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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
14.05.2007 L' ipocrisia di chi nega la storia di Gerusalemme
la cronaca dell'assenza europea e americana dalle cerimonie per i 40 anni di riunificazione, un commento di Benny Morris e una l'analisi di Davide Frattini sulla battaglia demografica per la capitale d'Israele

Testata: Corriere della Sera
Data: 14 maggio 2007
Pagina: 6
Autore: Benny Morris - Davide Frattini - Ivo Caizzi
Titolo: «Un gesto ipocrita che dimentica la storia - Piano per altri insediamenti A Est 20 mila nuovi alloggi - Festa di Gerusalemme America e Ue non vanno»

Dal CORRIERE della SERA del 14 maggio 2007, un articolo di Benny Morris sul rifiuto di Unione europea e Stati Uniti di partecipare alla cerimonia per il quarantennale della riunificazione di Gerusalemme.

C'era da aspettarselo: con un gesto al contempo triste e ipocrita, gli ambasciatori dell'Unione Europea in Israele hanno ignorato le cerimonie svoltesi oggi (lunedì) alla Knesset, il parlamento israeliano, per commemorare il 40˚ anniversario della «riunificazione » di Gerusalemme (dal punto di vista ebraico) che il mondo denuncia come la conquista israeliana della metà orientale e araba della città durante la Guerra dei Sei Giorni.
C'era da aspettarselo, perché all'epoca Israele si impadronì con la forza della vita e della proprietà degli arabi di Gerusalemme e da quel giorno in poi ha imposto brutalmente il suo governo — ma, stranamente, il loro numero è cresciuto, passando da 65.000 a 250.000 persone. L'esercito, la polizia e i servizi di sicurezza dello Shin Bet, nel corso di questi quattro decenni, hanno soppresso con fermezza qualsiasi accenno a tumulti e rivolte dei nazionalisti arabi e la polizia israeliana presidia questi quartieri per preservare perennemente l'«unità» della città, contro i desideri della stragrande maggioranza dei suoi abitanti arabi. Difatti, durante gli ultimi dieci anni è stato eretto un muro — che fa parte della struttura difensiva nazionale di Israele — in realtà inglobando Gerusalemme Est e tagliando fuori i suoi abitanti dal loro substrato economico, politico, culturale della Cisgiordania, compresi parenti e familiari che vi abitano.
Ma il gesto degli ambasciatori, che è stato condiviso dall'inviato degli Stati Uniti, trasuda una buona dose di ipocrisia. Ipocrisia, perché Israele invase Gerusalemme Est solo dopo che le truppe giordane avevano aperto il fuoco e bombardato la Gerusalemme Ovest ebraica, e dopo che re Hussein aveva respinto i ripetuti appelli israeliani a restar fuori dal conflitto tra Israele e l'Egitto, scoppiato alle prime ore del 5 giugno 1967. Israele occupò Gerusalemme Est in primo luogo come gesto di autodifesa, anche se, dopo la conquista militare, il governo e l'opinione pubblica decisero di tenersela (dopo tutto, la Città Vecchia e i dintorni di Gerusalemme Est erano state la culla del giudaismo e la «capitale» storica, politica e spirituale degli ebrei per tremila anni).
L'ipocrisia dell'Occidente, tuttavia, ha radici più profonde. Il boicottaggio di questa settimana non è altro che il proseguimento naturale del boicottaggio inflitto dai Grandi Poteri alla capitale israeliana dalla fine della Guerra del 1948, quando si rifiutarono, seguiti da gran parte degli Stati del mondo, di riconoscere Gerusalemme come capitale di Israele. Da allora, hanno insediato e mantenuto le loro ambasciate a Tel Aviv. Quel boicottaggio si basava sulla risoluzione dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite del 29 novembre 1947, che stabiliva che Gerusalemme (con Betlemme) dovessero considerarsi un'entità a parte, sotto il governo della comunità internazionale.
Ironia del caso, il movimento sionista accettò la risoluzione dell'Onu e rinunciò a Gerusalemme. Fu il mondo arabo, compresi i palestinesi, a rigettare la risoluzione e a scatenare la guerra del 1948 contro la comunità ebraica/Israele. A causa del loro maldestro intervento, nel giro di pochi mesi gli israeliani avevano preso il controllo della strada che portava a Gerusalemme Ovest, che dichiaravano subito loro capitale, mentre l'esercito giordano invadeva Gerusalemme Est e l'annetteva alla Giordania.
Il boicottaggio internazionale della Gerusalemme israeliana resistette fino al 1967, ma allo stesso tempo il mondo cristiano si rifiutava di boicottare la Giordania, la quale, dal 1948 al 1967, negava completamente l'accesso degli ebrei israeliani ai loro luoghi sacri a Gerusalemme Est (il Monte del Tempio, il Muro del Pianto, ecc.), distruggeva per giunta il quartiere ebraico della Città Vecchia (comprese le sinagoghe) e costruiva un Intercontinental Hotel su gran parte della necropoli ebraica del Monte degli Ulivi.
Al contrario, dalla sua conquista di Gerusalemme Est nel 1967, Israele ha consentito ai fedeli di tutte le religioni completo accesso e libertà di culto nei luoghi sacri della città, compresi i cittadini di Paesi arabi con i quali Israele era ancora formalmente in guerra. La stragrande maggioranza degli abitanti arabi della città hanno conosciuto una nuova prosperità, godono di servizi sanitari all'avanguardia, di un ottimo sistema scolastico e di molte libertà garantite da un governo democratico (la stampa di Gerusalemme Est non è gravata da censura come quasi ovunque nel mondo arabo).
Pertanto gli ambasciatori, e i governi che essi rappresentano, avrebbero potuto trovare un modo meno pubblico, e umiliante, per esprimere la loro disapprovazione per la «riunificazione» della città, che ha portato ai suoi cittadini arabi — al di là di qualsiasi presa di posizione ideologica — non solo svantaggi, ma anche considerevoli benefici.



