Dialogare con Fratelli musulmani? qualcuno mette in guardia dalla trappola del fondamentalismo "buono", qualcuno ci casca
Testata: Il Foglio Data: 01 maggio 2007 Pagina: 2 Autore: Giulio Meotti Titolo: «Il volto dialogante dei Fratelli musulmani (ma c’è chi non si fida) - Chi punta e chi no sull’evoluzione (buona) dei Fratelli musulmani»
Due analisti di Foreign Affairs hanno scritto un articolo sulla "conversione alla democrazia" dei Fratelli musulmani. Il FOGLIO pubblica in merito una serie di articoli di Giulio Meotti.
Ecco ilprimo, del 27 aprile 2007:
Roma. La loro storia inizia una mattina del 1928 in una villetta di Ismaliya, vicino al Canale di Suez. Un gruppo di musulmani si riunisce intorno a un fervente religioso di nome Hassan al Banna. L’Egitto era una monarchia semicoloniale e al Banna voleva liberarlo attraverso la riscoperta delle origini califfali: “L’islam è fede e culto, patria e cittadinanza, religione e stato, spiritualità e azione, Libro e spada”. Nacquero i Fratelli musulmani, la più antica e influente organizzazione islamista, condannata in occidente per il fondamentalismo e dai jihadisti per l’accettazione della democrazia. Rifacendosi alla “tarbiyya”, predicazione e insegnamento, i Fratelli aprivano scuole, ambulatori, moschee, raccomandavano uno stile di vita salafita. Gli uomini iniziarono a farsi crescere la barba, le donne a portare il velo. Uno dei loro massimi teorici, Sayyd Qutb (giustiziato in Egitto nel 1966), li spinse verso l’ideologia guerrasantiera e l’élan wahabita: il musulmano deve lottare contro i governi della “jailyya”, politeisti e privi di luce coranica, che regnano in modo impuro, “takfir”, sul mondo arabo: “E’ un jihad mondiale permanente. Essere musulmano significa essere un guerriero”. Qualcuno ha detto che l’11 settembre è nato nelle galere egiziane dove marcivano a centinaia i Fratelli musulmani. Le sofferenze patite da Qutb sono leggendarie fra i fondamentalisti. E’ una storia che lì ebbe inizio e che spesso siamo costretti a ripercorrere. Fu Qutb a scoprire il Nobel Nagib Mahfuz, poi bersaglio dell’ala fondamentalista della Fratellanza. L’opera “Raccolto amaro” di Ayman al Zawahiri, numero due di al Qaida, è un trattato sulla decadenza della Fratellanza (finì in prigione quindicenne). Da parte di suo padre si contano medici, ingegneri, professori, ambasciatori, giudici e parlamentari. Quasi tutti membri della Fratellanza. Gli stessi quadri borghesi che oggi animano il movimento ostile a Hosni Mubarak. Dalle loro fila uscirono gli assassini di Anwar al Sadat, fu quella la scuola dove si formarono membri di al Qaida e il suo defunto capo militare Mohammed Atef. Oggi è il movimento più diffuso nei paesi arabi e nelle moschee italiane. Il Wall Street Journal rivela che persino l’architetto dell’11 settembre, Khalid Sheik Mohammed, ha partecipato ai campi in Kuwait organizzati dalla Fratellanza. Con i petroldollari sauditi, hanno messo piede negli Stati Uniti, rappresentati dal Council on american islamic relations. La sezione palestinese è meglio nota come Hamas. Dopo il fallito putsch in Egitto e aver perso la guerra civile in Algeria, l’Europa è diventata la loro priorità. La chiamano “dar al shaada”, terra di missione. Yusuf al Qaradawi, predicatore di al Jazeera e guru della Fratellanza, parla chiaro: “L’islam tornerà in Europa, la