Non dobbiamo temere l'Iran ma il "terrorismo" americano, non dobbiamo aspettarci che il regime totalitario degli ayatollah cambi, ma che proseguano i tentativi secolari di "riformare" il paese, lasciando ben saldi al potere, ora che ci sono, glie redi di Khomeini.
Nell'intervista a Farian Sabahi per la STAMPA l’ex presidente iraniano Mohammad Khatami si rivela pienamente per quello che è: un propagandista del regime impegnato a fornirne in Occidente un'immagine abbellita.
Peccato che Sabahi conduca l'intervista quasi con deferenza, non scopra mai il gioco del suo interlocutore con una domanda scomoda e taccia persino di fronte alla difesa della proibizione dell'omossessualità per legge e della discriminazione della donna in nome della sharia (fonte delle costituzione iraniana)
Ecco il testo:
L’Occidente non deve temere l’Iran perché è un Paese che vuole crescere e, come dimostra la storia del Novecento, non ha l’abitudine di invadere gli Stati confinanti», dichiara l’ex presidente iraniano Mohammad Khatami, oggi direttore dell’Istituto internazionale per il dialogo tra le culture e le civiltà. «L’Iran è in grado di influenzare l’Iraq e il Libano ma non vi interviene direttamente. E infatti all’inizio della crisi afgana abbiamo dato il nostro contributo. Vogliamo la stabilità della regione e combattiamo il terrorismo di cui siamo le prime vittime».
Alle preoccupazioni sul nucleare iraniano Khatami ha risposto facendo ricorso a tutta la diplomazia che aveva a disposizione: «La tecnologia nucleare è molto utile nella vita odierna, prima che possa diventare una bomba. Ma fa tremare le persone, e il solo nominare questa parola può contaminare tutto l’ambiente. Anche le amicizie». Secondo Khatami «la soluzione alla crisi attuale è, una volta chiariti i malintesi, l’accettazione del nostro ruolo da parte della comunità internazionale». Parliamo in una sala del ristorante Savini di Milano, nella galleria Vittorio Emanuele che all’ex presidente iraniano ricorda «un antico bazar». Poco prima Khatami si era concesso a un gruppo di giovani iraniani, accorsi numerosi alla tavola rotonda organizzata all’Università Cattolica di Milano. A sorpresa, l’ex presidente riformatore ha chiesto al pubblico di porre un paio di domande.
«Vorrei che a prendere il microfono fossero due studenti, un maschio e una femmina». A quel punto si è alzata in piedi una bella ragazza decisamente poco vestita rispetto agli standard islamici. E gli ha chiesto, in persiano e senza mezzi termini, «come possiamo difendere i loro valori, spesso disprezzati, quando il nostro paese gode di pessima stampa e siamo umiliati perché cittadini di uno Stato canaglia?».
«Alcune delle critiche occidentali nei nostri confronti possono essere corrette», risponde Khatami. «Per esempio quando si sostiene che in Iran gli omosessuali non sono liberi di esprimere il loro orientamento sessuale. Ma le nostre radici non ci permettono di accettare ogni cosa e lo stesso vale per la cultura cristiana. Le culture sono contagiose e dall’Occidente noi possiamo imparare il rispetto dei diritti umani. E infatti durante la mia presidenza nessuno è stato condannato a morte per lapidazione
Nessuno per lapidazione. E in altri modi ? Perché Sabahi non formula questa semplice domanda ?
e sono state eliminate le discriminazioni nei confronti delle minoranze cristiana, ebrea e zoroastriana».
«Nel quadro giuridico offerto dalla nostra costituzione», continua Khatami, «dobbiamo promuovere il valore delle donne, mettendole in condizione di dimostrare il loro talento e accettare responsabilità sociali e quindi anche incarichi di prestigio, pure in politica. La nostra cultura deve recepire la democrazia, che non si può imporre con una circolare ministeriale. Ci vuole tempo e dopotutto l’Occidente ha impiegato secoli e vissuto massacri prima di far propria la democrazia».
Da cosa è causato il ritardo dell’Iran? «Il parlamento iraniano ha oltre cent’anni ma il nostro sistema politico ha partorito i peggiori tiranni. E non dobbiamo vergognarci di ricordare ai Paesi occidentali le fasi storiche in cui hanno esercitato la loro ingerenza nei nostri confronti e che oggi il terrorismo nasce dalla guerra preventiva scatenata dagli americani». La separazione tra Stato e Chiesa non è però, secondo Khatami, un passo obbligato: «Abbiamo tanta strada da fare, meglio porre l’accento sulla democrazia. La religione deve moralizzare la politica perché i politici rincorrono il potere. Il richiamo dei Profeti è un richiamo alla giustizia e, come affermava il maestro Motahhari, essa è tra i valori più alti. E quindi tutto quello che non è giusto non è religioso. Una religione che si oppone alla libertà, anziché alla povertà e alle discriminazioni, non è una vera religione».
Secondo Khatami «la religione può liberare dall’oppressione», ma in Iran è in atto una rivoluzione culturale che colpisce la società civile. Sabato Hossein Mousavian è stato accusato di spionaggio a favore della Germania. Durante la presidenza di Khatami, era uno dei negoziatori sul nucleare. Vicino all’ex presidente Rafsanjani, Mousavian è quindi vittima dei conflitti interni alla Repubblica islamica. E due giorni fa il fumettista Nureddin Zarrinkelk, professore di belle arti, si è giocato la carriera: ha chiesto agli studenti in aula di disegnare degli angeli, uno di loro li ha ritratti calvi e una ragazza ha difeso questa decisione. A quel punto Zarrinkelk le ha chiesto se anche lei era calva e portava il chador per nasconderlo.
Per provocarla il docente l’ha toccata facendole uscire una ciocca di capelli. Accusato di avere insultato il velo, è stato licenziato.
Quale futuro può esserci per il movimento riformista finché resta in carica il presidente Ahmadinejad? «Nonostante i problemi recenti, le riforme non dipendono da un individuo in particolare. Sono cent’anni che gli iraniani cercano di riformare il loro Paese e finché esiste l’Iran ci sarà anche il movimento riformista. Ci sarà un futuro migliore solo se disarmiamo i violenti». Khatami sorride, mi guarda dritto negli occhi e stringe forte il braccio con cui reggo il microfono. Un gesto spontaneo, di invito alla speranza ma lontano dai rigidi protocolli della Repubblica islamica.
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