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Il Foglio Rassegna Stampa
10.05.2007 Ayaan Hirsi Ali, "l'infedele" in fuga dall'islam
ha trovato rifugio in America, ora arriva in Italia a presentare il suo libro

Testata: Il Foglio
Data: 10 maggio 2007
Pagina: 2
Autore: Giulio Meotti - Christian Rocca
Titolo: «LA VITA AMERICANA DI AYAAN HIRSI ALI - “L’Infedele” ci racconta il debito con Oriana Fallaci»
Dal FOGLIO del 10 maggio 2007 un ritratto di Ayaan Hirsi Ali, scritto da Giulio Meotti:

Dopo gli attacchi dell’11 settembre, la piccola porta nello stanzino della mia mente, dove buttavo i miei pensieri critici, si spalancò e non volle più chiudersi”. La mattina dopo l’11 settembre, Ayaan Hirsi Ali camminava con Ruud Koole, capo dei laburisti e suo insegnante a Leiden. Iniziarono a parlare delle Torri gemelle. Ruud disse: “Mi sorprende che tutti siano convinti che ci sia di mezzo l’islam”. Ayaan non si trattenne. “Ma c’e di mezzo l’islam”. Mohammed Atta aveva la sua età. “Era come se lo conoscessi, di gente come lui ne conoscevo tanta. Non era soltanto colpa di una banda di architetti egiziani frustrati. Era molto più. E non aveva nulla a che fare con la frustrazione. C’era di mezzo la fede”. Fu all’insegna di una ferita e alla domanda “che fare?”, che questa somala cresciuta scandendo le parole “Assalamu alaykum wa Rahmatullahi wa barakatuhu” (la litania somala di ringraziamento ad Allah) sviluppò la sua passione per l’America. “La libertà non si ottiene gratis” ha detto. Una lezione che gli afroamericani conoscono così bene che l’hanno premiata con la medaglia Martin Luther King. Ma più in generale, una lezione americana. Il suo primo incontro con gli Stati Uniti fu in California nel 1992. Ayaan capì in fretta che i suoi pregiudizi erano ridicoli e infondati. “Mi aspettavo gretti conservatori e gente grassa armata fino ai denti, poliziotti aggressivi e razzismo sfacciato: una caricatura di una caricatura”. Oggi uno dei suoi migliori amici a Washington, dove Ayaan vive da qualche parte scortata come un capo di stato, è il provocatore Christopher Hitchens. Si incontrarono a un convegno in Svezia. Lui l’avrebbe difesa tre volte sulla stampa: dopo l’omicidio di Theo van Gogh, dagli attacchi di gente come Timothy Garton Ash e dopo la fuga dalla “vergognosa Olanda”. “E’ un piacere accoglierla a Washington” disse Hitchens nel suo affettato accento inglese. In comune hanno la passione per Thomas Jefferson e il laicismo. Lunedì Ayaan lo ha accompagnato a un dibattito con Al Sharpton. Ayaan lavora all’American Enterprise Institute, il pensatoio neoconservatore vicino all’Amministrazione Bush, si occupa di medio oriente, islam, diritti umani e terrorismo. E’ assistita dagli instancabili Ashley Morrow e Jurgen Reinhoudt. Sono i due crumiri che le organizzano incontri con stampa e televisioni di mezzo mondo. Da Anne Applebaum a Mark Steyn, la dissidente somala autrice di “Infedele” (Rizzoli) ha incassato il plauso degli editorialisti che fanno opinione. L’irachena Lorraine Ali di Newsweek invece l’ha ferocemente attaccata: “E’ ironico come questa sedicente ‘infedele’ spesso appaia recisa e reazionaria quanto i fanatici che tanto strenuamente ha osteggiato”. Per non parlare dello sfregio dell’Economist, la cui mentalità mandataria mal si adatta alle idee dell’“apostata”. In generale, è stato un tripudio: “Principessa della libertà”, “Voltaire musulmana”, “Crociata delle donne”, “Liberatrice islamica” e via dicendo. Altri la chiamano “nuova Betty Friedan”, ma molto più bella. Time Magazine l’ha incoronata fra le cento persone più influenti al mondo e pochi altri hanno ricevuto due lunghissime recensioni sul New York Times. Due mesi fa la stampa olandese ha diffuso la notizia che neanche a Washington, città di esilio per tanti dissidenti dell’islam, a cominciare dal danese Flemming Rose, Ayaan è al sicuro. L’Aia non può proteggerla all’infinito. Così sta cercando di ottenere la cittadinanza americana. Senza protezione non potrebbe muoversi, anche se un oceano la separa e protegge dalle moschee che hanno reclutato Mohammed Bouyeri, l’assassino di Van Gogh nonché autore della lettera che ha segnato i giorni di Ayaan nei Paesi Bassi. Il governo americano non concede scorta a privati. O l’Fbi le darà una mano, come all’istituto molti dicono, o dovrà pagarsi la sicurezza. Ayaan mantiene rapporti stretti con gli scrittori olandesi Leon de Winter e Paul Scheffer; l’editore olandese Tilly Hermans e la femminista Cisca Dresselhuys. Senza dimenticare l’eurocommissario Frits Bolkestein, “il mio mentore”, e sua moglie Femke. Per lei avevano la porta sempre aperta in Olanda. L’American Jewish Committee le ha assegnato la medaglia al “Coraggio morale” (un anno prima fu data al dissidente iracheno Mithal Alusi). Motivo del riconoscimento, aver messo “la propria vita al fronte”. Ad applaudire c’erano anche Bush, Merkel, Olmert e