conquista non sarà con la spada, ma con il proselitismo”. Da qui la supremazia della “dawa”, la chiamata. Lo sceicco doveva essere nominato guida del movimento. Rifiutò dicendo che la missione europea era più importante. Una delle loro basi è la Svizzera. Qui negli anni Sessanta Said Ramadan fondò un centro islamico e qui si muove il figlio Tariq, pensatore à la page richiesto come consulente a Downing Street. Della loro evoluzione democratica e non violenta si iniziò a parlare dopo che Zawahiri li accusò di aver “spinto migliaia di giovani alle elezioni anziché al jihad”. Poi ci fu un nastro di Abu Mussab al Zarkawi, in cui invitava i Fratelli musulmani dell’Iraq “ad abbandonare la via della perdizione. Non fate la pace con la democrazia. Riceverete la condanna di deviatori dall’islam”. A rinnovare la discussione sono ora due studiosi americani, Robert Leiken e Steven Brooke, che Foreign Affairs pubblicano “The moderate muslim brotherhood”. Anche il Washington Post scrive che “offrono un’opportunità per isolare i jihadisti”. Nel frattempo Youssef Nada, finanziatore della Fratellanza, è accusato da Mubarak di aiuti al terrorismo. Di lui si è occupata la rete Pbs con un documentario. Leiken e Brooke ritengono che la Fratellanza giustifichi la democrazia in base al fatto che “la ‘umma’, la comunità musulmana, è fonte della ‘sulta’, l’autorità politica. La Fratellanza ha formato alleanze con secolaristi, nazionalisti e liberali. Con la pubblicazione di ‘Du’ât, lâ qudâ’, hanno rigettato la violenza. L’ala francese Uoif collaborava con Nicholas Sarkozy. Quella inglese, Muslim association of Britain, aiuta il governo contro i radicali, come nel caso Finsbury Park”. I jihadisti bollano la democrazia come “idolatria”. “Dicono che un governo che non legifera attraverso la sharia è apostata. Zawahiri la chiama ‘deificazione del popolo’ e Abu al Maqdisi, mentore di Zarkawi, di ‘politeismo’”. Bernard Lewis scrisse che questa è solo tattica: “Un uomo, un voto, una volta sola”. Cosa farebbero una volta giunti al potere? “Dietro l’avvertimento c’è una lunga storia: bolscevichi, nazisti, baatisti, nasseristi” scrivono su Foreign Affairs. “Ma la Fratellanza differisce dai precedenti: la strada per il potere non è rivoluzionaria, dipende dalla conquista dei cuori attraverso una pacifica islamizzazione”. Così andrebbe letto il libro su Maometto di Ramadan. “Altri speculano che la Fratellanza aiuti a radicalizzare i musulmani in Europa e medio oriente. Ma i Fratelli lavorano per dissuaderli dalla violenza. Uno ha detto che il motto potrebbe essere: ‘Ascolta e obbedisci’. Se uno vuole fare violenza, lascia il movimento. Ma i fratelli che lasciano tendono ad abbracciare il centro, non il jihad”. I fautori del dialogo scommettono sull’opposizione con il “Takfir wal Hijra”, l’ideologia di morte di Mohamed al Fazisi, che sta scontando trent’anni in Marocco. “I rami nazionali hanno visioni diverse sugli Stati Uniti. In Egitto e in Giordania, la Fratellanza critica l’America. In Siria la sostiene per isolare Assad”. Accettano il jihad “difensivo” contro potenze straniere. “Ma i jihadisti attaccano la Fratellanza perché conduce il jihad ‘per il territorio’ e non ‘per il bene di Allah’. La diversità suggerisce che Washington dovrebbe adottare un approccio caso per caso. Il dialogo con i Fratelli ha un