
Pagina: 40
Autore: Ayaan Hirsi Ali
Titolo: «L'esercito turco? Tutela la democrazia»

Dal CORRIERE della SERA del 16 maggio 2007:

I turchi laici e liberali hanno subito un brusco risveglio, dopo anni di profondo torpore. Il retaggio di Kemal Ataturk, difatti, rischia di essere distrutto. Non per mano di un nemico esterno, bensì di forze presenti all'interno del Paese. Distrutto da quanti, in Turchia, ambiscono a uno stato islamico. La Turchia del post-Ataturk è un Paese spaccato in due: da un lato, chi auspica la gestione degli affari di stato nel rispetto dei principi islamici; dall'altro, quanti desiderano relegare la volontà di Allah al di fuori dello spazio pubblico. I fautori dell'Islam attualmente al potere, come Recep Tayyip Erdogan, Abdul Gul e il loro partito Giustizia e Sviluppo (Akp), hanno riscosso notevole successo. A differenza dei laici liberali, hanno capito e fatto leva sul fatto che è possibile utilizzare gli strumenti della democrazia per erodere la democrazia stessa. È con tale spirito che hanno messo in atto la loro potente strategia. Di quest'ultima, tre pilastri meritano particolare attenzione.
Il primo corrisponde alla Dawa (appello), la tattica ispirata da Maometto, fondatore dell'Islam. Essa presuppone un'instancabile e convinta predica dell'Islam non soltanto come stile di vita, ma anche di governo. Da cui consegue che ogni convertito ha l'obbligo di andare nel mondo a predicare quel messaggio. Ciò che dà vita a un movimento di base in grado di conquistare i cuori e le menti degli elettori. I turchi laici hanno sottovalutato tale aspetto, trascurando così di rispondere agli islamisti vincendo cuori e menti del proprio elettorato. Così, le varie reazioni laiche contro un'evidente espressione della volontà popolare suonano irrazionali e antidemocratiche.
Il secondo pilastro coincide con il miglioramento dell'economia. Nessuno può negare che quando i partiti laici erano al potere, l'economia turca versava in condizioni disastrose. Sin dall'insediamento di Erdogan, invece, essa ha visto una forte crescita.
Il terzo pilastro prevede la presa di controllo su due tipi di istituzioni democratiche. Quelle atte a formare la società civile (istruzione e media), e quelle volte al mantenimento di ordine e legalità (polizia, magistratura e servizi segreti). In altre parole, gli islamisti controllano l'informazione che arriva ai cittadini, e hanno il potere di ammutolirli.
Dopo il fallimento di un primo tentativo di Rivoluzione islamica nel 1997, Erdogan e il suo partito hanno compreso che la via del gradualismo avrebbe assicurato loro un potere più duraturo. Di certo, essi sanno che è possibile giungere a una totale islamizzazione della Turchia soltanto acquisendo il controllo dell'esercito e della Corte costituzionale. Le due istituzioni, cioè, che — finora — si sono dimostrate coerenti con il disegno di Ataturk per la tutela dello Stato laico in Turchia.
Erdogan e Gul dispongono di un altro asso nella manica. Facendo mostra della stessa discrezione e pazienza che li ha fatti arrivare così lontano, potrebbero concretizzare il proprio obiettivo continuando a sollecitare l'adesione alla Ue. Leader europei ingenui ma di buone intenzioni sono stati manipolati sin dal principio, e indotti a dichiarare che l'esercito turco «dovrebbe essere soggetto al controllo civile», come avviene negli altri Paesi membri.
Ragionando col senno di poi, i laici e liberali turchi devono piangere soltanto se stessi. Tratto peculiare del liberalismo, tuttavia, è l'opportunità di imparare dai propri tentativi ed errori. Il fatto che i laici liberali abbiano sbagliato non significa che essi non possano nuovamente tentare di salvaguardare il retaggio di Ataturk, creando opportunità di sviluppo per la democrazia turca sulla base dei valori occidentali.
Ammainati gli striscioni delle proprie manifestazioni, i laici liberali sono chiamati a elaborare un piano per l'avvio di un movimento di base che diffonda il messaggio della libertà individuale. Recuperare la fiducia degli elettori affidando loro l'economia del Paese, e riconquistare le istituzioni deputate a istruzione, informazione, polizia e giustizia. Ma anche indurre i leader Ue a comprendere e rispettare il fatto che oltre a difendere il Paese e la sua costituzione, esercito e Corte sono anche — e forse soprattutto — chiamati a proteggere la democrazia turca dall'Islam.
Quel che occorre riportare in Turchia è una laicità autentica, non una forma qualsiasi di secolarismo. Una laicità che protegga libertà e diritti individuali, non la sua versione ultra-nazionalista.
In un momento così difficile, le democrazie liberali nel resto dell'Occidente sono chiamate a sostenere i liberali in Turchia. E l'idea che tale appoggio debba partire dal riconoscimento dell'eccezionalità dell'esercito turco è solo all'apparenza paradossale. Perché a quest'ultimo spetta la speciale missione di tutela del carattere secolare del Paese.

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