Howard. Ayaan è stata invitata a parlare all’Università di Harvard. Un suo recente discorso a quella di Pittsburgh è stato accompagnato dal boicottaggio delle organizzazioni islamiste. “Ha diffamato l’islam, e quando lo fai deliberatamente, la sentenza è la morte” ha detto l’imam El Bayly. Sta lavorando a un nuovo libro, “Shortcut to Enlightenment”. Immagina di svegliarsi nella biblioteca di New York e analizzare le parole del Profeta alla luce della filosofia occidentale. Recente l’apparizione allo show dell’odioso Bill Maher, non si contano quelle su Fox News. Uno dei suoi migliori amici, che chiama “il nostro maestro”, è l’apostata Ibn Warraq, anche lui esule in America, autore del best seller che ha venduto milioni di copie in tutto il mondo “Why I am not a muslim”, su cui pende una fatwa. Con lui ha lanciato un manifesto sottoscritto da Bernard-Henry Levy: “Dopo aver vinto fascismo, nazismo e stalinismo, il mondo ha di fronte una nuova minaccia globale totalitaria: l’islamismo”. Forte il legame con l’antifemminista Christina Hoff Summers. “Ayaan è una donna formidabile” racconta Summers. “Una lottatrice illuminista contro le tenebre del mondo islamico. E una grande conversatrice, è un piacere fare shopping con lei. E’ piena di vita”. Le sue migliori amiche sono due lesbiche repubblicane di Los Angeles. “Tutti vogliono conoscerla. Un conservatore olandese come lei è un liberal qui. Per questo è molto amata dai democratici. E’ atea e individualista, ma il coraggio la fa amare da tutti noi. Ha introdotto nella cultura americana un nuovo tipo di femminismo”. Ha un desiderio: “Mi piacerebbe incontrare Hillary Clinton”. Scrive per quotidiani liberal come il Los Angeles Times. Epocale un editoriale sul negazionismo nel mondo islamico: “La stigmatizzazione del popolo ebraico, bollato come nemico giurato dell’islam, è stato il topos della mia infanzia in Arabia Saudita”. Oriana Fallaci la invitò nella sua casa di New York. “Ricordo una donna minuscola in un appartamento enorme. Mi supplicò di fare figli. ‘L’unico grande sbaglio della mia vita è stato quello di non avere un bambino’, disse. Alla sua morte provai pietà e vergogna per il modo in cui l’Italia l’aveva fatta vivere e morire. Sola come un cane”. Fra le sue relazioni ci sono la moglie del vicepresidente Cheney, Richard Perle, Christopher Caldwell (l’ha definita “figlia dell’illuminismo”), il filosofo Roger Scruton e lo storico Fouad Ajami. E Michael Leeden. “Si trova molto bene in un paese dove molti sono come lei” racconta Leeden. “All’istituto lavora circondata da gente che la adorano. Ayaan è già una star del firmamento americano. All’American Enterprise è una fantastica insegnante in un’università senza studenti. Rispetto all’Olanda, sembra libera, liberata”. Non ha abbandonato la verga linguistica che fu della sceneggiatrice di “Submission”, il film costato la vita a Van Gogh. Dopo aver fatto a pezzi la “teologia multiculturale”, in una gigantografia del Wall Street Journal denunciava l’ipernatalismo islamico: “I nazisti usarono le donne come incubatrici di soldati. L’islam lo sta facendo adesso”. Non è organica al neoconservatorismo, semmai è più del genere trasverale, stile Council on Foreign Relations, internazionalismo dei diritti umani (“relativisti culturali fiaccano il nostro senso di rabbia morale sostenendo che i diritti umani sono un’invenzione occidentale”). Propone di istituire un tribunale simile alla Corte di giustizia dell’Aia per processare i mortificatori delle donne, dai delitti d’onore all’infibulazione, di cui è stata vittima. “Spero che resti per sempre in America” dice Leeden. L’attore Fred Thompson, un altro repubblicano a cui Ayaan è legata, ha scritto che “molti europei vennero in America a causa della minaccia nazista, compresi scrittori e registi. Immaginereste che qualcuno di loro avesse bisogno della scorta? Ayaan sì, proprio qui in America. Ma molti non hanno capito contro chi siamo in guerra. Potrebbero se leggessero il suo libro”. Alla morte di Theo, era appena scoppiata una bomba vicino a casa sua, le guardie del corpo le diedero solo tre ore per fare i bagagli. Arrivarono in una base aerea dell’Aia, parcheggiarono sulla pista. “Mentre salivo sulla passerella mi sentivo stranamente calma”. Gli oblò erano chiusi, l’aereo pieno di soldati in divisa. Ayaan stava lasciando un paese in guerra. Atterrarono in una base nel Maine. Andarono in auto ad Andover, Massachusetts. I poliziotti olandesi affittarono alcune stanze in un lugubre albergo. “Rimanemmo lì per settimane. Secondo gli uomini della sicurezza in quel posto nessuno avrebbe potuto riconoscermi”. Fu così, in una gabbia dentro al paese più libero del mondo, una stanzetta sopra un cavalcavia guardata a vista dal controspionaggio olandese, che iniziò la storia d’amore fra una coraggiosa ragazza somala e gli Stati Uniti d’America, destino di libertà oltre che geografia.