grande significato. Come fece Nixon con la Cina. Le polemiche fra ‘revisionisti’ e ‘maoisti’ erano necessarie. Oggi quelle fra jihadisti e Fratelli musulmani offrono una simile opportunità”. E infatti un gruppo di deputati americani ha appena incontrato membri della Fratellanza. Anche Newsweek parla di cambiamento. “La nostra richiesta è libertà di espressione, elezioni e magistratura libera” dice Zeki Arshead, leader della Fratellanza giordana. Foreign Affairs non ha tenuto conto delle parole di Mohammad Mahdi Akef, guida dei Fratelli in Egitto. Akef ha definito Israele “cancro” e ha legittimato la “resistenza” in Iraq, come Qaradawi benedisse il jihad ceceno. Nella guerra fra Hezbollah e Israele, Akef disse di poter inviare migliaia di islamici a combattere gli ebrei. Il figlio di al Banna, Seif al Islam, “Spada dell’Islam”, segretario del sindacato degli avvocati, ha detto che “Allah ci assicura la vittoria sui giudei”. Alla morte di Zarkawi, la Fratellanza giordana fece visita alla famiglia a Zarka. Foreign Affairs dimentica anche che Fouad Alaoui, segretario dell’Uoif, ha dichiarato che il “Corano è la nostra Costituzione”. Per non parlare del silenzio sul sudanese Hassan al Turabi, benefattore di Osama bin Laden e appartenente alla Fratellanza, raccontato da Thomas Joscelyn in un saggio che pubblicammo nel 2005. Secondo l’analista francese Caroline Fourest, “che scelgano l’opzione jihadista come Zawahiri, o un approccio ‘riformista’, gli islamisti ispirati dai Fratelli perseguono lo stesso sogno, espresso da al Banna: ‘Far sventolare la bandiera dell’islam dovunque viva un musulmano’”. L’esperta di Fratellanza più critica di Foreign Affairs è Zeyno Baran, analista della Hoover Institution, della stessa rivista e dell’Herald Tribune. “Per loro il Corano non è fonte di legge, è l’unica fonte” ci dice Baran. “La Fratellanza ha cambiato tattica, non obiettivo. Creano una quinta colonna per indebolire i sistemi occidentali. Qaradawi ha consigliato ai musulmani di creare ghetti contro l’assimilazione. Non dobbiamo favorire gli islamisti definendoli ‘moderati’. Dicono di essere non violenti, ma non hanno condannato il terrorismo. La Fratellanza ritiene necessario diffondere concetti islamici che rigettano la sottomissione e incitano alla lotta”. La lingua è biforcuta: moderata in inglese, radicale in arabo. Più che l’ala riformista della Fratellanza, per Baran dovremmo valorizzare gli arabi liberali che nell’ottobre 2004 chiesero all’Onu di istituire un tribunale contro i predicatori di morte. Fu la reazione alla fatwa di Qaradawi contro gli americani in Iraq. La Fratellanza è nata quattro anni dopo il collasso del califfato ottomano. “Qutb pensava che il declino potesse essere invertito se un gruppo di ‘veri’ musulmani avesse emulato il Profeta. Oggi vogliono islamizzare la società, non è incompatibile con la democrazia”. I simboli spesso aiutano. Quello della Fratellanza è un Corano e due spade affilate. Nel 2005 elaborarono una mappa del globo. Al centro un’area verde, il colore dell’islam. In basso un riquadro: “Dopo cento anni”. Sotto il planisfero completamente verde. La loro sigla è ancora più inequivocabile: “Allah è il nostro obiettivo. Il Profeta è il nostro capo. Il Corano è la nostra legge. Il Jihad è la nostra via. Morire nella via di Allah è la nostra suprema speranza”.
