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Il Mattino Rassegna Stampa
26.04.2007 Contro la barriera salva-vite
ancora propaganda antisraeliana nella rubrica delle lettere del quotidiano napoletano

Testata: Il Mattino
Data: 26 aprile 2007
Pagina: 8
Autore: Pietro Gargano
Titolo: ««Quel muro a Betlemme, una vergogna»»

Ritorna, nella rubrica delle lettere de Il MATTINO, la propaganda anti-israeliana. Il pretesto è ancora la barriera difensiva israeliana, chiamata impropriamente “muro”. 

 

   
Mancano completamente le ragioni d’Israele, sin dal titolo : “’Quel  muro a Betlemme, una vergogna’”. Un attacco spietato all’oppressore israeliano, mentre, in parallelo, non un solo accenno al terrorismo palestinese. E pensare che l’autore della lettera premette che il suo obiettivo è “informare”, “gridare” la verità che, par di capire, il cittadino medio non conosce.
 Non si fa alcun cenno a quante vite umane la barriera ha salvato. Uomini, donne, vecchi, giovani, bambini che grazie alla tanto esecrata barriera potranno continuare a vivere o comunque non trascorrere il resto dei propri giorni su una sedia a rotelle o in un letto d’ospedale. E allora sorge spontanea una domanda: come mai nel caso di Israele la scala di priorità, valida per il resto del mondo, viene stravolta. Non è più la vita umana il bene più importante da salvaguardare? Addirittura, nel caso degli israeliani, non merita nemmeno una menzione!
  Non manca la solita menzogna - accompagnata dalla frase “Cari amici figli d’Israele”, che suona come il noto ritornello autogiustificatorio : ho tanti amici ebrei -  che vuole la trasformazione degli ebrei da vittime a carnefici, da “ghettizzati” a “ghettizzatori”; ebrei che hanno “dimenticato quelle sofferenze, hanno dimenticato che era stata la loro vita per secoli e secoli, obbligati a vivere nel ghetto”. E anche su questo aspetto il giornalista Gargano, incredibilmente, non ha nulla da contestare  all’autore della lettera
  Il dottor Gargano ha ben poco da lamentarsi se in passato ha ricevuto lettere di protesta per come ha affrontato la questione. Di fronte a tanta propaganda e a paragoni falsi e pericolosi non ci si può rifugiare dietro la citazione di turno che più giova alle proprie tesi precostituite, non si può concedere, alle ragioni d’Israele, soltanto una frase ambigua(“ho imparato che i muri non si abbattono da una parte sola”), ma  si dovrebbe guardare con obiettività e onestà intellettuale alla realtà dei fatti, rintuzzando con argomenti pertinenti  (i terroristi che seguitano a pianificare stragi e il diritto a difendersi da essi, le vite umane salvate, la pervicace volontà di annientare Israele, il muro che è tale solo per una piccolo tratto dell’intera barriera anti-terrorismo…) lettere di questo genere. Se questo non viene fatto, se si continua parlare unicamente (come faGargano) di una “questione palestinese”, indicandola come la chiave di tutti i problemi del Medio Oriente, e di pari passo si ignora la questione israeliana, ossia il diritto alla vita e alla difesa di Israele, non saranno solo “i sostenitori d’Israele”  a farsi sentire (così il Gargano definisce –come se  fossero una lobby precostituita – chi ha avuto l’ardire di protestare in passato), ma le persone di buon senso che vedono in questo modo di informare tanta propaganda anti-israeliana e strabismo.
Gargano potrà anche sostenere che sa di ciò che parla il lettore perché ha viaggiato in quei luoghi, ma la realtà non è quella, o solo quella descrittada chi tanto si indigna per le sofferenze umane inflitte dalla barriera,  ma  non si cura delle tanti stragi di esseri umani che la stessa barriera ha evitato e sta evitando. Esseri umani, gli israeliani, degni come tutti gli altri di essere protetti e di continuare a vivere al riparo dal terrorismo stragista.

