L'offensiva jihadista da Ankara a Baghdad l'analisi di Edward Luttwak
Testata: Il Foglio Data: 19 aprile 2007 Pagina: 1 Autore: la redazione Titolo: «Il grande fronte da Ankara a Baghdad»
Dal FOGLIO del 19 aprile 2007:
Roma. Due stragi, una scia di sangue che tormenta la regione mediorientale e che ieri ha unito una cittadina turca con Baghdad. Tre sgozzati in una casa editrice cristiana a Malatya, nella Turchia centrorientale, e almeno centottanta morti in quattro attentati coordinati nella capitale irachena. I due episodi non sono slegati: da un lato c’è una grande nazione a maggioranza musulmana che vive una tensione interna tra forze laiche e forze religiose; dall’altro un paese che cerca di fermare il terrorismo e le violenze settarie, e che fatica a trovare una sua stabilità nonostante i continui sforzi militari e politici. In mezzo c’è quel “vento nuovo”, come lo hanno definito alcuni analisti, che non fa riferimento a gruppi terroristici più o meno collegati tra loro, ma a un eccitamento antioccidentale che si nutre anche delle incertezze e dei passi falsi della comunità internazionale. La Turchia, in bilico tra derive nazionaliste e derive islamiche, è l’esempio della fragilità su cui si fondano molti processi di stabilizzazione. “Stanno crollando tutte le protezioni del secolarismo che erano alla base della Repubblica voluta da Ataturk”, spiega al Foglio Edward Luttwak, esperto americano di relazioni internazionali e questioni militari. Le due anime turche – quella laica espressa dalle forze armate e quella islamica moderata espressa dal governo – sono destinate a scontrarsi sempre di più: “Il premier Tayyip Erdogan ha perseguito la partnership con l’Europa per neutralizzare il potere dell’esercito e ora, con la fine del mandato del presidente Ahmet Sezer, vuole provare a buttare giù l’altra barriera che impedisce un ritorno al passato”. Se il movimento del premier, l’Akp, considerato un partito islamico moderato, riuscisse a nominare il suo presidente prima delle parlamentari di novembre – “grazie al risultato fortuito ottenuto nelle elezioni del 2002 che gli ha concesso una maggioranza del 66 per cento dei seggi nell’Assemblea” – la deriva secondo Luttwak sarebbe inesorabile, così come “la tensione, sempre crescente”. La “politica dell’inganno” ha creato questo scontro interno. Erdogan ha ottenuto grande credito internazionale e l’ha utilizzato per il suo unico obiettivo: “Indebolire l’esercito – dice l’esperto americano – La via per l’Ue è parsa la più rapida, visto che tra le varie richieste di Bruxelles c’era anche quella di ridimensionare l’ingerenza delle forze armate nella vita pubblica”. Poi è arrivato il gelo europeo verso l’ingresso di Ankara e questo ha indebolito non Erdogan, portavoce della causa, ma “l’opposizione occidentalizzante”, spiega Luttwak, che resta schiacciata dalle forze islamiche. In più, dall’inizio della guerra in Iraq, anche i rapporti con Washington si sono fatti più freddi: la Turchia teme la creazione di uno stato del Kurdistan, che potrebbe nascere se Baghdad scegliesse la cosiddetta “via a tre stati”. Le forze armate turche hanno già annunciato operazioni contro i ribelli curdi che potrebbero sconfinare in Iraq, e secondo voci insistenti non escluderebbero neppure l’ipotesi di un colpo di stato. Luttwak è convinto che non andrà così, ma il fatto che Erdogan continui a rimandare l’annuncio della candidatura alla presidenza “è sintomo che ha paura”. La strage di Baghdad non può che generare altre preoccupazioni. Per Luttwak, scettico sul nuovo piano di controterrorismo del generale David Petraeus, e anzi favorevole a un graduale disimpegno, quel che succede in Iraq è un altro esempio delle difficoltà tutte occidentali nel comprendere e operare nei paesi della regione mediorientale: “Se non puoi mettere in pratica i metodi terrorizzanti dell’Impero – dice l’esperto americano – i terroristi vinceranno”. Le ripercussioni riguardano tutta la regione: se Luttwak suggerisce che le truppe anglo-americane dovrebbero rimanere soltanto per limitare le ingerenze straniere – soprattutto quelle iraniane – la destabilizzazione della Turchia e un allontanamento dall’orbita europea comporterebbero nuovi pericoli sullo stesso fronte. Gran parte dell’intelligence nei confronti dell’Iran passa per la Turchia, che mantiene rapporti cordiali con il governo di Mahmoud Ahmadinejad. In più gli apparati militari di Ankara costituiscono un ulteriore elemento di forza nei confronti dell’Iran. Ma, conclude Luttwak, è necessario intendersi sulle strategie: se Baghdad implode e le forze islamiche di Erdogan hanno il sopravvento la scia di sangue è destinata ad allungarsi. La commistione tra stato e islam misto al sentimento antioccidentale è pericolosa. “I baluardi della laicità vanno difesi – conclude l’esperto americano – Il premier turco ospita delegazioni di Hamas e le forze armate di Ankara intensificano i rapporti con Israele per collaborare nell’antiterrorismo”
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