La seconda parte, pubblicata il 1 maggio 2007. Che riporta le motivate critiche di Magdi Allam all'articolo di Foreign Affairs. E l'assenso di Roberto Hamza Piccardo. Che dovrebbe mettere sull'avviso. Piccardo giustifica il terrorismo contro Israele, è l'autore di un commento antisemita al Corano, è uscito dall'Ucoii giudicandola non abbastanza antisraeliana e antiamericana. Se sostiene che i Fratelli musulmani sono compatibili con la democrazia, dobbiamo credergli ? Ecco il testo:
Roma. Il dibattito sull’evoluzione dei Fratelli musulmani, avviato dai due studiosi americani Robert Leiken e Steven Brooke sulla rivista Foreign Affairs, si consuma mentre in Egitto è in corso il processo a una trentina di esponenti della Fratellanza e mentre la Turchia si dibatte tra Europa e oriente, tra laicità e aspirazioni politiche presidenziali del partito islamico del premier Tayyip Erdogan (vedi articolo a pagina tre). In Egitto l’imputato principale si chiama Khairat al Shater, l’uomo che Leiken e Brooke indicano come “esempio di moderazione”. Il ministro egiziano per gli Affari parlamentari, Mufid Shihab, dice che il governo userà il pugno di ferro contro “chiunque voglia stabilire un califfato islamico”. A dicembre 50 militanti della Fratellanza marciarono incappucciati e vestiti di nero davanti all’Università al Azhar. Il direttore di al Gomhouria, Muhammad Ali Ibrahim, disse che “le magliette nere sono legate al fascismo, al nazismo e all’estremismo. La fratellanza si è ispirata al passato per esprimersi al meglio”. Tuttavia i due analisti del Nixon Center, al centro di un arroventato dibattito che ha coinvolto numerose testate, da Commentary al New York Sun, chiedono al Dipartimento di stato di avviare il dialogo coi Fratelli. Nel movimento il confine fra legalità e fondamentalismo terrorista resta labile. L’8 giugno 1992 terroristi della Gamaa al Islamiya assassinarono al Cairo l’intellettuale Farag Foda. Uno dei più insigni teologi islamici, Mohammad al Ghazali, membro della Fratellanza, legittimò in tribunale la “punizione dell’apostata”. Al Ghazali nel 1959 aveva condannato a morte il premio Nobel per la Letteratura Naguib Mahfouz, ispirando il tentativo di assassinarlo nel 1994. L’intellettuale tunisino Lafif Lakhdar fu invece condannato a morte da Rached al Ghannouchi, leader di Al Nahda, della Fratellanza tunisina, e riferimento dell’Ucoif, ramo francese del movimento islamista. La colpa di Lakhdar è aver chiesto di “prosciugare le fonti della cultura del martirio, del suicidio e delle decapitazioni”. In Italia il movimento islamista controlla e ispira la maggior parte delle moschee. Il vicedirettore del Corriere della Sera, Magdi Allam, fustigatore della Fratellanza e delle sue propaggini, condanna l’impianto di Foreign Affairs. “Gli Stati Uniti e la Gran Bretagna stanno prendendo un abbaglio patrocinando la strategia che tende, da un lato, ad accreditare il potere dei Fratelli sulle sponde del Mediterraneo e, dall’altro, ad affermare in Europa il multiculturalismo”, ci spiega Allam. “La prospettiva è un sud e un est del Mediterraneo con un’identità forte e un nord debole. Ci illudiamo che i Fratelli musulmani facciano riferimento a una logica cartesiana. Ma loro credono solo a una logica di tipo coranico”. Prendiamo il rapporto con Israele: “Il massimo del pragmatismo a cui possono arrivare è dire che Israele è un dato di fatto e che sono pronti a sottoscrivere una tregua. Il riferimento è la tregua di Maometto del 628, quando accettò di fermarsi alle porte della Mecca rendendosi conto di non aver forze sufficienti per entrare in città. Assunse l’impegno di rispettare una tregua di dieci anni. La violò un anno dopo”. Hamza Piccardo, leader dell’Unione delle organizzazioni e delle comunità