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Corriere della Sera Rassegna Stampa
16.05.2007 Sergio Romano continua a lodare la Siria
dimenticando il sostegno al terrorismo, la costante violazione dei diritti umani, l'ingerenza in Libano...

Testata: Corriere della Sera
Data: 16 maggio 2007
Pagina: 21
Autore: Sergio Romano
Titolo: «La scommessa di Damasco: diventare una tigre mediorentale - Tre anni di carcere al dissidente Kilo. Aveva indebolito lo spirito siriano - Un avvocato sfida il presidente Mi candiderò alla guida del paese»

Già abbiamo criticato la prima delle "lettere siriane" di Sergio Romano, pubblicata dal CORRIERE della SERA del 12 maggio 2007.
Il 15 maggio esce il secondo articolo "La scomessa di Damasco: diventare una Tigre mediorentale". Elogio delle "liberalizzazioni" economiche del regime baathista che si contraddice da sè, includendo un dato eloquente: lo Stato siriano continua a essere proprietario del 70% di fabbriche e alberghi.
Nonostante la natura farsesca di una simile "apertura" del mercato, Romano non esita a indicare nelle sanzioni americane ed europee il vero ostacolo alla modernizzazione del paese.

Dimenticando l'alleanza del regime con l'Iran, la destabilizzazione dell'Iraq, il sostegno al terrorismo antisraeliano di Hezbollah, di Hamas e di altri gruppi palestinesi. E la campagna terroristica per tenere il Libano sotto il giogo dei suoi servizi segreti, che ha costretto persino Francia e Onu a una fermezza per loro inusuale nei confronti delle diittature mediorentali.

Ecco il testo:

