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La Stampa Rassegna Stampa
05.05.2007 A.B.Yehoshua consiglia Ehud Olmert
il nostro consiglio allo scrittore israeliano

Testata: La Stampa
Data: 05 maggio 2007
Pagina: 1
Autore: A.B.Yehoshua
Titolo: «Olmert dimettiti e ricomincia»

A.B. Yehoshua, Amos Oz, David Grossman, sono gli scrittori israeliani che il pubblico italiano conosce maggiormente, non solo attraverso i libri tradotti nella nostra lingua, ma anche per i loro puntuali e frequenti commenti sulla vita politica israeliana che regolarmente escono su STAMPA, CORRIERE della SERA,REPUBBLICA. Li riprendiamo sempre volentieri per l'indubbio interesse che contengono, anche se non sempre ci sembra corretto che i lettori italiani siano di fatto obbligati a passare attraverso gli scritti dei soli tre scrittori per farsi un'idea di come la pensa la cultura israeliana. Altri scrittori, egualmente opinionisti che scrivono sui giornali israeliani, non hanno purtroppo questo  onore. I nostri tre, grazie alla pubblicazione sui giornali di mezzo mondo, hanno ormai acquisito l'autorevolezza di chi si sente investito dei destini del proprio paese. In Israele, da grande e vera democrazia qual'è, ogni opinione ha diritto di cittadinanza, soprattutto se è critica verso il governo. Un consiglio però vorremmo darlo ai nostri tre  benemeriti amici, perchè non si candidano in qualche lista elettorale scegliendo così di dedicare un po' della loro responsabilità verso Israele, non solo dando consigli, ma impegnadosi personalmente ?. Potrebbero così verificare di persona la bontà, e la possibilità di realizzazione, delle loro idee. Parlare e scrivere di quanto importante sia arrivare alla pace, è la cosa più facile di questo mondo. Ottenerla, senza mettere in pericolo l'esistenza stessa di Israele, è altro.

Ecco l'articolo di A.B.Yehoshua uscito oggi sulla STAMPA a pag.1-36 dal titolo" Olmert dimettiti e ricomincia"

Signor Olmert,

ritengo che il rapporto Winograd, sia da un punto di vista morale che politico, si sarebbe dovuto consegnare ad Ariel Sharon, che giace incosciente in un ospedale. Sharon non potrà ormai più leggerlo, ma gli errori commessi dall’esercito sul campo di battaglia e nella difesa dei centri abitati del Nord sono chiaramente da imputare al suo comportamento dominante in veste di capo del governo nei quattro anni e mezzo che hanno preceduto la sua malattia. È Sharon il diretto responsabile del deterioramento dell’esercito da «forza combattente» a «difensore delle colonie». È Sharon il responsabile degli immani investimenti economici in Giudea, Samaria e nella Striscia di Gaza che hanno impedito di migliorare l’assetto difensivo dei centri abitati del Nord. Ed è Sharon il responsabile dell’insopportabile ritardo nell’erigere la barriera di sicurezza tra noi e i palestinesi.
L’inspiegabile e dissennata invasione israeliana del Libano nel 1982 portò alla creazione dell’organizzazione di Hezbollah, e non per niente quest’ultimo conflitto è stato chiamato seconda guerra del Libano, essendo la diretta conseguenza del pantano in cui ci trascinò Sharon.

Anziché proporre autonomia politica ai palestinesi di Cisgiordania dopo la pace con l’Egitto, affinché si unissero in una confederazione con la Giordania, Sharon preferì stroncare l’Olp in Libano. Ma l’Olp non fu stroncata. Si trasferì in Tunisia e in seguito in Giudea, Samaria e nella Striscia di Gaza, fino a diventare un partner indispensabile per Israele. La lenta «conversione» di Sharon nei suoi ultimi anni di vita politica, durante i quali lei, signor Olmert, è stato suo collaboratore, non ha potuto evitare che gli errori accumulatisi negli anni venissero alla luce nell’ultima guerra. Gli ufficiali dell’esercito israeliano non sono i primi a scoprire nel corso di un conflitto armato quanto sia debole il loro esercito. Anche i militari sovietici rimasero esterrefatti dalla debolezza delle loro possenti forze armate durante la guerra in Afghanistan. E così pure gli americani in Vietnam, e altri ancora.
Solo nel corso di una guerra si rivela il vero stato di un esercito. E a mio modesto parere, nel nostro caso, le varie «alternative» citate nel rapporto Winograd non sarebbero servite. La strategia militare lacunosa e la scarsa motivazione a combattere dei nostri soldati erano dovute a motivi che non è il caso qui di analizzare. Per contro, i miliziani di Hezbollah (malgrado la netta superiorità degli armamenti israeliani) hanno mostrato una resistenza e una forza di opposizione inaspettate.
Lei, signor Primo Ministro, non è responsabile degli errori commessi dall’esercito e dei risultati politici di questa guerra. L’arrivo dell’esercito libanese e lo spiegamento di una forza internazionale sul confine internazionale sono risultati decisamente apprezzabili. E lo dimostra il fatto che, a seguito dell’apparente «sconfitta» di Israele, vi sono ora chiari e forti richiami alla pace da parte del mondo arabo.
Il problema che lei continui a essere primo ministro, secondo me, non è tanto connesso alle colpe del passato quanto alle possibilità del futuro. Credo che lei stia valutando seriamente di rispondere in maniera positiva alle iniziative di pace e ai segnali di apertura che arrivano dalla Siria e dalla Lega araba. Israele non ha speranze a lungo termine se non troverà un accordo con gli arabi. Ma siccome lei ha perso la fiducia degli elettori, anche se a suo parere in modo ingiusto, sta a lei, per il bene della pace, dimettersi dal suo ruolo di capo del governo e, insieme con il suo sostituto, o sostituta, reclutare tutta la sua capacità creativa e il suo buon senso per lavorare a favore della pace. Gli errori del passato non potranno essere efficacemente corretti, ma soprattutto non si potranno compiere azzardate mosse politiche, senza la fiducia del popolo nei suoi leader, e se questa fiducia non c’è più, signor Primo Ministro, lei, per il bene della pace, deve dimettersi.
Non ragioni esclusivamente in termini di fallimento o di successo. L’arena politica è molto complessa e intricata e qui, in Israele, ogni decisione è determinante per il nostro destino. Lei non sarà il primo a scambiare la poltrona di capo del governo con quella di ministro. Nella nostra storia ci sono molti esempi: Ben Gurion, Sharet, Rabin, Peres, Netanyahu, e, in un prossimo futuro, magari persino Barak. Lei continuerà a collaborare con colleghi rispettabili e stimati e potrà dare una mano a progredire con loro verso la pace. È questa la sua missione ora, non vi rinunci per ragioni di prestigio personale. Sappia che gli israeliani non solo criticano e giudicano i loro leader, ma sanno anche perdonarli se sono certi che, in fin dei conti, costoro antepongono considerazioni nazionali a calcoli personali.

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