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L'Espresso Rassegna Stampa
04.05.2007 Il vero Edward Said non era quello descritto da Wlodek Goldkorn
in un articolo mistificatorio

Testata: L'Espresso
Data: 04 maggio 2007
Pagina: 101
Autore: Wlodek Goldkorn
Titolo: «L'ultima lezione di Said»
Non dimenticare il "punto di vista del nemico": sarebbe il prezioso insegnamento che l'opera di Eric Auerbach avrebbe trasmesso a Edward Said, l'intellettuale palestinese docente alla Columbia University.

Quel che è certo è che Wlodek Goldkorn non prende minimamente in considerazione il "punto di vista di Said". Il quale negava la legittimità dell'esistenza di Israele e corentemente si oppose agli accordi di Oslo, diffamava il sionismo definendolo erede dell'antisemitismo e del nazismo, era nel direttivo dell'Olp quando questa praticava il terrorismo e ne uscì quando sembrò rinunciarvi.

Questo era il vero Said: un propagandista palestinese etremista,  e non il campione del dialogo e della tolleranza che emerge dal mistificatorio ritratto  di Woldkorn.

Ecco il testo:


Sono cresciuto in una cultura non occidentale e, in quanto individuo 'anfibio' o biculturale, ritengo di essere particolarmente consapevole dell'esistenza di prospettive e tradizioni diverse da quelle considerate esclusivamente americane o 'occidentali'... Lo dice Edward Said in una delle prime pagine di un libro intenso, bello, ben scritto, non viziato dal linguaggio accademico, ma dal titolo che sembra fatto apposta per spaventare il pubblico: 'Umanesimo e critica democratica. Cinque lezioni', in uscita da il Saggiatore. Il ricordo più forte, che è rimasto di Said, scomparso quattro anni fa, è quello di un militante politico, un attivista palestinese in rotta con la leadership dell'Olp (accusata di scarsa democraticità e troppa compromissione con Israele), dell'uomo immortalato in una foto mentre al confine tra il Libano e lo Stato ebraico, vestito in un giubbotto di pelle, butta un sasso contro i soldati 'nemici'.

Il libro in uscita ci restituisce invece la figura di un intellettuale sofisticato, una persona mite, che osserva e analizza il mondo intorno, fuggendo da ogni semplificazione e anzi, sapendo che la vita va vissuta dentro le contraddizioni. Sono cinque lezioni, appunto, tenute alla Columbia University, dove Said per lunghi anni è stato professore di Letteratura inglese e comparata, e dove si conquistò con il suo 'Orientalismo', scritto nel 1978, e in cui criticava la rappresentazione che dell'Oriente si fa in Occidente, la fama di uno dei più importanti intellettuali del secolo scorso. In queste lezioni, tenute dopo l'11 settembre 2001, Said si propone un compito all'altezza della sua fama: riflettere sul ruolo dell'intellettuale nel Ventunesimo secolo, all'epoca dello scontro delle civiltà. La prima conclusione a cui giunge è questa: per continuare a pensare che il mondo possa cambiare, occorre sottrarsi all'idea stessa di guerra delle civiltà. Lo si può fare? Said dice di sì. A partire dalla sua biografia. Chi era? Era un palestinese, un arabo, si è detto. Ma anche un protestante, cresciuto al Cairo, figlio di un uomo emigrato negli Stati Uniti, cittadino americano. E infatti, Said assume la posizione di un intellettuale americano, spiegando però che l'America è la somma di tante culture e che la sua (dell'America e di Said) ambiguità è un valore, non un difetto.

Ma il fine intellettuale è consapevole, e qui cita György Lukács, che "viviamo in un mondo frammentato e abbandonato da Dio, ma non dai suoi molti, rumorosi devoti". La guerra è dentro casa, perché la vogliono gli umani, e non c'è salvezza dal cielo. E allora, la ricetta che Said propone per far fronte ai devoti del Dio della guerra è quella di uscire dalla corazza del sapere e delle identità rigide. Professore di letteratura (ed è questa la cosa che gli interessa principalmente), propone di ripensare la stessa parola 'canone', fondamentale per il suo mestiere. Dice che in arabo 'qanun' (l'origine di questo termine) non significa soltanto legge e regola, ma è anche il nome di uno strumento musicale che dà vita al contrappunto: alla pluralità cioè dei toni e delle voci, in apparenza discordanti. E viene in mente la sua collaborazione con il direttore d'orchestra argentino-israeliano, Daniel Barenboim, i loro testi scritti a quattro mani, l'ensemble West East Diwan Orchestra, messo in piedi insieme. Said era uno dei pochi studiosi di origine araba che hanno sempre esortato i palestinesi a riconoscere le dimensioni del dramma della Shoah. E in questo libro, il saggio più bello è dedicato a Erich Auerbach, studioso mitico, ebreo tedesco, che fuggito a Istanbul scrisse (senza avere una vera biblioteca a disposizione) 'Mimesis' un libro, in Italia edito da Einaudi, iniziatico sulla rappresentazione della realtà nella letteratura. Di Auerbach (che dopo la guerra insegnava a Yale e Princeton) sottolinea la capacità di empatia con ogni scrittore e ogni periodo di cui parla (la sua idea che sono gli uomini a fare la storia e a trasformare il mondo), e che la quotidianità degli umili (quando parla dei Vangeli) è materia di narrazione epica, esattamente e più che le vicende degli eroi omerici. E soprattutto gli è grato perché gli ha insegnato che quando si parla di un punto di vista, non va dimenticato il suo opposto, quello del 'nemico'.

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