Le rassicurazioni di Ramadan, il fondamentalista furbo e quelle del suo imitatore italiano Roberto Hamza Piccardo
Testata: La Stampa Data: 14 maggio 2007 Pagina: 35 Autore: Mauro Baudino - Guido Ruotolo - Massimo Numa Titolo: «“L’Islam non vi odia" - Che errore fa il ministro alimenta solo l'allarme sociale - Con i soldi delle moschee aiuti per il terrorismo»
Senza contraddittorio, Tariq Ramadan ha fatto a Torino quello che sa fare benissimo, come è stato ampiamente dicumentato (per esempio dalla giornalista francese Caroline Fourest): ha ingannato il suo pubblico dicendo in una lingua occidentale cose ben diverse da quelle che dice in arabo alle platee fondamentaliste. Mauro Baudino della STAMPAregistra tutta senza nessuna avvertenza critica, nemmeno quella di ricordare che il "radicamento dell'islam in Europa" di cui parla Cardini per Ramadan significa "islamizzazione dell'Europa"
Il controverso per eccellenza, l'intellettuale islamico più discusso d’Europa, piomba alla Fiera con un bel ritardo, chiarisce che non è colpa sua ma dell’Alitalia e, prima di ripartire come un fulmine alla volta di Londra, regala 20 minuti di arringa appassionata. «Non parlo come musulmano, ma come cittadino europeo - dice, fra gli applausi -. La democrazia è responsabilità, non è soltanto un diritto». E aggiunge che il problema, per i musulmani, non è tanto quello di dichiararsi contro il terrorismo, ma d’impegnarsi. E tuttavia «bisogna essere capaci di condannare il terrorismo, e anche di dire che non si deve andare in Iraq o in Afghanistan; bisogna essere contro i talebani - e io lo sono sempre stato - ma non si può farla pagare all’intero popolo afghano». Musica per molte orecchie, anche se com’è ovvio si potrebbe discutere. Tariq Ramadan, ieri, non aveva il tempo di farlo. È passato come un fulmine, al convegno dove ad attenderlo c’era Nafeez Mossaddeq Ahmed, autore per Fazi di Guerra alla verità, un libro sull’11 settembre in cui accusa i servizi segreti occidentali di aver aiutato i terroristi di Al Qaida, giunto alla seconda edizione accresciuta. Ma era poco interessato a discorsi «complottistici». Ha appena pubblicato per Einaudi Maometto, dall’Islam di ieri all’Islam di oggi e voleva parlare, soprattutto, di musulmani in Europa, i principali destinatari della sua opera sul Profeta. Lui è nipote del fondatore dei Fratelli Musulmani, il vasto e ramificato movimento fondamentalista dell’Islam. Fra i giovani della sua fede è una star. Ed è anche costantemente accusato di usare una sorta di doppio linguaggio, a seconda degli interlocutori. Lo storico Franco Cardini, amico ed estimatore, ne parla benissimo. «Cerca di far capire che il fondamentalismo è molto ristretto e non è sinonimo di terrorismo - ci dice -. E che non c’è nulla di strano nel fatto che l’Islam si radichi in Europa, senza per questo volerla conquistare». Tariq Ramadan non teme certo il contraddittorio, anche se ieri, in Fiera, i tempi lo impedivano. Ce n’era stato, invece, poche ore prima a Roma, dove per il Festival di Filosofia aveva discusso con Hanif Kureishi, lo scrittore anglopakistano che su queste faccende non è affatto tenero. A Roma era stato anche accolto da polemiche circa l’opportunità di invitarlo (a Torino, pare proprio di no). E Paolo Flores D’Arcais, che aveva difeso la legittimità dell’invito, ha anche rilasciato, a dibattito concluso, una maliziosa dichiarazione, sottolineando come, in fondo, «sulla questione essenziale dei rapporti tra fede e laicità di uno Stato democratico il suo atteggiamento sia inaccettabile quanto quello del cardinal Ruini». Un argomento simile è stato indirettamente evocato in Fiera proprio in un incontro del primo pomeriggio, fra il saggista francese Pascal Bruckner (La tirannia della penitenza. Saggio sul masochismo occidentale, Guanda) e Ayaan Hirsi Ali, l’intellettuale somala (autrice dell’autobiografia Infedele, Rizzoli) condannata a morte dai fanatici islamici perché ha sceneggiato il film del regista olandese Theo Van Gogh sull’oppressione delle donne. Lui è stato assassinato dal solito esaltato, lei vive sotto scorta, in America. E entrambi sottolineano come il problema resti quello dei diritti e delle libertà, su cui non si può transigere. Bruckner, ad esempio, ha citato le celebri vignette su Maometto pubblicate su un giornale danese, che hanno scatenato il noto putiferio e per la quale anche la Francia ha dovuto scusarsi. Il che è inconcepibile, e solleva un problema enorme, a cui nessuno pare saper offrire concrete soluzioni. Ma tutto questo non entra nel monologo di Ramadan, che saluta l’uditorio nel segno delle «responsabilità comuni», proclama con enfasi che «il discorso anti-occidentale non è affatto islamico, anzi, è al fondo esso stesso anti-islamico», lancia l’invito a dire «ai nostri governi che ogni persona ha diritto alla sua vita, sia in Europa sia altrove» e vola via, verso un’altra conferenza, un’altra polemica, un altro applauso.