Il Gruppo bin Laden ha annunciato che intende costruire in Siria, nei prossimi anni, dieci industrie per la fabbricazione di prodotti necessari all'edilizia. La famiglia di Osama non ha rapporti con Al Qaeda e non sembra essere stata danneggiata dalla strategia politica della sua pecora nera.
Dopo avere rinnovato le installazioni turistiche e logistiche dei maggiori luoghi santi dell'Islam (La Mecca e Medina), il Gruppo è probabilmente il maggiore costruttore del Medio Oriente e occupa un posto rispettabile nella gerarchia mondiale delle maggiori imprese edilizie. Ha deciso di rafforzare la sua presenza a Damasco per alcune buone ragioni. Il mercato siriano dell'edilizia è promettente, le casse dei Paesi del Golfo Persico sono piene di petrodollari alla ricerca di una buona collocazione e la Siria ha smesso da qualche anno di essere una copia medio-orientale delle democrazie popolari dell'Europa sovietica.
I primi segni del cambiamento risalgono agli anni Novanta quando Damasco (il presidente era ancora Hafez al Assad) decise di aderire alla zona di libero scambio dei Paesi arabi (Gafta: Greater Arab Free Trade Area). Ma il mercato e le sue regole appaiono in Siria soltanto dopo la morte di Hafez e l'ascesa al potere del figlio Bashar. A Londra, dove viveva da alcuni anni. Bashar aveva compreso più rapidamente del padre che la morte dell'Unione Sovietica, il collasso del sistema comunista e l'impetuosa apparizione dell'economia asiatica sulla scena mondiale avevano sconvolto il quadro politico ed economico in cui la Siria aveva costruito il suo Stato arabo-socialista. Non esisteva più il grande partner a cui ricorrere per forniture d'armi, acquisto di beni strumentali, programmi di collaborazione scientifica (un cosmonauta siriano andò nello spazio su una navicella sovietica), scambi culturali e formazione professionale. Esistevano invece sul mercato mondiale le piccole e grandi tigri dell'Asia, dinamiche, aggressive, dotate di tre vantaggi imbattibili: basso costo della mano d'opera, alta produttività, tecnologie avanzate. Non vi era più spazio in questo nuovo mondo per un Paese che fabbricava prodotti mediocri, scoraggiava i capitali stranieri, formava la sua classe dirigente nelle università dell'Europa orientale, si assicurava il consenso popolare con il sistema dei prezzi amministrati e la distribuzione razionata di beni alimentari per le fasce più povere della società. Il merito di Bashar fu quello di mettere in moto la macchina della deregolamentazione e delle liberalizzazioni. Sono stati drasticamente diminuiti i dazi sull'importazione di automobili e parti di ricambio. Sono state abolite le tariffe doganali sull'interscambio fra i Paesi del Gafta. È stato aperto il mercato finanziario alle banche private. Anche se la Siria è agli ultimi posti nella categoria dei Paesi più competitivi e lo Stato continua a essere proprietario di fabbriche e alberghi, il 70% dell'economia nazionale sarebbe ora nelle mani dei privati.
La persona che mi fornisce questo dato è il vice primo ministro responsabile per l'economia Abdullah Dardari, un uomo sui cinquant'anni, laureato alla London School of Economics e cresciuto nelle organizzazioni internazionali. Quando parliamo della crescita dell'economia siriana nel 2006 (4%), dice di essere soddisfatto soltanto in parte. Riconosce che i risultati sono più lenti delle speranze e sostiene che il problema è anzitutto umano.
Ricorda che la Siria è stata per quarant'anni uno «Stato socialista» con una economia «di comando» e che i giovani andavano a studiare nei Paesi del blocco sovietico (Cecoslovacchia, Romania, Repubblica democratica tedesca) dove imparavano tutto fuor che le regole del mercato e l'arte di gestire un'azienda. Il governo di Damasco ha creato una Business school, ma la formazione di una classe dirigente aziendale richiede almeno una generazione. Un secondo handicap, secondo Dardari, è la mancanza dell'apparato legislativo, necessario al buon funzionamento dell'economia di mercato e di alcune indispensabili Autorità, come quella per la concorrenza. La modernizzazione, inoltre, deve tenere conto di una società abituata alle tariffe, ai prezzi amministrati, alla stabilità dell'impiego nelle imprese gestite dallo Stato, alle certezze della mediocrità collettiva. Ma il governo è deciso ad andare avanti e sta mettendo a punto in questi giorni un piano per l'abolizione dei sussidi e dei prezzi amministrati. Chiedo a Dardari se il governo tema ripercussioni sociali. Mi risponde che verranno assicurate alcune «compensazioni».
Vi sono altre difficoltà. Mentre era nel mezzo di questa complicata transizione, il Paese è stato colpito dalle sanzioni americane: quelle piuttosto simboliche del 2004 e quelle più severe degli anni seguenti. Il Paese può contare sulle proprie risorse energetiche ed è ancora oggi esportatore di petrolio. Ma le riserve si stanno riducendo e Dardari sa che occorre aumentare la gamma delle produzioni siriane destinate all'esportazione. Fortunatamente esiste, per quanto la cosa possa sembrare paradossale, il mercato iracheno. Nonostante la guerra civile, l'Iraq è diventato uno dei principali clienti dell'industria siriana. Vi sono giorni in cui la fila dei camion siriani che attendono il controllo delle forze americane si allunga, prima della frontiera, per qualche decina di chilometri.
L'Unione europea potrebbe dare un contributo decisivo al decollo dell'economia siriana, ma l'accordo di associazione, firmato nel settembre del 2004, non è mai stato ratificato dai Paesi dell'Ue. Anche l'Europa, quindi, ha «punito» la Siria, ed è questa la punizione che l'ha maggiormente sorpresa e irritata. Come il vice ministro degli Esteri Feisal Miqdad e il ministro dell'Informazione Mohsen Bilal, anche Dardari mi dice che la Siria si sente «tradita» e mi dà l'impressione che le punizioni dell'Europa scottino, anche per ragioni storiche e culturali, più di quelle dell'America. Mi ricorda che il suo Paese potrebbe presentare agli occhi dell'Ue parecchi vantaggi: è laico, gode di una forte stabilità politica, è nemico del fondamentalismo islamico. Gli chiedo se la visita di Nancy Pelosi, abbia reso un po' più «comoda» la posizione della Siria. Mi risponde realisticamente che l'iniziativa della presidente della Camera dei rappresentanti appartiene al dominio della politica interna americana più di quanto non appartenga a quello della politica internazionale. Ma è evidente che la Siria, in questi ultimi mesi, ha avuto qualche buona ragione per tirare un sospiro di sollievo. Il Gruppo di studio sull'Iraq (il comitato americano presieduto da James Baker e Lee Hamilton) ha raccomandato al presidente Bush di parlare con Damasco. Una delegazione siriana è stata invitata a Bagdad per una riunione regionale sulla situazione irachena. Il ministro degli Esteri siriano ha parlato per mezz'ora con Condoleezza Rice alla conferenza di Sharm el Sheikh. I rapporti con la Turchia sono ormai da qualche anno eccellenti. E il presidente francese Jacques Chirac, «pubblico ministero» nel processo che alcuni Paesi hanno intentato alla Siria dopo l'assassinio dell'ex premier libanese Rafik Hariri a Beirut nel febbraio 2005, ha lasciato ormai il palazzo dell'Eliseo per trasferirsi in un duplex del Quai Voltaire, con vista sul Louvre. Si dà il caso che l'appartamento appartenga alla famiglia di Hariri, vecchio amico di Chirac.
A qualcuno la scelta dell'appartamento è parsa disdicevole. I siriani hanno letto la notizia con un sorriso e salutato con piacere la partenza del loro maggiore avversario europeo.
La Siria sta aprendo al mondo la sua economia, modellata sul sistema sovietico. Ma lo Stato continua a essere proprietario di fabbriche e alberghi. La parte più difficile è formare una classe dirigente moderna: soprattutto in un clima di assedio e sanzioni

