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Il Manifesto Rassegna Stampa
16.05.2007 Festeggiare la propria capitale è "reato". Se a farlo è Israele
per il quotidiano comunista

Testata: Il Manifesto
Data: 16 maggio 2007
Pagina: 3
Autore: Michele Giorgio
Titolo: «La Palestina brucia, Israele festeggia la «sua» città»
Ricordiamo a Michele Giorgio che la riunificazione di Gerusalemme è avvenuta nel corso di una guerra che Israele non ha voluto, nella quale è stata costretta a difendersi.
Che la risoluzione dell'Onu 181, che chiedeva l'internazionalizzazione di Gerusalemme, venne accettata da Israele e rifiutata dagli arabi.
Che l'occupazione giordana della parte est della città, che durò dal 49 al 67, non venne mai contestata dagli arabi. Che durante quell'occupazione gli ebrei vennero espulsi senza esitazioni, i loro diritti religiosi ignorati, le loro sinagoghe distrutte, i loro cimiteri profanati.
Che dal 67 la popolazione araba di Gerusalemme  è cresciuta da 65.000 a 250.000 persone.
E gode di diritti,civili,  religiosi e politici  sconosciuti al mondo arabo ( e di servizi sociali assai migliori della norma).

Ecco l'articolo di Giorgio pubblicato dal MANIFESTO del 16 maggio 2007.
L'assenza di queste informazioni trasforma la riunificazione di Gerusalemme un atto di aggressione e di conquista e la sua celebrazione in una arrogante provocazione:


Vite diverse in pochi chilometri quadrati. Ieri mentre nei Territori occupati e nei campi profughi si ricordava la Nakba, la Catastrofe del 1948 e l'espulsione dalla loro terra di circa 800mila palestinesi prima e dopo la nascita dello stato di Israele, a Gaza 12 palestinesi sono rimasti uccisi in nuovi, violenti scontri tra forze fedeli a Fatah e militanti di Hamas. Una giornata di sangue che annuncia rappresaglie: Fatah accusa i miliziani del movimento islamico di aver attaccato a sangue freddo la guardia presidenziale al valico di Karni, facendo otto morti. Hamas nega e chiama in causa l'esercito israeliano, che ammette di aver aperto il fuoco ma esclude di aver colpito i palestinesi. Nelle stesse ore in cui a Gaza si consumava l'ennesima tragedia palestinese, a Gerusalemme gli israeliani festeggiavano il quarantesimo anniversario della cosiddetta «riunificazione» della città, avvenuta con la guerra dei Sei giorni (giugno 1967), quando i soldati israeliani entrarono nella città vecchia e occuparono l'intero settore arabo (est). E' perciò l'anniversario, secondo il calendario ebraico, dell'occupazione militare e dell'annessione unilaterale della Gerusalemme araba al territorio israeliano che tuttavia il mondo continua a non riconoscere. Resta sempre valida la risoluzione Onu del 1947 che pose l'intera Gerusalemme sotto il controllo internazionale. Ad inizio settimana, mentre il premier Olmert annunciava con tono solenne che il suo governo investirà circa un miliardo e mezzo di dollari a Gerusalemme, il corpo diplomatico europeo ha attuato il boicottaggio delle cerimonie israeliane. Analoga decisione è stata presa dall'ambasciatore americano Richard Jones, nonostante gli Stati uniti siano il maggiore sostenitore politico e militare di Israele. E contrario ai festeggiamenti israeliani si è detto pure il ministro degli esteri Massimo D'Alema. «Non trovo ragionevole - ha affermato - che la comunità internazionale festeggi la guerra del 1967. Non sarebbe una buona risposta all'iniziativa di pace araba che chiede a Israele di ritirarsi dai territori occupati 40 anni fa». In ogni caso la «riunificazione» di Gerusalemme è costata cara ai palestinesi. Oggi, a distanza di 40 anni da quei giorni di guerra, la condizione della popolazione araba della città è pietosa. Le statistiche municipali dicono che il 62% per cento di palestinesi che vive sotto la soglia di povertà. Altri studi mettono in luce la crescente dipendenza economica degli arabi da Israele, acuita dalla costruzione del muro che ha completamente separato la città santa dalla Cisgiordania. Una descrizione precisa della condizione palestinese a Gerusalemme è stata fatta ieri da Meir Margalit, del «Comitato contro la demolizione delle case», durante la conferenza stampa di «Occupazione40», una coalizione di organizzazioni israeliane e palestinesi che stanno preparando manifestazioni contro l'occupazione nei giorni tra il 5 e l'11 giugno. «La popolazione palestinese rappresenta almeno il 34% della popolazione di Gerusalemme ma riceve appena il 9% del budget del municipio, pur pagando - ha riferito Margalit - le stesse tasse degli israeliani. Un residente ebreo riceve mediamente 6.000 shekel dal comune contro i 1.300 di un palestinese». Gravissima la situazione abitativa: «I palestinesi possono costruire su un'area di appena 9 chilometri quadri di territorio (Gerusalemme si estende su 126 chilometri quadri) mentre migliaia di case vengono edificate ovunque e messe a disposizione degli israeliani. Per questo motivo, e anche a causa delle condizioni economiche, i palestinesi costruiscono le loro case illegalmente. Così sono soggetti alle demolizioni ordinate dal comune e al pagamento di multe salate. Sino ad oggi hanno dovuto pagare sanzioni per 35 milioni di dollari». Nonostante ciò i palestinesi restano attaccati alla loro terra e il loro numero cresce senza sosta. Si è fatta perciò avanti tra gli israeliani l'idea della «cessione» di popolosi quartieri di Gerusalemme est all'Anp e della inclusione nei confini municipali di alcune grosse colonie ebraiche vicine alla città. Cosa che farebbe di Gerusalemme una metropoli sterminata, costruita in gran parte nei Territori occupati e abitata per oltre l'80% da israeliani.

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