Roberto Hamza Piccardo, intervistato da Guido Ruotolo denuncia l'ipotesi di controllare le moschee come una violazione delle libertà individuali e una discriminazione:
Roberto Hamza Piccardo, già portavoce dell’Ucoii e oggi promotore del Network islamico europeo, l’Europa vuole fare una mappatura di tutte le moschee... «Non capisco qual è la ragione di creare ulteriore allarme sociale, con questi annunci che alimentano il massimo del sospetto nei confronti dei musulmani. Non capisco perché si invitino gli imam a parlare in lingua madre. Così si alimenta il massimo del sospetto nei confronti dei musulmani arabofoni». Il timore è il terrorismo di matrice islamica e l’incitamento da parte di alcuni imam alla Guerra Santa... «In Italia non è mai successo nulla e anche l’Europa, se si escludono i due tragici episodi (le stragi di Madrid e Londra, ndr) è sicura». Ma se non c’è nulla da temere, perché è contrario al censimento? «Non esiste una realtà culturale, spirituale e sociale monitorata quanto la comunità islamica, per cui non capisco cosa vogliano mappare ancora. Se monitorassero la mafia come le realtà islamiche, non avremmo più la mafia in Italia. Le vere minacce alla sicurezza in Europa non vengono dalle realtà islamiche, ma dalla criminalità organizzata, dai traffici internazionali di armi, droghe ed esseri umani» Secondo la nostra intelligence, negli ultimi sei anni le moschee in Italia sono raddoppiate. Questo oggettivamente crea preoccupazione. «Sì, lo so che secondo le stime ufficiali le moschee sono raddoppiate e dovrebbero essere circa 600. Solo io ho l’indirizzario di poco più di 200 moschee, il 70-80% del totale. Se poi viene censito come moschea, un retrobottega di un commerciante pakistano islamico, allora....». Al vertice del G6 di Venezia si è discusso anche di espulsioni preventive... «Inquietante il solo ipotizzare che si proceda alle espulsioni di “sospetti” sulla base di segnalazioni degli alleati. Mi viene da pensare subito a Guantanamo, che rappresenta la violazione di di qualsiasi diritto dell’uomo, lo stravolgimento della Convenzione di Ginevra. Ipocrita dire che non si espelle verso quei paesi che praticano la tortura o la pena di morte. Perché allora dobbiamo dire chiaramente che si escludono paesi come gli Stati Uniti, l’Egitto, la Siria, il Marocco....»
