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Non mi piace Alona Kimhi 12/04/2007
Spettabile Redazione,

non so se la Vostra cortese attenzione si è soffermata sulla delirante intervista rilasciata sul supplemento “Lo Specchio” de “La Stampa” del 31/03/2007 (pagg. 61-64) da tale signora Alona Kimhi, presentata ai lettori come “scrittrice di Tel-Aviv”. Personalmente quando l'ho letta, ho avuto l'ennesima conferma del livello di paranoia che affligge taluni benpensanti di sinistra che quando descrivono la realtà lo fanno come se abitassero sulla Luna. Non mi soffermo a commentare il colossale cumulo di bestialità profferite dalla suddetta signora, che non comprendo cosa aspetti a chiedere ad Hamas la tessera di socio vitalizio. Mi limito a citare alcune perle, come ad esempio quando afferma a proposito di Israele: «Ancora oggi fatico a riconoscere diritto e legittimità a questa nazione tanto da chiamarla mia. Perché dovrebbe essere degli israeliani? Abbiamo comprato sì e no il terreno su cui sorge Tel-Aviv. Il resto è stato sottratto agli arabi, buttandoli fuori con che diritto? Non ho mai pensato che Israele dovesse essere la patria degli ebrei, non ho mai avuto alcuna ossessione per lo Stato ebraico, non ho mai chiesto di viverci, non sono mai stata sionista, non potrebbe importarmene meno». Quando poi passa a descrivere la situazione politica del suo (si fa per dire) Paese, dichiara: «Non c'è più sinistra in Israele, movimenti come Shalom Akshav, che si opposero con  manifestazioni di centinaia di migliaia di persone alla guerra in Libano del 1982 non esistono più. Il Paese si è radicalmente spostato a destra. La sinistra si è imborghesita, pensa ad arricchirsi, è in piena decadenza. Un processo che forse è iniziato con l'assassinio di Isaac Rabin nel 1995 ed è dilagato passo dopo passo. L'Israele di oggi è insicuro, ha paura e questo sentimento porta benzina al fuoco dell'estremismo di destra. I coloni nazionalisti e religiosi che abitano i territori palestinesi occupati sono gli unici che vivono una ideologia trascinante e in crescita, credono fermamente che la ragione sia dalla loro parte e per il momento sono i soli a esprimere uno spirito ottimista e vittorioso. Nessuno tuttavia, a destra o a sinistra, si sente orgoglioso in questo momento di essere israeliano, nessuno si identifica con l'idea di Stato, regna una totale delusione e disapprovazione per l'indirizzo che ha imboccato il Paese. La gente ha perso speranza ed entusiasmo, non ultimo nello stesso sionismo»
Il Paese, dunque, non segue i nobili ideali del benpensante di sinistra, ed allora il benpensante cosa fa? Invece di analizzare le ragioni che portano l'opinione pubblica a votare per la destra e a non credere più al pacifismo filo arabo con le sue vacue utopie, se la prende con il Paese intero accusando i propri concittadini di essere rozzi, grossolani ed egoisti giacché pensano solo alla ricchezza ed alla propria incolumità mentre non provano gioia quando qualche terrorista riesce a farsi esplodere in un autobus pieno di persone o quando qualche razzo Qassam cade su un asilo infantile facendo strage di bambini. E soprattutto pretendono di avere una Patria (prerogativa questa che dovrebbe spettare solo ai palestinesi, a quanto pare), invece di rimpiangere i bei tempi dei ghetti, dei pogrom antisemiti e dei campi di sterminio nazisti. Che egoisti!
«La gente ha perso speranza» conclude il benpensante. Nell'idiozia dei pacifisti politicamente corretti, aggiungo io.

Molti cordiali saluti
Luigi Prato, Sassari

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