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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
06.05.2007 Se si tratta di mettere Israele sotto accusa Sergio Luzzatto è sempre pronto alla chiamata
ovvero come l'auto-odio produce solo danni

Testata: Corriere della Sera
Data: 06 maggio 2007
Pagina: 30
Autore: Sergio Luzzatto
Titolo: «Manca un re per la pace in Israele»

Riportiamo soltanto per dovere di completezza dell'informazione il pezzo di Sergio Luzzatto dal CORRIERE della SERA di oggi, 06/05/2007,a pag.30. La cui sostanza è l'ennesima analisi della situazione israelo-palestinese vista unicamente come se la responsabilità fosse solo dello Stato ebraico. Mai una parola sull'altra parte, se le cose non procedono l'imputato è Israele. Di queste mosche cocchiere ne sono piene i giornali. Non va dimenticato che Luzzatto è stato il primo grande sponsor di quella operazione disgustosa che è stata la reclamizzazione del  libro di Ariel Toaf. Se cè da sparlare di Israele, raffazzonare luoghi comuni, prediche da bar Sport, possiamo starne certi, Sergio Luzzatto non manca mai.

Ecco il pezzo: 


"In questo nostro tempo, non c'è un re in Israele; la nostra leadership è inesistente». Così si esprimeva lo scrittore israeliano David Grossman nel discorso da lui pronunciato in memoria di Yitzhak Rabin, a Tel Aviv, il 4 novembre 2006. Dove la trasparente allusione a un versetto biblico valeva da artificio retorico per introdurre una critica devastante del governo Olmert e, in generale, della classe politica e militare al potere in Israele.
Oggi, dopo le severe conclusioni del rapporto Winograd sugli errori del premier Olmert e del ministro della Difesa Peretz nella conduzione di quella guerra, le parole di Grossman riecheggiano come una diagnosi profetica. Davvero «non c'è un re in Israele». Quand'anche Olmert e Peretz dovessero riuscire a restare a galla, comunque la crisi di legittimità della classe di governo — e delle istituzioni stesse dello Stato ebraico, fino alla presidenza della Repubblica — ha raggiunto un livello eccezionalmente grave. Sei mesi dopo un discorso che poteva apparire come lo sfogo disperato di chi nell'ultima guerra del Libano aveva perduto un figlio, non sussistono margini di dubbio: David Grossman aveva ragione, Israele è malato come forse mai nei suoi sessant'anni di storia. Privata del carisma personale di Ariel Sharon, l'operazione Kadima, cioè la nascita da una costola del Likud di un partito politico tendenzialmente centrista, si va rivelando una scommessa perigliosa. Guidata da Netanyahu, la destra tradizionale sta rialzando la voce, mentre la sinistra laburista appare indebolita dalla performance di Peretz ai vertici della Difesa. Davvero «la leadership è inesistente».
Eppure, il discorso di Grossman del 4 novembre scorso non conteneva soltanto una drammatica diagnosi sulla situazione di Israele. Conteneva anche una prognosi, ed era una prognosi che lasciava aperto uno spiraglio. A questa si deve oggi guardare, nella misura in cui lo scrittore si dimostrava capace di prescrivere al Paese infermo un protocollo terapeutico. Seguendo il quale, lo Stato ebraico può sperare di risollevarsi dalla crisi che lo attanaglia.
Il primo stadio della cura consiste in un'applicazione coerente del principio del dialogo. La risposta della democrazia israeliana al prevalere di Hamas in Palestina non può ridursi a una politica intermittente del bastone e della carota. Deve diventare un investimento convinto, e prolungato nel tempo, sulle componenti moderate della società palestinese. E deve muovere da un'autocritica di Israele rispetto alla politica condotta per decenni nel Territori. Secondo l'accorato appello rivolto da Grossman a Olmert: «Signor Primo Ministro, per una volta, non guardi ai palestinesi attraverso il mirino di un fucile o la garitta di un posto di blocco: vedrà un popolo non meno straziato del nostro. Un popolo occupato, oppresso, privato di ogni speranza».
Il secondo stadio della cura consiste nel superamento dell'idea secondo cui il problema della collocazione di Israele nel Medio Oriente va risolto con una politica «di destra» oppure, viceversa, con una politica «di sinistra». Scaduto è il tempo per dividersi intorno a una colonia in più o a un kibbutz in meno in Eretz Israel. Al di là delle tradizioni culturali, delle etichette ideologiche, delle appartenenze partitiche, una maggioranza di cittadini israeliani è oggi consapevole che l'unica soluzione del conflitto mediorientale risiede in una divisione della terra contesa. Finché non nascerà uno Stato palestinese, uno Stato cui Israele abbia riconosciuto confini geografici plausibili e prospettive economiche sostenibili, la pace resterà un'illusione.
Il terzo stadio della cura consiste nel riconoscimento che un Medio Oriente senza pace rischia di snaturare per sempre l'anima di Israele. La moderna guerra dei Cent'Anni non può proseguire per decenni ancora, senza minacciare il «miracolo politico, nazionale, umano» dello Stato ebraico. Già al giorno d'oggi — nella denuncia di Grossman — Israele si va dimostrando indifferente, quasi brutale verso i propri poveri, i propri deboli, i propri malati; per non dire delle condizioni in cui lo Stato ebraico impiega i lavoratori stranieri, «al limite della schiavitù», e del «razzismo istituzionalizzato» con cui tratta la minoranza araba.
Non foss'altro che per questo, la pace va perseguita a tutti i costi: perché senza pace, il miracolo di Israele non ha futuro.

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