islamiche in Italia e curatore della versione italiana del Corano, parla della storica inclinazione al riformismo dei Fratelli musulmani. “Quando doveva confrontarsi con regimi dispotici, nella Fratellanza ci furono derive radicali. Come accadde con Sadat. Ma il movimento è non violento. L’unico paese in cui presero le armi fu la Siria negli anni 70. Non mi meraviglio che si avvicinano alla democrazia. Gli scritti di Hassan al Banna sono riformisti. Oggi gli eredi continuano la tradizione. I Fratelli non sono la Terza Internazionale, si confrontano con realtà locali. Dal Marocco all’Iraq, troviamo strategie diverse”. Secondo Allam, non dobbiamo meravigliarci della fatwa jihadista contro il movimento. “Fa parte della diversa strategia per la conquista del potere. Possiamo semplificare la differenza così: per i jihadisti si decapita la testa del regnante, per i Fratelli servono solide radici nella società, eseguendo il lavaggio del cervello del popolo. Il potere dev’essere radicato, maturo e saldo”. Per Piccardo, è in Europa che la Fratellanza dà il meglio di sé. “Cercano di fornire ragioni di vita e di riforma della società alla gioventù musulmana. I giovani musulmani hanno riscoperto valori che portano nella società. Il paletto è la violenza. Ma un movimento radicale sulla guerra e l’ingiustizia in sé non è pericoloso. La salafia nasce come movimento riformatore che vede i valori dei predecessori come fonte da cui attingere. Oggi la salafia è intesa come wahabismo, che ha buttato a mare dodici secoli di elaborazione per tornare alla forma originaria del Profeta. I Fratelli sono riformisti, neoconservatori per azzardare, modernisti e rivoluzionari borghesi. Sono come Erdogan in Turchia”. Il pensiero di Piccardo si ferma su Tariq Ramadan. “La critica che Ramadan fa ai Fratelli è di accettare l’ingiustizia e di non porsi come rottura. Se per occidente intendiamo la società materialista, ci sarà sempre antagonismo irriducibile. Ma l’occidente non è solo consumismo, Barbie e McDonald’s”. Piccardo giudica datati gli scritti di Sayyid Qutb, fra i padri fondatori della fratellanza. “ Nel ‘Riformismo islamico’ di Ramadan si parla della divaricazione fra chi segue al Banna e lo adatta alle società democratiche e chi, leggendo Qutb, si sposta verso il jihadismo. Riferirsi ad al Banna in modo letteralista significa tradirlo”. Piccardo concorda con l’analisi di Foreign Affairs. “Oggi i Fratelli sono divisi. Ci sono i notabili secondo la miglior tradizione araba, e i giovani delle università, che hanno a che fare da un lato con il borghesismo e dall’altro con il jihadismo, ma sanno reinterpretare la storia in un percorso democratico. L’islam è una riforma continua. Il Profeta dice di raddrizzare la cosa storta. Se non potete farlo con la parola, fatelo almeno nel vostro cuore. C’è un imperativo morale nell’islam di riforma positiva del creato”. Più pericolosi dei jihadisti Per Allam, il loro obiettivo è creare uno stato nello stato. “Come fanno in Europa. Andare a votare è parte integrante di questa strategia. Vogliono anche loro il califfato. In Europa prima abbiamo permesso ai Fratelli di mettere le mani sulle moschee e poi ci si illude di far affidamento su di loro per contenere i jihadisti”. Per Allam, il pericolo dei Fratelli è se vogliamo ancora più grave dei jihadisti. “I Fratelli sono subdoli, ambigui e tranquillizzanti. Winston Churchill ha definito la persona conciliante come colui che nutre il coccodrillo nella speranza di essere mangiato per ultimo. E’ il nostro atteggiamento verso la Fratellanza. Come il movimento di cattolici di base collusi con loro. Si dimentica che questi islamisti, com’è avvenuto in Algeria, promuovono il terrorismo”. La prova che sia una storia che inizia e prosegue dentro