Romano dimentica anche, naturalmente, la situazione dei diritti umani in Siria.
Un paese dove si può condannare qualcuno a tre anni di carcere per aver "indeobolito lo spirito" nazionale con le sue idee.
E' lo stesso CORRIERE a dedicare alla notizia un trafiletto che avrebbe meritato ben altro spazio.

DAMASCO — Il famoso scrittore dissidente siriano Michel Kilo e l'attivista Mahmoud Issa sono stati condannati ieri a tre anni di carcere per aver «diffuso informazioni false» e «indebolito lo spirito nazionale». I due erano stati incarcerati lo scorso anno dopo aver firmato una petizione congiunta con intellettuali libanesi in cui si chiedeva al regime di Damasco di migliorare i rapporti con lo Stato vicino. Solo in questo mese salgono così a sei gli intellettuali siriani condannati a vari anni di prigione per aver criticato il regime di Assad. L'Unione Europea e gli Stati Uniti ieri hanno protestato ufficialmente presso il governo di Damasco chiedendo il rilascio dei prigionieri.

Un altra notizia dalla quale si evince chiaramente un dato noto, ma forse dimenticato e sicuramente anch'esso trascurato.
Finora in Siria il regime ha organizzato elezioni presidenziali con.. un unico candidato.

DAMASCO — Il famoso scrittore dissidente siriano Michel Kilo e l'attivista Mahmoud Issa sono stati condannati ieri a tre anni di carcere per aver «diffuso informazioni false» e «indebolito lo spirito nazionale». I due erano stati incarcerati lo scorso anno dopo aver firmato una petizione congiunta con intellettuali libanesi in cui si chiedeva al regime di Damasco di migliorare i rapporti con lo Stato vicino. Solo in questo mese salgono così a sei gli intellettuali siriani condannati a vari anni di prigione per aver criticato il regime di Assad. L'Unione Europea e gli Stati Uniti ieri hanno protestato ufficialmente presso il governo di Damasco chiedendo il rilascio dei prigionieri.

E questo è quanto su un altro tema che non deve interessare molto l'ex ambasciatore Romano: il pluralismo politico in Siria

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