Quella sulla Cia non è stata un'indagine l'atto d'accusa di Jas Gawronski sulla commissione d'inchiesta del Parlamento europeo
Testata: Il Foglio Data: 27 aprile 2007 Pagina: 2 Autore: Jas Gawronsky Titolo: «Così gli europei prima condannano la Cia, dopo cercano le prove»
Dal FOGLIO del 27 aprile 2007 un articolo del deputato europeo Jas Gawronski, ripreso dal Wall Street Journal del 26 aprile:
Nel 2005 diversi quotidiani statunitensi hanno riportato la notizia che la Cia era coinvolta in operazioni illegali di rapimento, trasferimento, detenzione segreta e tortura di sospetti terroristi. La voce che alcune di queste prigioni segrete potessero trovarsi nell’Europa dell’est ha fatto intervenire sulla questione il Parlamento europeo. Nel gennaio del 2006 gli eurodeputati hanno creato un comitato speciale per stabilire se queste accuse erano vere e se alcuni stati membri dell’Unione erano coinvolti. Ma fin dal primo giorno della sua convocazione, questo comitato, il cui mandato è terminato due mesi fa, ha rivelato tutti i suoi pregiudizi. Prima ancora che si avviassero i lavori, i suoi membri avevano già stabilito che sia la Cia sia i governi di alcuni paesi erano effettivamente colpevoli delle accuse che gli erano state rivolte. Il comitato ha sprecato un anno di lavoro e centinaia di migliaia di euro – tolti alle tasche dei contribuenti – per preparare un documento fazioso, che non fornisce alcun fatto concreto. Il testo è pieno di frasi ambigue come: “Non possiamo escludere”, “è presumibile che”, “è probabile che”. Insomma frasi che implicano colpevolezza senza essere in grado di dimostrarla. Eppure sulla base di queste ambigue illazioni il comitato è giunto ad alcune conclusioni concrete: ha accusato la Cia di giustificare la tortura e i governi europei di collusione con gli Stati Uniti nel facilitare la possibilità di trasferimenti straordinari. Come coordinatore del gruppo conservatore Ppe, la formazione più numerosa all’interno del Parlamento, ho cercato di riportare un certo equilibrio nel rapporto del comitato. Ho presentato degli emendamenti con i quali si affermava, per esempio, che la segretezza delle operazioni dei servizi di intelligence deve essere garantita e che la Cia aveva il diritto di volare e atterrare dove e quando ritenesse opportuno (ammesso che non violasse le leggi internazionali). Il fatto stesso che sia stato necessario ribadire formalmente una verità così lapalissiana è un segno rivelatore. E anche se avevo soltanto presentato le necessità imprescindibili per consentire le attività di qualsiasi agenzia di intelligence, questo e altri emendamenti da me presentati sono stati cassati da un’alleanza di socialisti, verdi e liberali di centro. Se si accettano come vere le conclusioni del rapporto, si può addirittura pensare che ogni volo della Cia in Europa potrebbe trasportare prigionieri in catene. L’ossessione del rapporto per la natura necessariamente segreta delle operazioni della Cia è quasi ridicola. Il fatto che la Cia ricorra a compagnie aeree esterne, per esempio, è considerata una cosa scandalosa. A quanto pare il comitato ritiene che i servizi segreti americani dovrebbero usare aerei con il logo della Cia scritto a caratteri cubitali, come se si trattasse di una compagnia aerea commerciale. Analogamente, nel rapporto si lamenta il fatto che agli agenti segreti è stato permesso entrare in Polonia senza essere prima controllati. Forse il Parlamento europeo avrebbe anche voluto che gli agenti della Cia avessero messo tutti i loro prodotti liquidi in apposite buste di plastica. Poiché con suo grande rammarico non è riuscito a trovare alcuna prova di prigioni segrete della Cia in Europa, Claudio Fava, il socialista italiano che dirige l’“indagine” del Parlamento, ha deciso di ridefinire lo stesso concetto di “prigione”. Ora anche una stanza d’albergo può essere considerata un “centro segreto di detenzione”. Nel rapporto, le voci dissenzienti sono state messe a tacere, mentre le testimonianze di chi confermava le posizioni preconcette dei curatori sono state messe in primo piano, anche se non erano in grado di fornire alcuna prova concreta. E’ proprio per questo che due giornalisti di Repubblica e uno del Corriere della Sera, che non hanno aggiunto nulla a quello che già sapevamo, a parte elogi per Claudio Fava, sono espressamente ringraziati nel rapporto. Al contrario, non si fa alcuna menzione, per non parlare di ringraziamenti, per Jaroslaw Gizinski, giornalista di Newsweek Poland. Un anno fa, Gizinski è stato il primo a denunciare l’esistenza di prigioni segrete della Cia in Polonia. Quando lo abbiamo incontrato, lo scorso novembre, aveva tuttavia cambiato idea. Ci ha detto che non avrebbe più espresso le accuse, perché non era in grado di confermare concretamente i suoi sospetti iniziali. Senza dubbio, se anche avesse saputo che questo “testimone eccezionale” aveva ritratto la propria accusa, il signor Fava non si sarebbe assunto la fatica di andare a controllare di persona. Fava ha avuto persino la sfrontatezza di chiedere al giornalista polacco se per caso non era stato oggetto di pressioni da parte del suo governo. Gizinski, sulle colonne del suo settimanle, ha poi scritto: “Ho avuto l’impressione che alcuni membri di questo comitato abbiano delle idee preconcette: tendono a vedere ovunque i trucchi di quegli insolenti americani che hanno portato sulla strada sbagliata i propri fedeli ma ingenui alleati”. Durante la sua prima missione all’estero, a Washington, il comitato ha incontrato John Dipartimento di stato americano, e lo ha accusato di essere responsabile di illegali trasferimenti e consegne di prigionieri. Tutte le missioni all’estero del comitato sono servite in sostanza all’unico scopo di accusare gli Stati Uniti e i suoi presunti collaboratori, senza curarsi minimamente di scoprire la verità. Per esempio, il giorno prima del nostro incontro con il ministro del Regno Unito per l’Europa, Geoff Hoon, un membro liberal del comitato ha pubblicato un articolo sul Financial Times, nel quale accusava il governo inglese di complicità in queste operazioni illegali di consegna e trasferimento di possibili sospetti. Il ministro ne è rimasto così sbalordito che ha inviato una lettera al presidente del Parlamento europeo per esprimere la sua sorpresa e indignazione. In forza di questa esperienza, Hoon ha tratto la seguente conclusione: “E’ difficile incoraggiare i miei colleghi ad aumentare l’impegno con il Parlamento europeo, almeno se ciò comporta essere esposti al rischio di subire lo stesso trattamento che mi è stato riservato”. Non c’è dunque da sorprendersi se in occasione della successiva missione del comitato, in Polonia, nessun ministro è stato disposto a incontrarlo. Senza dubbio, l’occidente, anche nella sua lotta contro il terrorismo, deve mantenere il rispetto dei diritti umani. Ma le “indagini” allestite allo scopo di macchiare l’immagine degli Stati Uniti servono soltanto a indebolire l’alleanza atlantica, la cui solidità ha invece un’importanza fondamentale per garantire la sicurezza collettiva dell’occidente.
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