quel gruppo è il decennio 70 in Egitto. “Quando assunse la guida, Sadat si alleò con i Fratelli per eliminare i nasseriani. Liberò dalle carceri i leader islamisti e richiamò chi era riparato in Arabia Saudita; tornarono indietro carichi di soldi. In un decennio costruirono un migliaio di moschee, entrarono nel giornalismo e nel sindacato, avvocatura, magistratura e scuole. Quando furono radicati, esplose l’estremismo. La Jihad islamica darà vita al commando che assassinò Sadat. L’islamismo jihadista emerge nel contesto dei Fratelli musulmani. Dimenticarlo sarebbe imperdonabile, persino fatale”. Dal fronte americano parliamo con Steven Brooke, coautore dell’inchiesta su Foreign Affairs. “Ogni organizzazione nazionale legata alla Fratellanza è libera di elaborare la propria politica. Il centralismo egiziano è debole. Ci sono due fazioni. La guida suprema, Muhammed Mahdi Akef, è conservatore. I riformisti vanno da Khairat al Shater a Abdul Moneim Abul Foutouh. Entrambi sono aperti al dialogo con l’occidente. Poi ci sono i membri più giovani, molti dei quali hanno un blog. Uno di loro, Abdel Moneim Mahmoud, è stato arrestato. In Europa lavorano con il governo inglese e in Francia mediano fra il governo e i musulmani. Durante le violenze delle banlieue, la Fratellanza emise fatwe contro i riottosi. In medio oriente sono per le riforme, ciò che non sappiamo è cosa farebbero una volta al potere. Ma non dimentichiamo che l’ex fratello Ayman al Zawahiri ha scritto un libro, ‘The bitter harvest’, per denunciare la loro rinuncia alla violenza”. Chi non è affatto convinto della loro evoluzione è Daniel Pipes, capofila della campagna contro il ramo americano della Fratellanza, il Council on American Islamic Relations. “Vogliono imporre un ordine islamista internazionale anche attraverso la non violenza. Questo li ha resi più ‘accettabili’, ma gli obiettivi sono gli stessi. Cioè l’egemonia totalitaria, la brutale distruzione di vite umane e la sottomissione di donne e non musulmani. Non c’è alcuna ‘evoluzione’. Le idee islamiste non rappresentano una deviazione dell’islam come è stato asserito, scaturiscono da una lunga tradizione di intolleranza estrema che risale ai secoli passati e in epoca recente è associata al wahabismo, ai Fratelli e a Qutb. I Fratelli ci illudono di essere una forza politica accettabile, ‘moderata’. Gli islamisti considerano la democrazia come il mezzo principale per promuovere i loro programmi. Si servono delle leve statali per soddisfare i loro fini”. Di questo fine ci ha dato un’idea lo sceicco Yussuf al Qaradawi, ispiratore della Fratellanza in Europa: “Allah facci trionfare sui sionisti ingiusti e aggressori, sui loro alleati crociati oppressori e vendicativi, Allah fai trionfare i nostri fratelli mujaheddin che combattono per te in Palestina, in Iraq, in Afghanistan e in ogni parte del mondo”. Nell’agosto del 1995 le spoglie di Said Ramadan, padre di Tariq, furono trasportate alla moschea del Cairo, accanto alla tomba di Hassan al Banna, suocero e fondatore della Fratellanza. A pronunciare l’orazione funebre fu proprio Qaradawi. Il 24 luglio 2005 Avvenire criticò che al meeting del 2004 di Sant’Egidio fosse data la parola a un celebre apologeta dei terroristi suicidi: Ahmad Al Tayyib, rettore al Cairo dell’Università di al Azhar. Il quotidiano dei vescovi attaccò l’accordo fra le università italiane e al Azhar. E’ quella la più influente agorà accademica del mondo islamico sunnita e l’epicentro intellettuale dei Fratelli musulmani. Dalla cui biblioteca i Fratelli “moderati” e “moderni” hanno fatto bandire persino “Il profeta” di Khalil Gibran, colpevole di apostasia per i disegni nei quali si poteva ravvisare Maometto.
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