Un articolo di Davide Frattini sulla "sfida demografica" per il possesso di Gerusalemme:

GERUSALEMME — Il sindaco ha schiacciato un bottone per illuminare di blu e bianco le antiche mura di pietra. Da ieri la bandiera nazionale colora Gerusalemme, per gli israeliani simboleggia la città riunificata con la guerra del 1967. Quarant'anni da quando Moshe Dayan potè annunciare «questa mattina l'esercito ha liberato Gerusalemme, abbiamo unito la capitale divisa».
Quarant'anni che hanno diviso la città più che unirla.
Il governo sta celebrando l'anniversario tra gli allarmi demografici: la popolazione araba è cresciuta del 257% (da 68 mila a 245 mila abitanti) mentre quella ebraica è passata da 200 mila a 475 mila (140%). Gli ebrei laici lasciano Gerusalemme per spostarsi a Tel Aviv o in altre zone del Paese, solo gli ultraortodossi restano a presidiare i luoghi sacri: il 60% degli israeliani sostiene di non voler concedere il controllo del Muro del pianto, eppure il 78% non è pronto ad accettare di vivere nella città.
«Hamas sa che è possibile espugnare Gerusalemme già fra 12 anni, senza una guerra. È sufficiente la crescita demografica della popolazione palestinese», ha detto il sindaco Uri Lupolianski alla riunione speciale del governo. Che ha presentato un piano di sviluppo, oltre un miliardo e mezzo di dollari (soprattutto esenzioni fiscali) per spingere le imprese a investire nella zona.
Il comune — scrive il quotidiano Haaretz — avrebbe in progetto di costruire nuovi alloggi da destinare agli ultraortodossi nella parte Est della città, a maggioranza araba. La commissione programmazione del municipio avrebbe approvato un piano per tre quartieri (20 mila nuovi appartamenti), che garantirebbero continuità tra Gerusalemme e gli insediamenti ebraici di Etzion a sud e Beit El a nord. «È una provocazione che rischia di rimettere in causa la calma relativa che sta vivendo la città», commenta Pepe Alau di Meretz, partito di sinistra all'opposizione. «L'obiettivo è chiaro: vogliono marginalizzare la popolazione araba», attacca lo studioso palestinese Mahdi Abdoul Hadi.
Dore Gold, ex ambasciatore israeliano alle Nazioni Unite e autore del libro La battaglia per Gerusalemme, è invece convinto che il governo non abbia fatto abbastanza per contrastare la sfida demografica. «Bisogna incoraggiare la gente a vivere a Gerusalemme. Ci vuole una linea ferroviaria che la colleghi a Tel Aviv in 20 minuti».

