Condoleezza Rice incontra siriani e iraniani alla conferenza di Sharm El Sheik sull'Iraq
Testata: Il Foglio Data: 04 maggio 2007 Pagina: 1 Autore: la redazione Titolo: «Alla conferenza d’Egitto si dice Baghdad ma si pensa Teheran»
Dal FOGLIO del 4 maggio 2007:
Roma. L’argomento centrale è la stabilizzazione dell’Iraq. Ma la conferenza internazionale cominciata ieri in Egitto, a Sharm el Sheik, con cinquanta paesi partecipanti, è anche il primo tavolo d’incontro tra i due grandi fronti della contrapposizione che taglia in due il medio oriente. Da una parte ci sono i paesi del fronte sunnita, appoggiati da America e Israele, dall’altra ci sono l’Iran – che ambisce a diventare potenza regionale e per riuscire vuole l’arma atomica e alimenta la violenza in Iraq – e la Siria. Non a caso il momento più importante di ieri è stato l’incontro, avvenuto a lato del summit, tra il segretario di stato americano, Condoleezza Rice, e Walid Moallem, ministro degli Esteri siriano. E’ il primo colloquio in due anni tra un membro dell’Amministrazione Bush e un funzionario di Damasco. Esiste anche la possibilità che Rice incontri, nelle prossime ore, Manouchehr Mottaki, il capo della diplomazia iraniana. Il colloquio non è stato ancora confermato, ma tra i due c’è stato già un breve scambio di battute al pranzo di ieri. Due giorni fa il segretario di stato americano aveva detto di essere pronta a discutere con Teheran anche questioni diverse dall’Iraq, e si riferiva ovviamente al programma nucleare degli iraniani. L’Amministrazione Bush ha finora tentato di isolare i due governi, che accusa di finanziare e armare il terrorismo in Iraq, Libano e nei Territori palestinesi. L’Iraq e i paesi arabi, però, sostengono che l’unico modo per risolvere la difficilissima situazione irachena sia dialogare con Siria e Iran. Il premier iracheno, Nuri al Maliki, si è dichiarato disponibile a mediare tra Washington e i due governi. Mercoledì avrebbe detto a Rice: “Ci deve essere un riavvicinamento tra voi e le nazioni della regione, soprattutto Siria e Iraq, per risolvere la questione irachena”. Il problema Teheran è protagonista silenzioso in una conferenza che, a giudicare dalle rivalità e dalla contraddittorietà di piani e programmi dei cinquanta stati, ha poche probabilità di risolvere la situazione a Baghdad. Washington appoggia il governo sciita del premier Nuri al Maliki, ma si batte contro l’ingerenza dell’Iran sciita; il fronte sunnita, composto da Arabia Saudita, Egitto, Giordania e paesi del Golfo, su cui l’America conta per arginare le mire espansionistiche di Teheran, ha paura che l’Iraq cada sotto il controllo degli iraniani, ma pochi giorni fa il sovrano saudita Abdallah si è rifiutato di incontrare il premier al Maliki, sciita, in viaggio nel Golfo. Il rais egiziano Mubarak – che dopo la partenza degli ospiti oggi festeggerà nella sua residenza di Sharm el Sheik il suo 79esimo compleanno e il matrimonio di suo figlio ed erede politico Gamal – cerca un ruolo maggiore a Baghdad, perché ritiene fastidiosa la concorrenza di Riad come mediatore regionale. Il mondo arabo vorrebbe vedere gli americani fuori dall’Iraq, ma un ritiro significherebbe l’aumento dell’instabilità, con possibilità di propagazione nel resto della regione, e la sicura e incontrastata discesa in campo dell’Iran nel paese.
La cattura di al Jubouri Ieri, nella prima giornata di lavori, i leader internazionali hanno discusso e approvato l’Iraqi Compact, un piano quinquennale che offre sostegno finanziario, politico e tecnico agli iracheni in cambio di riforme. Oggi, i cinque membri permanenti del consiglio di Sicurezza assieme ai vicini dell’Iraq, Giordania, Siria, Iran, Turchia, Arabia Saudita, Kuwait ed Egitto, in qualità di paese ospite, discuteranno di sicurezza, pattugliamento dei confini, ricostruzione e della riconciliazione tra confessioni, etnie, e partiti politici iracheni. Washington spera di ottenere anche l’estinzione di almeno l’80 per cento del debito pubblico iracheno, pari a 56 miliardi di dollari. In cambio, l’Iraq s’impegnerebbe a portare a termine una serie di riforme politiche, come favorire una maggior partecipazione della minoranza sunnita al processo democratico. Anche per questo, Riad, protettrice dei sunniti, ha già promesso di estinguere 17 miliardi di debito. Intanto da Baghdad arriva un primo, tiepido segnale di incoraggiamento a Damasco. “C’è qualche movimento da parte dei siriani… C’è una riduzione del flusso di combattenti stranieri che attraversano il confine per venire a combattere in Iraq”, ha detto il generale William Caldwell, portavoce dei militari americani, prima dell’incontro tra Rice e Moallem. Ieri pomeriggio l’esercito ha tenuto una conferenza stampa a Baghdad per presentare i progressi fatti nella guerra contro al Qaida. L’ultimo è l’uccisione di Muharib Abdul Latif al Jubouri, coinvolto nel rapimento della giornalista americana Jill Carroll l’anno scorso. Era il “ministro dell’Informazione” dello “stato islamico in Iraq”, il fronte politico dei binladenisti.
Comunque la si pensi sul tentativo di coinvolgere l'Iran nella stablizzazione dell'Iraq (tutti i precedenti dicono che si tratta di un'iniziativa con pochissime probabilità di sucesso, e potenzialmente dannosa) i fatti testimoniano che gli Stati Uniti non sono affatto ansiosi di abbattere il regime degli ayatollah. Inoltre, che l'Iran destabilizza l'Iraq, ed'è proprio per questo che a qualcuno viene l'idea di chiederle di "stabilizzarla".
Curioso dunque che sul CORRIERE della SERA del 4 maggio, a pagina 55, si legga questo fuorviante sottotitolo "Ma le minacce di Bush rischiano di rafforzare il regime". Il regime sarebbe, appunto, quello degli ayatollah iraniani. Ma le "minacce di Bush" dove sarebbero ? E' l'iran che minaccia Israele di distruzione, l'Iraq, gli Stati Uniti e l'Europa con il sostegno al terrorismo, il mondo intero con il progetto mai abbandonato di esportare la rivoluzione khomeinista. Non è l'America che minaccia l' Iran