Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein".
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)
Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine.
Bertinotti resta antisraeliano incontra un deputato di Hamas, chiede sicurezza per Israele, ma ribadendo vecchi pregiudizi
Testata: Corriere della Sera Data: 10 maggio 2007 Pagina: 16 Autore: Gianna Fregonara Titolo: «Bertinotti freddezza a Ramallah Cita Auschwitz e "frena" Hamas»
Fausto Bertinotti ha parlato al Parlamento palestinese. Ha chiesto di riconoscere Israele come "una realtà", irreversibile dopo Auschwitz e la Shoah. E' certo positivo che al negazionismo del mondo arabo venga ricordata la realtà storica delle persecuzioni naziste, ma a Bertinotti andrebbe ricordato che la legittimità di Israele non dipende da esse. Il Presidente della Camera ha anche incontrato un membro di Hamas, legittimando come interlocutori politici i membri di un'organizzazione terroristica. Al governo palestinese controllato da Hamas, d'altro canto, vuole sia riaperto il flusso dei finanziamenti. Ha chiesto il rilascio degli israeliani rapiti e dei palestinesi incarcerati per terrorismo, come se si trattasse di situazioni simmetriche. Ha attribuito agli insediamenti israeliani in Cisgiordania un ruolo malefico ed esorbitante: "avere aperto una ferita che ha generato una malattia che avvelena il mondo intero" (così riferisce Anna Momigliano sul RIFORMISTA). La vera malattia del mondo si chiama fondamentalismo islamico, mentre con le sue parole Bertinotti conferma l'idea falsa, ingiusta e pericolosa che Israele sia la causa dell'instabilità mondiale. L'enfasi di Gianna Fregonara, sul CORRIERE della SERA del 10 maggio 2007, sui punti di attrito tra Bertinotti e i palestinesi, restituisce dunque un'immagine parziale e incompleta del discorso del persidente della Camera a Ramallah.
Ecco il testo dell'articolo:
RAMALLAH — All'inizio minaccia persino di alzarsi e andarsene: «Così non posso accettare». Si agita sulla sedia, allunga un bigliettino all'interprete, cerca di attirare l'attenzione. Il presidente ad interim del Consiglio legislativo palestinese Radwan Bahar, di Hamas, in collegamento da Gaza, si è avventurato in un comizio in cui, dopo aver augurato «buon 25 aprile agli italiani» e ricordato la vicinanza «del popolo italiano che è anche sceso in piazza contro il massacro di Jenin», chiede la liberazione dei parlamentari palestinesi «sequestrati» (una quarantina, compreso il presidente) che sono nelle prigioni israeliane. Fausto Bertinotti sa che il terreno è minato e che non può farsi imporre da Bahar quello che è l'appello finale per la pace: «Chiedo un gesto di buona volontà — è la conclusione che ha preparato per il suo discorso il presidente della Camera —, un atto di coraggio: la liberazione dei prigionieri e dei detenuti per dare una nuova fiducia reciproca per il futuro». Il presidente Bahar viene immediatamente oscurato su ordine del vicepresidente Hassan Kreische che siede accanto a Bertinotti. Basta un clic e cade il collegamento con Gaza, mentre i parlamentari mormorano. Dai Territori tentano di collegarsi nuovamente. Intanto il presidente della Camera prende la parola e snocciola le sue idee per la pace. Un misto di proposte, provocazioni e concessioni per i deputati attoniti: citare cinque volte la formula «due popoli, due stati», chiedere e insistere sul riconoscimento di Israele sul «bisogno di sicurezza e di futuro del popolo di Israele», che ha subìto la Shoah in un Parlamento che non sopporta neppure di nominare il nemico, e parlare di Auschwitz a Ramallah non è una passeggiata. Ha preparato bene la sua venuta qui, Bertinotti. Sa che procede sul filo dell'acrobata: è il primo presidente di un Parlamento a parlare in un'Aula dove la metà degli eletti o sono in galera o sono considerati terroristi in Occidente in quanto espressione di Hamas. Ha rifiutato di andare nella sede di Gaza perché lì non sarebbe sfuggito all'abbraccio collettivo con i membri di Hamas. Qui a Ramallah c'è solo un deputato, lo sceicco Ahmed al Bitawi, che gli viene incontro. Bertinotti non si sottrae, ascolta e replica: «Il passato è passato, non resta che la trattativa». Scattano i flash. Accompagnato in Aula anche dalla signora Lella, Bertinotti precisa subito che sta parlando non «a nome del governo italiano», ma a nome del «Parlamento e di tutte le forze politiche che vi sono rappresentate», anche se è difficile immaginare che le sue richieste siano condivise da tutti in Italia. Come quando a proposito della povertà parla «dell'occupazione dei coloni della terra palestinese che ha aperto una ferita da cui sono usciti i germi che colpiscono la società», o quando chiede il riconoscimento del «governo di unità nazionale che sia messo in condizione di lavorare altrimenti tutto può precipitare» o fa un appello allo sblocco dei finanziamenti da parte della comunità internazionale. Ma Bertinotti tratta con una certa durezza il Parlamento palestinese. Al quale chiede di ammettere che «dopo Auschwitz l'esistenza di Israele è una realtà, ma anche un luogo dello spirito e per questo, lo dico con il cuore in mano a voi che conoscete la diaspora senza colpa, c'è una sola via: due stati per due popoli che vivano vicini in pace e democrazia». Il discorso finisce nella freddezza generale, non basta che Bertinotti citi Arafat e per parlare degli Stati Uniti senza nominarli si riferisca al piano di pace di «potenze su scala mondiale». Da Gaza riprende a parlare Bahar, ma qui a Ramallah lo ignorano. Il ministro dell'Informazione Mustafa Bargouti rincorre Bertinotti: «Sei stato molto coraggioso».
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