Ma quali siano i veri rischi per la nostra sicurezza derivanti dall'azione incontrollata dei fondamentalisti lo spiega, sulla stessa STAMPA Massimo Numa: Le collette islamiche finanziano il terrorismo? Attenzione a non generalizzare». La denuncia del ministro Giuliano Amato non sorprende affatto gli inquirenti che indagano sul fondamentalismo islamico in Italia. Loro sono per natura scettici. Come il capo della Digos di Torino, Giuseppe Petronzi. E vogliono prove: verbali di «collaboranti», intercettazioni, riscontri precisi. Detto questo, le carte di un’indagine condotta dalla Procura di Torino (pm Laudi e Tatangelo) e dalla Digos tra il 2000 e oggi, di fatto mai conclusa, spiegano qualcosa di più su questo mondo. Complesso, ricco di sfumature, sfuggente e spesso indecifrabile. Dalle intercettazioni tratte dal caso Abu Omar (l’imam «rapito» nel 2003 a Milano con la complicità di alcuni elementi del Sismi, secondo l’accusa) si può avere un’idea, appena più precisa. Ecco Abu Omar (attualmente in Egitto e desideroso, pare, di ritornare in Italia) che, il 15 giugno del lontano 2002, parla con un «fratello» residente in Germania. Ci vogliono finanziamenti. Come fare? L’interlocutore di Abu Omar entra nei dettagli: «...Attraverso i libri e la posta... Se l’Europa è controllata via aerea e via terra, in Polonia, in Bulgaria e in Paesi che non fanno parte della Comunità Europea è tutto facile... Sono Paesi meno controllati, non ci sono troppi occhi, ma la nazione dalla qua- le parte di tutto è l’Austria. Lì incontri tutti gli sceicchi e tutti i nostri fratelli sono là». L’Austria come cassaforte della Jihad. Nomi dimenticati. Quelli degli imam che, dalle moschee lombarde - Milano, Varese, Brescia, Cremona - inviavano soldi attraverso i money transfer ai gruppi terroristici bosniaci, ceceni, afghani e infine iracheni. E anche in Palestina. Un’indagine della Digos di Genova ha ricostruito i canali finanziari, spesso su Internet, che alimentano l’ala militare di Hamas e altri gruppi terroristi. Partiamo dalla prove. Autunno 2005, Jenin, Palestina: viene arrestato Ahmad Saltana, uno dei banchieri di Hamas, con 11 milioni di dollari. Una parte di quei soldi, raccolti anche in Europa e soprattutto in Italia, attraverso privati e collette gestite anche dai sindacati, erano destinati a 40 vedove e orfani di kamikaze che si erano fatti esplodere in Israele. Terminale dei finanziamenti, anche oggi, la «Union of Good», ente diffuso in tutto il mondo, da cui dipendono 56 associazioni. La «Ug» sostiene la Jihad in Palestina. A Basilea si riunivano i tesorieri di Hamas. Le collegate: l’ «Interpal» in Inghilterra; «Cbsp», Francia, «Al Aqsa» (Germania, Belgio e Olanda); «Pwo» in Austria, l’«Abs» svizzera e i terminali italiani. Quanto? Il movimento di soldi ricostruito dagli inquirenti è superiore, nel volgere di tre anni, a quattro milioni di dollari. Cifre, date, nomi. Come quella della «Bethlehem Orphan Care Society». Il capo è «Abu Tayib», Ghassan Harmass. Secondo i rapporti dell’Antiterrorismo israeliano «la società finanzia l’apparato terrorista di Hamas e consegna il denaro alle famiglie dei “suicide bombers”». Compresi i «martiri» di Ezzedine Al Qassam, il braccio armato di Hamas. Quanto vale la vita di uno shaheed, un martire? Più o meno, 56 mila dollari. Generosamente inviati anche dall’Europa. Aprile 2003, Torino. Qui sono attive le cellule legate ai gruppi salafita. Nelle moschee di Porta Palazzo iniziò la raccolta di soldi a favore delle vedove dei kamikaze marocchini che dovevano farsi saltare a Casablanca. Scrivono gli investigatori: «... Il noto Bouriqi Bouchta, in data 16 gennaio 2000, si è reso promotore di una riunione presso la moschea di Torino, in via Cottolengo 2, a cui hanno partecipato alcuni esponenti del mondo islamico milanese, per la raccolta di fondi, nonché per il reclutamento di volontari da inviare in Cecenia, per sostenere la lotta all’indipendenza di quel popolo». Dal Nord al Centro Sud. Con Firenze e la Toscana che ospitano il maggior numero di centri e scuole islamiche, già al centro di nuove e vecchie inchieste. Le 29 grandi moschee, come quelle della Capitale, hanno necessità di grandi risorse. Secondo fonti dell’Intelligence, «un Paese dal quale giungono significative risorse finanziarie è l’Arabia Saudita». Società e uomini d’affari di Riad, in particolare. E resta ingente il flusso di denaro di collette, di raccolta di fondi inviate ai militanti jihadisti impegnati nei vari teatri di guerra, o a organizzazioni ritenute terroristiche. Da tutta Italia.
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