La cronaca del rifiuto europeo e americano:

BRUXELLES — L'Unione Europea boicotta una cerimonia in Israele per ribadire che non riconosce l'annessione della parte Est di Gerusalemme, attuata nel 1967 dagli israeliani in seguito alla «guerra dei sei giorni» e contestata dai palestinesi. L'ambasciatore tedesco Harald Kindermann, a nome dei colleghi dei 27 Paesi membri (in quanto la Germania ricopre la presidenza di turno dell'Ue), ha annunciato il rifiuto dei diplomatici europei a partecipare mercoledì prossimo alla celebrazione del quarantennale della «riunificazione di Gerusalemme» nel Parlamento israeliano, la Knesset. Anche l'ambasciatore degli Stati Uniti in Israele, Richard Jones, ha poi fatto sapere che non sarebbe stato presente.
L'invito inoltrato da Israele agli ambasciatori sarebbe stato interpretato come un tentativo di ottenere un riconoscimento dell'attuale realtà di Gerusalemme. Pertanto i Paesi Ue, che mantengono le ambasciate a Tel Aviv proprio per il problema di Gerusalemme Est, hanno deciso il boicottaggio. L'Ue resta orientata a definire nell'ambito negoziale tutti i contenziosi tra Israele e Palestina. Fonti diplomatiche e della Commissione europea confermano che nell'Ue non si sarebbe nemmeno aperta una discussione sull'invito israeliano agli ambasciatori. E che l'ufficializzazione della protesta sarebbe avvenuta a livello locale per rimarcare in modo netto l'indisponibilità a prendere in considerazione qualsiasi pressione di Israele sull'argomento Gerusalemme.
Già oggi il Consiglio dei ministri degli Esteri dell'Ue ha in programma di rilanciare il processo di pace in Medio Oriente partendo dalle conclusioni del vertice di Riad in Arabia Saudita, promosso dalla Lega araba. Per questo attende a Bruxelles il segretario della Lega araba Amr Mussa, accompagnato dai ministri degli Esteri di Arabia Saudita, Libano, Marocco, Giordania, Siria e Autorità palestinese.
Le autorità israeliane non hanno nascosto l'irritazione di veder svanire l'aspettativa della partecipazione dei diplomatici Ue alla cerimonia nella Knesset. Il sindaco di Gerusalemme, Uri Lupoliansky, ha invitato il governo a contestare apertamente il rifiuto internazionale di riconoscere Gerusalemme come capitale di Israele. Critiche dure sono state indirizzate contro la Germania. L'esponente del partito Kadima Yoel Hasson ha chiesto di rimpatriare l'ambasciatore tedesco se non si dimostrerà disponibile «a onorare la capitale riunificata della nazione ebraica». Il ministro per le questioni di Gerusalemme, Yaakov Edri, si è dichiarato «sorpreso» nel vedere la Germania organizzare il boicottaggio dei diplomatici europei e ha detto di sperare che alcuni Paesi Ue possano ancora inviare loro rappresentanti alla cerimonia di mercoledì. Il programma dei festeggiamenti organizzati dal governo israeliano per il quarantennale della «riunificazione di Gerusalemme» prevede una settimana di eventi. La sinistra israeliana e organizzazioni di pacifisti si stanno mobilitando per contrastarli con contro-manifestazioni che denunciano «l'occupazione di Gerusalemme Est».

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