All’Università di Teramo si è svolto la scorsa settimana un convegno di tre giorni apparentemente organizzato all’insegna della libertà di pensare, scrivere ed esprimere opinioni di carattere scientifico (per chi non lo ricordasse la storia è considerata una materia scientifica: non stiamo dunque parlando della libertà di affermare che il sole gira intorno alla terra). Abbinato ad un master, questo convegno si è in realtà occupato (come ha affermato in maniera chiara ed esplicita, aprendolo, il prof. Claudio Moffa, ex PRC) del “linciaggio mediatico, immiserimento economico, persecuzione giudiziaria ed emarginazione professionale” di una categoria ben individuata e circoscritta di storici. Quali? Ma quelli che negano l’esistenza della Shoah, del genocidio degli ebrei , naturalmente! La viva e ben giustificata indignazione di chi sa distinguere fra uso ed abuso delle molteplici libertà che la democrazia garantisce ad ognuno di noi non mi basta, lo confesso. La condivido fino in fondo, anzi se non fosse poco elegante mi avventurerei forse anche ad andare oltre la semplice indignazione verbale, ma, ripeto, non mi basta. Vorrei riuscire a capire. Perché persone dotate di un cervello ben funzionante, di una serie di crediti accademici, di un curriculum culturale rispettabile, debbano trascorrere una non piccola parte della loro vita cercando di dimostrare che i nazisti non hanno mai ucciso in massa intenzionalmente ebrei (ed altri: zingari, omosessuali, handicappati, malati psichici...) , o che non ne hanno uccisi tanti quanti si dice, o che li hanno uccisi per banali motivi di igiene e di prevenzione sanitaria, o che non li hanno uccisi nel modo che tutti conoscono, francamente mi riesce difficile da capire. Perché queste persone continuino ostinatamente a negare quel che non le vittime, ma le nazioni da cui provenivano i carnefici (Germania, Austria, Polonia, Ungheria, Stati baltici ecc.), ammettono pubblicamente e considerano una verità inoppugnabile mi riesce francamente difficile da capire. Perché queste persone neghino l’evidenza di fotografie e filmati di un’epoca in cui era difficilissimo manipolare le immagini, la veridicità di testimonianze (di vittime ma anche di carnefici) e di esiti processuali, la credibilità di documenti nazisti originali raccolti a montagne mi riesce molto difficile da capire. Le statistiche, per quanto imprecise, certificano che alla fine della guerra era in vita un numero di ebrei di circa 6 milioni inferiore a quello che era in vita prima della guerra. Si è trattato di un suicidio di massa, come quelli misteriosi delle balene? Questi (cosiddetti....) studiosi mettono in fila una serie di contestazioni delle verità acquisite, danno del bugiardo alla Croce Rossa, agli istituti di storiografia, ai governi, alle istituzioni comunitarie europee, all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, alla Santa Sede. Certo, stiamo parlando di frange numericamente molto modeste e culturalmente marginalizzate; ma quanti siti web, nel mondo, ne diffondono le idee fra i giovani che nulla sanno di storia? In genere quando ci troviamo dinanzi ad un quesito per il quale non troviamo una risposta ci chiediamo: cui prodest?. Riteniamo che una volta individuato chi possa trarre un vantaggio o beneficio dall’una o dall’altra risposta sia anche più facile orizzontarsi e trovare una via logica da seguire per risolvere il quesito stesso. Ma in questo caso la domanda: chi ci guadagna? mi pare non possa trovare una risposta. Cosa ci guadagnerebbero questi storici se la loro tesi venisse accreditata? Fama? Denaro? L’unica risposta seria che mi viene in mente è un’altra: avrebbero additato gli ebrei come malvagi cospiratori contro l’umanità intera. Tanta fatica per così poco? Questi negazionisti sono tutti occidentali, discepoli di una scuola antica ed illustre. Le loro tesi sono state però acquisite e divulgate principalmente da politici, accademici, media del mondo arabo come verità sacrosante: da una scuola storiografica molto lontana da quella occidentale, dunque, e lontana anche da una lettura serena degli avvenimenti del secolo scorso. Sono proprio loro a fornire una risposta logica ed evidente al quesito “cui prodest”. Se gli ebrei hanno inventato la Shoah anche il loro stato, Israele, viene automaticamente deligittimato sul piano etico oltre che politico. Ma non è questa la finalità primaria dei negazionisti occidentali di professione, che anzi dovrebbero avere poca simpatia per gli arabi a causa della loro collocazione nella sfera della destra razzista e xenofoba. Una volta di più si dimostra che un nemico comune (gli ebrei) può compattare anche posizioni di partenza molto lontane. Eppure non mi basta, non mi basta per poter dire che ho capito. Certo, Teramo non è Oxford: ma quando una istituzione universitaria apre loro le porte e fornisce un palcoscenico credibile dal quale possono, con l’arroganza dei mentitori, pretendere il diritto di parlar male degli ebrei (perché non dei negri? Degli zingari? Degli arabi? Solo degli ebrei?) suona un campanello d’allarme. Alcuni cristiani sono stati sgozzati perché vendono la Bibbia; un giovane uomo è stato ucciso mediante lapidazione al cospetto del suo figlio adolescente per il fatto di aver suonato il tamburo. Affermare che 90 anni fa è stato commesso un genocidio a danno degli armeni è, nella civile e laica Turchia, un reato punito con la prigione. Gadi Luzzatto afferma in un suo recente libro che parlar male degli ebrei è di moda nei salotti “perbene” della politica (anche moderata) italiana. E contemporaneamente, da una sede universitaria, una serie di studiosi punta il dito accusatore contro gli ebrei. Ha senso parlare di valori, di etica, di civiltà quando tutto ciò è, per la persona comune, meno importante del risultato di Inter-Roma? Non riesco proprio a capire. Non sarà che è tutto tanto semplice e sono solo io incapace di capire?