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La Repubblica Rassegna Stampa
10.05.2007 "Perché gli ebrei virano a destra ? " Un falso problema
Gad Lerner si chieda piuttosto perché la sinistra è antisraeliana

Testata: La Repubblica
Data: 10 maggio 2007
Pagina: 1
Autore: Gad Lerner
Titolo: «Perché gli ebrei virano a destra»
Mette insieme cose che non c'entrano nulla Gad Lerner nel suo editoriale "Perché gli ebrei virano a destra".
La presa di posizione del rabbino Di Segni sui Dico e la contestazione della comunità italiana in Israele al presidente della Camera Fausto Bertinotti.
E confonde la contestazione di una posizione politica sbilanciata e ingiusta (quella del governo italiano e della sinistra radicale di cui Bertinotti continua e essere un leader, comportandosi come tale)
 con una generale trasformazione in senso conservatore dell'ebraismo italiano. Ma Sergio Della Pergola, il cui duro testo sui rapporti tra sinistra italiane ed ebrei è stato letto a Bertinotti, è un uomo di sinistra. Il problema non è "perchè gli ebrei vanno a destra ?", dato che tra gli ebrei, come in ogni altro gruppo umano, c'è chi si colloca a destra e chi a sinistra, ma piuttosto "perché la sinistra italiana non riesce a liberarsi dei suoi pregiudizi verso Israele ? "
Porre questa questione, anche chiedendo che chi ha assunto le posizioni più estreme e irresponsabili non assuma responsabilità di governo, non è, contrariamente a quanto pensa Lerner,  una "pratica spicciola", una "rappresentanza sgradevole" che rinuncia a "testimoniare valori" per "selezionare politici amici".
Il diritto all'esistenza e all'autodifesa di Israele, la resistenza all'aggressione del fondamentalismo e del terrorismo, la difesa di una democrazia circondata da dittature non sono forse valori ?

Ecco il testo dell'articolo:


Ebrei italiani: laicità addio? Che il rabbino capo di Roma esprima la sua contrarietà religiosa alle unioni omosessuali non suscita certo scalpore. Ma chiunque conosca appena la storia della comunità ebraica italiana simboleggiata da personalità come Elio Toaff e Bruno Zevi, senza bisogno di evocare l´"eretico" Primo Levi, rimane interdetto dall´ultima copertina del mensile "Shalom" che recita dubbiosa: "La famiglia è ancora un valore: DICO sì o DICO no?". Inutile nascondersi dietro al dito della libertà di scelta e del pluralismo interno. Qualcosa è accaduto, ben al di là di un riposizionamento politico. Varrà la pena di ricordare che solo due anni fa i portavoce delle comunità tennero un´apposita conferenza stampa per dichiarare inaccettabile la propaganda astensionista della Cei sul referendum abrogativo della legge 40 in materia di procreazione assistita.
Un invito a votare (senza vincoli ma con una preferenza per il Sì) formulato nel nome di una funzione storica irrinunciabile dell´ebraismo italiano: la difesa del principio di laicità dello Stato. Fin dai tempi della loro emancipazione, infatti, gli ebrei italiani vigilano sulle tentazioni clericali a uniformare legge e dottrina, di cui le minoranze religiose sono state le prime vittime nel corso della storia.
Sarà mai possibile che la leadership dell´ebraismo italiano arretri da quel punto fermo? Magari con la scusa d´inaugurare un bel dibattito sul valore della famiglia, incentrato sull´esegesi biblica? Strano davvero: ricordo che i più noti portavoce comunitari, fino a non molto tempo fa, militavano o simpatizzavano per il Partito radicale…
Temo che la metamorfosi in atto nei codici dell´affiliazione comunitaria, abbia molto a che fare col bisogno irrefrenabile di caricare a testa bassa Fausto Bertinotti rivelato martedì scorso nella sinagoga italiana di Gerusalemme. Incuranti - gli autori di quella provocazione voluta e ben calibrata - della veste istituzionale che avrebbe impedito al presidente della Camera una replica nel merito. Perché ai contestatori premeva esprimere sdegno. Dire in faccia alla sinistra che ormai gli ebrei possono farne senza, trovando essi altrove il cemento di una rinnovata appartenenza: nello Stato d´Israele e, solo dopo, nei precetti e nella tradizione religiosa (anche nel mondo ebraico vanno forte gli atei devoti).
Altrove, per l´appunto. Altrove dal principio di laicità e dal discrimine antifascista, percepiti ormai come retaggi di un´epoca storica superata. Amici e nemici da riconsiderare alla luce della guerra contemporanea, e pazienza se li conteremo su sponde politiche e religiose diverse dal passato: l´importante è che ci tutelino. La forza dell´autodifesa, poi, ce la metteranno i nostri laggiù (anche nel mondo ebraico va forte l´"armiamoci e partite"). Il punto di vista di chi preferisce l´ebraicità alla laicità, e l´autosufficienza alla diplomazia, naturalmente rappresenta solo una corrente di pensiero. Una componente, in Italia così come in Israele, minoritaria ma dotata di forte coesione interna. Per esempio la posizione del rabbino Di Segni sulle unioni omosessuali non corrisponde al diritto civile vigente nello Stato d´Israele.
Lo stesso rito di politica italiana celebrato nella sinagoga di Gerusalemme evidenzia l´inedita natura globale della controversia. Superata appare la distinzione fra ebrei della diaspora e ebrei israeliani. Le persone vanno e vengono, le sensibilità familiari s´incrociano. Ma comune è pure l´amnesia culturale da cui sono afflitti questi difensori di un´identità minacciata: vincolati a un´appartenenza esclusiva dal loro stato d´animo esacerbato, rinunciano a quella nozione universalistica di cittadinanza (uguali diritti per tutti) che pure ha rappresentato nei secoli la meta agognata degli ebrei.
Quando parlo di metamorfosi nei codici d´affiliazione mi guardo bene dall´affermare che prima c´erano gli ebrei buoni e ora ci sono gli ebrei cattivi. L´ebraismo è sempre stato e sempre resterà una presenza scomoda, difficile da decifrare, impossibile da collocare. Soprattutto per la sinistra. Il fastidio sempre meno dissimulato da Massimo D´Alema, quel suo vezzo di dispiacere agli ebrei, ne rappresenta per certi versi la conferma. E combacia speculare col bisogno di contrapposizione polemica che anima la nuova leadership ebraica.
Solo che ora nell´apparente sforzo di compattezza rischia di manifestarsi un degrado identitario. La mortificazione inflitta alla cultura ebraica dal quotidiano posizionamento nelle miseriucce della politica italiana, a me pare evidente. L´impossibile tentativo di forgiare un ebraismo italiano da combattimento, alla lunga può svilirne la preziosa funzione critica e spirituale. Capita così talvolta di vedere l´ebraismo italiano ridimensionato alla stregua di un modesto gruppo di pressione. Con tutto il rispetto, già da tempo le brevi interviste rilasciate periodicamente dai portavoce in sostegno di quel tal sottosegretario o all´attacco di quel tal ministro - somministrando certificati di amicizia o inimicizia per Israele - rammentano pratiche spicciole da Confcommercio o da Coldiretti. Una forma di rappresentanza sgradevole e, temo, controproducente: le Comunità ebraiche non hanno il compito di selezionare politici amici ma di testimoniare valori.
Adesso la titubanza manifestata di fronte al disegno di legge governativo sulle convivenze, segnala il rischio di un arretramento ulteriore proprio sul terreno dei valori, tra i quali primeggia la laicità. Iscrivere l´ebraismo italiano a un fronte clericale, magari per convenienza momentanea, significherebbe snaturarlo.
La stessa lettura biblica, del resto, ci invita alla cautela in materia familiare. La generazione delle dodici tribù d´Israele, attraverso i dodici figli del patriarca Giacobbe, nel sacro testo prescinde allegramente da vincoli matrimoniali, etnici o di consanguineità. Non bastando le due mogli, Lia e Rachele, si misero con Giacobbe a procreare e a sfornare eredi legittimi pure le rispettive ancelle Zilpa e Bila (Genesi 29-30). Altro che i Dico delle povere Bindi e Pollastrini!

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