Di seguito, un cronaca della conferenza di Ayaan Hirsi Ali per il Cato institute. Di Christian Rocca:

New York. Minuta, timida e protetta da due guardie del corpo, Ayaan Hirsi Ali è di una bellezza magnetica, capace di togliere il fiato perfino alla platea di ricchi uomini d’affari e austeri studiosi liberisti che, martedì mattina, l’ha invitata al Waldorf Astoria di Manhattan come ospite d’onore del “Seminario 2007” del Cato Institute, il principale think tank liberale d’America. L’amica e collega del regista olandese Theo van Gogh ha detto di trovarsi perfettamente a suo agio davanti a quattrocento libertari e liberisti. Ma avrebbe preferito trovarsi davanti a quattrocento musulmani, ai quali avrebbe spiegato perché l’islam fa male innanzitutto a loro stessi. Ayaan Hirsi Ali è una donna laica ed europea, costretta a riparare in America, all’American Enterprise Institute, a causa di quel relativismo culturale che lei stessa ha definito come uno dei pericoli maggiori per la civiltà occidentale. Il modo in cui Ayaan parla di religione, di cristianesimo e di islam, definiti “due superstizioni”, è distante dal modo di pensare degli americani, abituati – come ha ricordato lei stessa – a non criticare mai la religione, in omaggio alla propria storia e al politicamente corretto. Le parole della Ali sono sembrate forti anche per una platea libertaria e newyorchese come quella del Cato. Quando affronta il tema, l’autrice di “Infedele” respinge la tesi di un islam in sé buono e pacifico, rovinato e dirottato da gruppi estremisti o ayatollah fondamentalisti. “L’islam – ha detto Ali – è nemico della libertà, come dottrina. Si basa sulla schiavitù, sulla sottomissione, fa prevalere la sfera collettiva su quella individuale. L’individuo non esiste, se non come fantasia che permette di sopravvivere dentro il sistema. Io a questo sistema mi sono ribellata”. Ayaan Hirsi Ali parla come un’Oriana Fallaci pacata e serena (al Foglio ha detto che “dobbiamo molto a Oriana, una donna coraggiosa e saggia, il cui lavoro spesso non è stato capito”). Al contrario di molti laici delle due sponde dell’Atlantico, la Ali però non è preoccupata dall’estrema religiosità della società americana: “In questi sette o otto mesi in cui ho vissuto qui, non mi sono imbattuta in questa famosa religiosità americana, del resto questo è un paese dove si è liberi di socializzare con chi si vuole e io semplicemente ho scelto di non frequentare persone religiose”. La forza dell’America, ha detto, è quella di “una società civile forte, non dipendente dallo stato e molto attenta e vigile. Non mi pare un gran problema se in Alabama è difficile abortire o non vedono di buon occhio le relazioni gay, si è comunque liberi di prendere un autobus e abortire o vivere poco più in la”. C’è da stare all’erta, piuttosto, per il tentativo di “indottrinare i bambini con la superstizione creazionista” e per il pericolo costituito da chi, in America, si converte all’islam: “Bisogna preoccuparsene perché l’islam, come tutte le superstizioni, sa essere molto persuasivo”. (chr.ro)

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