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La Stampa Rassegna Stampa
07.05.2007 Due popoli e due Stati, ma cambiando i confini
ridisegnare le mappe del Medio Oriente per rendere possibile la pace

Testata: La Stampa
Data: 07 maggio 2007
Pagina: 17
Autore: Francesca Paci
Titolo: «Una lezione di geografia per rifare il Medio Oriente»
Da La STAMPA del 6 maggio 2007:

E se la soluzione al conflitto tra israeliani e palestinesi non avesse chance all’interno dei suoi confini? Se l’ipotesi «due popoli e due Stati», cuore di ogni trattativa di pace, dalla Road Map all’iniziativa saudita, non fosse geograficamente praticabile? Se una regione grande quanto la Lombardia non potesse fisicamente ospitare 11 milioni di persone, 7 milioni e mezzo di israeliani e 3 milioni e mezzo di palestinesi, per quanto separati da frontiere? Mentre l’esercito israeliano continua la caccia ai miliziani della Jihad islamica, gli abitanti di Sderot guardano cupi i razzi Qassam lanciati anche ieri da Gaza e il Paese, provato dal rapporto Winograd, attende con apprensione un’altra guerra estiva, ambienti dell’esercito e del mondo accademico lavorano a un piano di pace alternativo che coinvolga in modo concreto Egitto, Giordania e Arabia Saudita e ridisegni la carta del Medio Oriente.
«Tra il Mediterraneo e il Giordano non c’è abbastanza spazio per noi e per i palestinesi, due popoli e due Stati su una superficie del genere sono inimmaginabili», spiega il generale Giora Eiland. 55 anni, ex capo del consiglio di sicurezza nazionale del premier Sharon e di Olmert, è stato uno dei protagonisti dello sgombero di Gaza nel 2005 ma in seguito l’ha riletto come un errore strategico, che «non garantirà stabilità a lungo termine». Neppure se Olmert rendesse il 97% della Cisgiordania, nota, la tregua diventerebbe pace: «Oggi il massimo che qualsiasi governo israeliano possa concedere senza essere cancellato non è neppure il minimo di quanto la controparte palestinese potrebbe accettare per sopravvivere».
La soluzione è all’esterno. I Paesi arabi circostanti fanno a gara ormai nel ruolo di mediatori. Perfino il presidente pakistano Musharraf si è candidato, tentato dal prestigio che ricaverebbe dal risolvere la causa musulmana per eccellenza. Ma Islamabad è lontana. Egitto, Giordania e Arabia Saudita invece sono qui: cosa hanno da offrire al di là delle buone intenzioni? Il generale Eiland va diretto all’obiettivo: «La terra». E se ne lasciassero un pò ai palestinesi? Israele s’incaricherebbe di una compensazione economica e simbolica.
Il piano c’è, è stato studiato da esperti come il professor Yehoshua Ben-Arie, docente di geografia all’università di Gerusalemme. Ma sui dettagli le bocche sono cucite. Solo per vie trasversali si apprende qualche particolare. Per esempio: l’Egitto cede un fazzoletto di Sinai (meno dell’1%) oggi disabitato e ottiene da Israele un corridoio di collegamento con la Giordania nella parte bassa del Negev, vicino a Eilat. La Striscia di Gaza triplica la sua supericie, guadagna lo spazio per un porto e un aeroporto internazionali, diventa il canale economico tra il Mediterraneo e la penisola Arabica. L’Autorità Nazionale Palestinese in cambio lascia a Israele il corrispettivo del territorio guadagnato, gli insediamenti intorno a Gerusalemme abitati da circa 130 mila persone, nodo indistricabile per qualsiasi premier.
La questione è simbolica, ovviamente. Ma non solo. Ci sono il problema di Gerusalemme e il ritorno dei profughi, ma Eiland ritiene che arrivati a questo punto la terra sia più importante delle idee astratte: «Noi chiediamo la fine del terrorismo per sederci al tavolo delle trattative e loro chiedono la piattaforma delle trattative per interrompere la violenza. Risultato, stiamo tutti in piedi». Intorno alla cartina invece, ci si può accomodare con vantaggi reciproci. Per israeliani e palestinesi pacificati; per l’Egitto, che torna leader dei Paesi arabi; per la Giordania, che al prezzo di un lembo di deserto all’altezza del mar Morto blocca l’alluvione di immigrati palestinesi; per l’Arabia Saudita, da mesi grande sponsor del dialogo, che disinnesca un ordigno pericoloso per la sua stabilità interna. Studiosi e militari sono convinti che possa funzionare: l’intero Medio Oriente in fondo è un’invenzione geografica.

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