Ecco la lettera e la risposta:

Arturo Capasso - NAPOLI

 

Sono appena tornato da un viaggio in Israele. La sosta - anche se per pochi attimi - sul Sepolcro di Gesù è piena di intensa commozione e vorresti sostare a lungo, per ricordare tutti i tuoi cari. Ma la gioia di essere in un Paese pregno di spiritualità per tutte le tre religioni monoteiste, finisce ben presto, quando vado a Betlemme. Sorge a 765 metri sul livello del mare e nel 2005 contava ventiseimila abitanti. È una città della Cisgiordania palestinese e dista appena dieci chilometri da Gerusalemme. Per la prima volta, da millenni, queste due città sante sono separate. Israele vi ha costruito tutto intorno un muro alto otto metri e per entrarvi ci sono posti di blocco severissimi. Tutti quelli che andavano a lavorare a Gerusalemme hanno perso il proprio lavoro. I rapporti sono ridotti al lumicino, la città non ha più flusso di danaro neppure dal turismo, che di fatto si è bloccato. Gli abitanti sono avviliti, calpestati. Il visitatore turista pellegrino che viene da queste parti, cosa deve fare? Ha il dovere d’informare, una volta che è tornato a casa. Anzi, deve gridare, fare sentire lo sdegno provato, anche a costo di essere inserito in una lista nera e non rivedere più Israele. Giustamente il poeta ucraino Vasilij Simonenko, morto di cancro a soli ventotto anni, ha scritto: «Perdere il proprio coraggio significa perdere la propria dignità». A contatto con quella gente, sono andato lontano nel tempo, quando visitavo i Paesi dell'Est e la libertà era un sogno. Proprio gli Ebrei, quando si riunivano, dicevano: «L’anno prossimo a Gerusalemme». In quella frase c’erano la speranza , l’auspicio, la preghiera. Moltissimi non ce la fecero, molti ci riuscirono. Hanno dimenticato quelle sofferenze, hanno dimenticato che cosa era stata la loro vita per secoli e secoli, obbligati a vivere nel ghetto. È opportuno un breve aggancio storico. Per alcuni la parola ghetto deriva dal talmudico ghet, che significa reclusione, oppure dall’antica parola ghetta, sinonimo di fonderia, perché proprio un quartiere vicino a una fonderia nel 1516 venne chiuso con mura e cancelli riservandolo solamente all’insediamento di Ebrei. Per altri, invece, potrebbe essere una contrazione di borghetto o una manipolazione di guetto, guitto, oppure del tedesco bitter, cioè barriera. Altro nome usato era quello di Giudecca. C’era una sola entrata; le porte venivano chiuse al tramonto ed erano custodite da un cristiano. Erano obbligati a entrare prima di notte e il cancello si riapriva soltanto all’alba. Nel 1555 Paolo IV con la bolla Cum nimis absurdum indicò le regole da seguire. Erano veri arresti domiciliari, che diventavano più gravosi durante la Settimana santa, quando anche di giorno gli abitanti dovevano rimanere dentro il ghetto; l’apice della costrizione cadeva il venerdì: bisognava tenere chiuse porte e finestre, erano severamente vietati ricevimenti, balli e suoni. Cari amici figli d'Israele, perché da ghettizzati siete passati a ghettizzatori? Questi muri alti otto metri offendono voi e tutto il mondo civile. Potrei elencare risoluzioni internazionali che stigmatizzano in modo perentorio il vostro comportamento. Abbattete quei muri. Essi non sono alti otto metri, ma vanno su, su, fino al cielo. Gesù quando fu per l'ultima volta nella parte alta di Gerusalemme, pianse. Luca (19,41-44) ricorda le Sue parole: «Giorno verrà per te in cui i tuoi nemici ti cingeranno di trincee, ti circonderanno e ti stringeranno da ogni parte, abbatteranno te e i tuoi figli dentro di te, e non lasceranno in te pietra su pietra». Il fatto è già accaduto varie volte .Non fatelo più arrabbiare, abbattete il muro della vergogna. Per voi.

 

 

RISPONDE PIETRO GARGANO

 

Questa lettera del dottor Capasso, reduce dal viaggio in Palestina con il cardinale Sepe, susciterà molte reazioni. Per aver citato una frase di papa Wojtyla, il quale sosteneva che la pace aveva bisogno di ponti e non di muri, il vostro cronista si ritrovò inondato dalle proteste dei sostenitori di Israele. Ho viaggiato in quelle zone per lavoro, so di che cosa si parla e detesto le barriere. Però ho imparato anche che i muri non si abbattono da una parte sola. Finché esisterà la questione palestinese il Medio Oriente non troverà requie, e la questione si potrà risolvere solo con concessioni reciproche, agevolate da superpotenze meno avvolte sui propri interessi.

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