Sul CORRIERE della SERA di oggi, 21/04/2007, a pag.43, Sergio Romano spiega a un lettore perchè Israele non essere accolto nella NATO. La sua tesi, per lo meno stravagante per un "esperto" di politica internazionale, è che se questo avvenisse," noi dovremmo essere in sintonia con il governo di Gerusalemme". Ma quando mai ? La vera verità la dice poco dopo, quando afferma "Dovremmo modificare i nostri rapporti con il mondo arabo-musulmano. E non dovremmo sorprenderci se Israele ci chiedesse di schierarci al suo fianco contro gli Hezbollah nell'eventualità di un nuovo conflitto." Capito ? Ogni paese che fa parte della NATO ha diritto, in caso di attacco, di essere difeso da tutti gli altri che ne fanno parte. Questo criterio, che va bene per tutti i paesi aderenti alla NATO, per Romano non può applicarsi a Israele. E Romano lo spìega pure. Buono il titolo, "Israele nella Nato: per ora, meglio di no". Come dire, diamo un po' di tempo ad Ahmadinejad, ad Hamas, agli Hezbollah, poi si vedrà.
Ecco la lettera del lettore e la risposta di Romano:
Più di una volta, anche nel recente passato, si è affacciata l'ipotesi di un ingresso di Israele nella Nato: un'ipotesi sicuramente suggestiva e che sembra uscita, per certi versi, da un romanzo di fantapolitica.
Eppure, nonostante le molte e oggettive difficoltà, potrebbe essere interessante valutare gli effetti di una tale eventualità. L'ingresso di Israele nell'Alleanza atlantica potrebbe avere, infatti, un effetto di stabilizzazione sull'intera area, alla luce del fatto che, anche a questo Paese, verrebbero applicate le clausole di mutua difesa già previste nei trattati della Nato; eventuali aggressori sarebbero scoraggiati dall'intervenire, con il risultato di generare una maggiore sicurezza e le nazioni europee stesse si troverebbero più coinvolte.
Ovviamente i problemi, le controindicazioni e i pericoli non mancherebbero, in particolare per l'irrisolta questione palestinese, ma se la contrarietà a una tale opzione fosse soltanto di natura ideologica e non già dettata da ragioni pratiche, allora non sarebbe uno sbaglio rinunciarvi a priori?
Giovanni Martinelli
giova.mart@tin.it
Caro Martinelli, al vertice della Nato in Lettonia, pochi mesi fa, il presidente Bush ha lasciato comprendere che gli Stati Uniti sarebbero favorevoli all'ingresso nell'Alleanza dell'Ucraina e della Georgia. Qualcuno sostiene addirittura che occorrerebbe spalancare le porte alle democrazie dell'Estremo Oriente e dell'Oceania: Corea del Sud, Giappone, Australia, Nuova Zelanda. È inevitabile di questo passo che anche il problema dell'adesione di Israele finisca, prima o dopo, all'ordine del giorno. È una buona idea? A me sembra di no, per due ragioni. La prima è d'ordine generale. Con la fine della guerra fredda e il collasso dell'Urss, la Nato ha perduto la sua missione originaria ed è, da allora, alla ricerca di un ruolo. Durante le guerre balcaniche sembrò che stesse divenendo una grande organizzazione per la sicurezza collettiva del continente europeo. A Pratica di Mare, dove nacque nel maggio 2002 il Consiglio Nato- Russia, pensammo che questa tendenza, grazie alla collaborazione con Mosca, si sarebbe rafforzata. Ma al tempo stesso avemmo l'impressione che gli americani preferissero agire da soli, senza ricorrere ai meccanismi di un'alleanza che dava agli alleati troppa voce in capitolo. Da allora la Nato è diventata il tappabuchi degli Stati Uniti e viene chiamata in causa soltanto quando Washington si accorge di avere commesso un errore o ha bisogno di aiuto. È accaduto in Afghanistan e sarebbe accaduto anche in Iraq se qualche Paese, per fortuna, non avesse avanzato riserve e obiezioni. Nonostante queste ambiguità, gli Stati Uniti continuano a promuoverne l'allargamento, soprattutto verso est, e finiscono per dare a questa tendenza una evidente connotazione anti-russa. Può darsi che questa politica risponda agli interessi dell'America, ma non credo che risponda agli interessi dell'Europa. Mi rendo conto che nessuno, neppure la Francia (che è tuttora membro del Patto Atlantico, ma uscì dall'organizzazione militare integrata nell'aprile 1966), vedrebbe oggi con favore lo scioglimento dell'Alleanza. Ma temo che nuovi allargamenti renderebbero ancora più pasticciato e confuso il problema della identità e delle funzioni dell'organizzazione. Vengo alla seconda ragione. Anche se poco corrispondente alle esigenze del mondo d'oggi, la Nato è pur sempre l'organizzazione militare di un patto in cui l'articolo 5 stabilisce che una guerra contro uno è una guerra contro tutti e che ogni Paese deve assistere con le proprie forze armate il socio aggredito. È bene quindi che questa regola valga per Paesi che hanno, per quanto possibile, gli stessi interessi e gli stessi potenziali nemici. Se Israele facesse parte della Nato, noi dovremmo essere in sintonia con il governo di Gerusalemme. Dovremmo approvare la continua occupazione dei territori conquistati durante la guerra del 1967. Dovremmo approvare la politica degli insediamenti e la continua erosione del territorio palestinese. Dovremmo approvare il muro e il suo tracciato. Dovremmo approvare la politica unilaterale di Sharon verso l'autorità palestinese, solo parzialmente corretta dal suo successore. Dovremmo modificare i nostri rapporti con il mondo arabo-musulmano. E non dovremmo sorprenderci se Israele ci chiedesse di schierarci al suo fianco contro gli Hezbollah nell'eventualità di un nuovo conflitto. Ecco perché possiamo essere amici di Israele e simpatizzare con la sua difficile situazione, ma non sino al punto di stringere con il suo governo un'alleanza politico-militare.
Per inviare la propria opinione al Corriere della Sera, cliccare sulla e-mail sottostante.