Illusione di invulnerabilità, conformismo politicamente corretto, inconsapevolezza della classe politica la crisi di Israele nell'analisi di Giorgio Israel
Testata: Il Foglio Data: 04 maggio 2007 Pagina: 2 Autore: Giorgio Israel Titolo: «Purtroppo quella di Israele non è soltanto una crisi di leadership»
Dal FOGLIO del 4 maggio 2007, un articolo di Giorgio Israel sulla commissione Winograd e sulla crisi di Israele
Gli eventi attuali mi spingono a ribadire quanto ho già sostenuto su queste pagine: la guerra libanese e i suoi esiti hanno messo in luce una crisi di Israele più grave di una semplice crisi di leadership. Ci si chiedeva come era stato possibile che Israele avesse condotto in modo così inconcludente la guerra e avesse violato un cardine della sua politica, affidando la sua sicurezza ad altri, e oltretutto a una missione ambigua e incoerente rispetto ai suoi fini costitutivi. Oggi i motivi sono sempre più chiari e si riassumono in tre aspetti: (a) eccessiva tecnologizzazione dell’esercito collegata all’illusione dell’invulnerabilità di Israele, e all’illusione correlata che fosse finita l’era delle guerre tradizionali, da cui la singolare prassi di condurre una guerra come se non lo fosse; (b) il dilagare di un conformismo politicamente corretto (nello stile dell’odio di sé occidentale) che ha demonizzato il patriottismo, l’idea di nazione e persino il sionismo; (c) una caduta di livello della classe politica israeliana, meno consapevole di un tempo che la posta in gioco è più che mai l’esistenza del paese. Quando si legge Ha’aretz o un recente articolo di Amos Oz in cui si sostiene che “ora” vi sarebbero le condizioni ideali per la pace e che compete a Israele farsi carico del problema del “ritorno” dei profughi palestinesi, viene da chiedersi in quale dimensione dell’irrealtà vivano queste persone e ci si rende conto che la crisi ha raggiunto strati più profondi del ceto politico. Oggi Israele fronteggia la situazione più difficile e pericolosa della sua esistenza. Nessuna delle condizioni della risoluzione Onu 1701 è stata ottemperata. I soldati sono sempre in mano dei rapitori. Hezbollah si è riarmato e la missione Unifil è come una cortina di nebbia destinata a dissiparsi al primo vento di guerra. Gaza si è “hezbollizzata” ed è un gigantesco deposito bellico. Il piano saudita riesuma proposte arcaiche a scopi meramente propagandistici e al fine di estendere l’influenza saudita sulla politica palestinese, che ha di fatto sanzionato l’egemonia di Hamas. L’isolamento di Hamas sembra reggere, ma mostra crepe evidenti, in primis quelle provocate dalle dichiarazioni del premier italiano. Ma, soprattutto, Hamas non ha rinunziato a una virgola delle sue posizioni. Anzi, lo speaker del Consiglio legislativo palestinese, Sceicco Ahmad Nahr (membro di Hamas) in un recentissimo discorso tenuto in una moschea del Sudan ha invitato Allah a vincere gli ebrei, gli americani e i loro sostenitori, con un esplicito appello al genocidio: “Oh Allah, conta il loro numero e uccidili tutti fino all’ultimo”. Non si sono udite né condanne né proteste, né si è arrestato il “cupio dissolvi” alla base di proposte come quella di Amos Oz. La leadership israeliana appare talmente debole da trincerarsi dietro l’oscillare tra proclami di mirabolante disponibilità alla trattativa e il rifiuto sussurrato di concessioni che condurrebbero il paese al suicidio. Quel che è peggio, non sente la responsabilità di farsi da parte, e segue invece una logica di sopravvivenza a ogni costo che fa pensare ai modelli della politica italiana. Sono convinto che Israele sia un paese che possiede la vitalità e le forze necessarie a superare la crisi e a ritrovare la capacità di riprendere un cammino basato sull’unica vera risorsa che lo ha sempre salvato: la dimensione morale e il senso del proprio destino; rifiutando di affidarsi passivamente alla diplomazia politicante o alla mera tecnologia. Ma perché questo accada occorre che la società civile imponga con energia e presto un radicale rinnovamento del panorama politico.
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