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La Stampa Rassegna Stampa
08.05.2007 Netanyahu e Barak chiedono le dimissioni di Olmert
la cronaca di Francesca Paci

Testata: La Stampa
Data: 08 maggio 2007
Pagina: 15
Autore: Francesca Paci
Titolo: «Olmert, accerchiato nel Palazzo»

Dalla STAMPA dell'8 maggio 2007:

All’angolo tra Aza street e Keren Hayesod, cuore borghese della città dove vive il premier Ehud Olmert, sono accampate una quindicina di persone, tenda, sedie pieghevoli, termos e un paio di computer portatili. Tre giorni fa, dopo la pubblicazione del rapporto Winograd sulla gestione della seconda guerra del Libano, piccoli gruppi di israeliani si sono incamminati a piedi sull’autostrada che collega Tel Aviv a Gerusalemme, alla maniera degli hobos, i vagabondi della depressione americana, per raggiungere la capitale e chiedere le dimissioni del primo ministro. Con loro, in sit-in permanente, c’è anche il deputato laburista Ophir Paz-Pines, convinto che Olmert «non può più pensare di tornare al lavoro come se niente fosse successo».
Fino adesso a pronunciarsi esplicitamente contro il premier era stata la piazza. La grande manifestazione affollata e meticcia di venerdì scorso a Tel Aviv, con sfumature dalla destra alla sinistra estrema, e le tante micro, quotidiane, situazioniste alla Paz-Pinez. Sul lunotto posteriore delle vetture di Gerusalemme, Haifa, Jaffa, erano comparsi gli adesivi «Stop Olmert», una protesta silenziosa, individuale e permanente, retaggio della naivitate kibbutzina. Adesso parlano i politici. E non solo i duri come il laburista Eitan Cabel, l’unico, per ora, ad aver lasciato l’incarico.
Dagli banchi opposti della Knesset Benjamin Netanyahu ed Ehud Barak, la testa del Likud e l’anima del partito laburista, si sono uniti al coro della strada. Da giorni i cartoonist li disegnavano insieme, una coppia di monaci a testa bassa, chiusi nel mutismo claustrale e intenti a meditare chissà quali verità. Il leader dell’opposizione che i sondaggi danno in testa al gradimento degli elettori è stato il primo a infrangere il silenzio: «Olmert deve assecondare il desiderio degli israeliani e andar via», ha detto ieri Netanyahu commentando la bocciatura delle tre mozioni di sfiducia contro il governo presentate dal Likud, dall’estrema sinistra di Meretz e dagli ultraordossi.
Un’affermazione condivisa nella sostanza da Barak, favorito alle primarie del Labour e potenziale alleato chiave del premier in carica. Nella sostanza non nella forma. A microfoni aperti infatti, Barak ha dichiarato di non voler entrare in un governo guidato da Olmert anche se questo significasse la fine la maggioranza, ma nei corridoi della Knesset si racconta un’altra storia. L’ex primo ministro sarebbe disposto a sostenere il collega a condizione che sia a tempo determinato. Fino all’estate? Tutti, più o meno dichiaratamente, auspicano una ritirata di Olmert: il leader del Meretz Yossi Beilin ha raccontato di conversazioni private con i colleghi di Kadima che lo considerano «una minaccia per Israele».
Eppure nessuno ha voglia di andare alle urne. Tzipi Livni, per alcuni impacciata debuttante della politica per e per altri erede ideale di Golda Meir, ha fatto un passo indietro. Dopo essersi di fatto candidata alla successione, a rischio del licenziamento, ieri ha incontrato il premier per un faccia faccia. Il primo dai giorni del grande freddo. In teoria si discuteva di Gaza, in pratica della sopravvivenza di questo governo.

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