Abbiamo dato conto ieri su Informazione Corretta del convegno organizzato dall'Università di Teramo dal prof.Claudio Moffa in difesa dei negazionisti della Shoah, riprendendola dal CORRIERE della SERA, l'unico fra i giornali nazionali a grande diffusione, dopo la protesta dell'Unione delle Comunità ebraiche italiane. A quel convegno ha partecipato il prof. Michele Ainis, abituale collaboratore de la STAMPA. Che oggi ospita una sua specie di difesa, che, come recita l'adagio, peggiora soltanto le sue dichiarazioni riportate dal Corriere. Fatto ancora più grave, non sapendo a quale salvagente aggrapparsi, Ainis scrive di non aver mai sentito parlare prima di Robert Faurisson, inverosimile, perchè anche il più ignorante fra gli storici che si occupano di nazismo non può ignorare l'esitenza del negazionista francese. Aggiunge poi che al convegno c'erano anche altri storici, non negazionisti. Fra questi Angelo D'Orsi, specializzato nel raccogliere firme a livello internazionale per rivendicare la libertà di mettere sotto accusa Israele e gli ebrei. Se queste sono le compagnie preferite dal prof.Ainis, si accomodi, sono affari suoi. Ma non ci venga a citare Voltaire e Stuart Mill. Il suo pezzo di oggi sulla STAMPA, è, come dicevamo, il "tacon pejor del buso". Lo sottoponiamo ai nostri lettori, invitandoli a scrivere alla STAMPA e in copia ad Ainis (la sua e-mail è in fondo all'articolo)
Ecco l'articolo, a pag.34, dal titolo: " Il convegno scomunicato ":
Il turismo congressuale è diventato uno sport rischioso. Può derivarne un’ecatombe: il Italia s’aprono 100 convegni al giorno. A metterci una tassa, potremmo fare a meno della Finanziaria. Ma getteremmo sul lastrico i professori universitari, che di questo sport sono assidui praticanti. Anche a costo di trovarsi nel mezzo d’un incidente diplomatico, com’è accaduto a me, invitato dall’Università di Teramo a un convegno su «La storia imbavagliata». Sullo sfondo il caso degli storici che negano l’Olocausto e rischiano come Irving la galera, dato che le leggi antinegazioniste si diffondono in Europa. Il mio compitino, una relazione su libertà d’espressione e censura. Accanto a me colleghi di vario orientamento culturale. Nessun negazionista, nessun discepolo del Führer. Ieri leggo invece sul Corriere della sera che l’Unione delle comunità ebraiche ha protestato per il taglio razzista del convegno. Infatti il giorno successivo (io ero già via) è stato proiettato un video di Robert Faurisson, storico che nega la Shoah. Da qui una scomunica per chiunque abbia preso parte al convegno come relatore. È il mio caso, ma anche quello di D’Orsi, Manetti, Barbero, Mellini e molti altri. Spero mi consentiranno quindi d’abbozzare una difesa collettiva.
Intendiamoci: la suscettibilità degli ebrei è del tutto comprensibile. La giustifica l’Olocausto, il più grande orrore del 1900. Ma io (scusate l’ignoranza) non sapevo chi fosse Faurisson prima che il comunicato dell’Ucei lo portasse agli onori della cronaca. È utile offrire una ribalta mediatica e politica a chi non sa procurarsela da sé, con la qualità dei propri studi? Ed è utile trasformarlo in martire della libertà di parola? È utile disertare ogni dibattito aperto anche agli eretici o agli impostori? Se ciascuno canta messa a casa propria, non sapremo più parlarci. La ricerca guadagna dal confronto, non dall’isolamento delle idee. Semmai è il confronto che permette d’isolare le idee false o sbagliate. Quanto a me, non ho alcuna simpatia per i negazionisti, ma ancor meno per chi vuole incarcerarli.
Sono questioni delicate, perché toccano i nervi della libertà e della memoria. Le giornate della memoria rischiano di dettare una verità di Stato, ma rappresentano un’occasione pedagogica, specie per i più giovani e in un Paese immemore come il nostro. Tuttavia si possono celebrare il Risorgimento o la lotta partigiana come fattori d’identità nazionale senza mettere un bavaglio a chi ne denunci insufficienze e limiti. Resta valida la lezione di Stuart Mill: anche quando l’altrui opinione è falsa ci procura il vantaggio della più chiara percezione della verità, al cospetto dell’errore. Resta valida l’osservazione di Esposito: è il dissenso che ha bisogno d’essere protetto, non l’opinione di chi canta nel coro. Resta valido il motto di Voltaire: non condivido la tua idea, ma darei la vita perché tu la possa esprimere.
micheleainis@tin.it
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